2023-08-13
Sussurro a Michela: i legami di sangue insegnano ad amare
L’idea di «famiglia elettiva», dove ognuno si sceglie genitori o fratelli, è un atto di egoismo e di vana illusione di libertà.Tanti vip di sinistra per l’addio alla Murgia. E fuori alla chiesa si intona «Bella ciao».Lo speciale contiene due articoli.In tanti, in questi giorni, si sono precipitati a dire qualcosa su Michela Murgia, la sua fine ed il suo pensiero.Non l’ho mai conosciuta personalmente, ho letto qualcosa, ascoltato molto e mi sono sempre chiesto, come teologo, che cosa le avessero insegnato (o cosa avesse capito e/o studiato) all’Istituto superiore di scienze religiose di Oristano, dove ha conseguito il diploma di laurea in Scienze religiose (non la laurea in teologia, e non definiamola «teologa»! Teologo, nella Chiesa, è solo chi ha il mandato ufficiale di insegnare teologia, e non chi ha solo conseguito un titolo accademico).La Murgia, oltre al titolo, ha anche ricoperto ruoli di primo piano nell’Azione cattolica sarda, fino a diventarne referente regionale per il settore giovani.Posto che a tutti è sempre consentito di cambiare opinione (ma la fede non è una opinione) la prima domanda che mi pongo riguarda la formazione che offriamo nelle nostre Istituzioni accademiche ed i criteri che adottiamo per riconoscere responsabilità educativa e visibile.Ma quest’analisi autocritica ci porterebbe lontano, perché la situazione è generalizzata, da quando all’appartenenza si è sostituita un’anonima inclusività, fondata unicamente sulla comune umanità, e da quando la militanza e l’apostolato non sono più considerati valori, ma atteggiamenti divisivi. Come se la Chiesa non fosse più cattolica ed apostolica, e come se non fosse proprio la coscienza di appartenere, l’unica autentica garanzia di apertura all’altro. Giorgio Gaber docet.Il punto cruciale del pensiero della Murgia, colto anche da Dacia Maraini, è tuttavia il «superamento dei legami di sangue», la proposta di una «famiglia elettiva» nella quale ciascuno sceglie liberamente i propri familiari, superando la «mesolitica famiglia patriarcale».Ora, posto che alcune insofferenze, in Sardegna, possono essere percepite in modo più acuto che a Milano, la sostituzione della famiglia con legami elettivi sarebbe una catastrofe antropologica, devastante anche per la ragione umana ed il comune buon senso.Innanzitutto, si dimentica un fattore essenziale: all’origine della «famiglia di sangue» c’è sempre un legame elettivo. Uomo e donna si scelgono, si eleggono e, da quel legame elettivo libero, nasce la famiglia di sangue.Anche in tempi e circostanze in cui la scelta non appariva così libera e il «suggerimento» dei genitori poteva condizionare in modo determinante, permaneva sempre l’elemento elettivo, soprattutto, paradossalmente, nelle classi più umili, meno condizionate da questioni sociali ed economiche.Appartenere ad una «famiglia di sangue», poi, dove nessuno sceglie il proprio padre, la propria madre ed i propri fratelli, è la prima necessaria scuola di alterità: il primo luogo dato, non soggettivamente scelto, in cui l’uomo impara a relazionarsi con «altro da se stesso» e non solo con i propri desideri e/o capricci.Il fatto che, ordinariamente, questo impatto con il mondo dell’altro coincida con gli affetti più cari ed intimi è una enorme facilitazione, voluta dalla Provvidenza, perché alla scuola dell’amore familiare, con persone date, si possa imparare l’amore per tutti, anche per chi vive e pensa differentemente.«Se amate solo quelli che vi amano, che merito avete?» (Mt 5,43).Se scegliete solo quelli che «pensano come voi», dov’è la vostra vera capacità inclusiva? La vostra apertura all’altro? La «famiglia elettiva» della Murgia (e di tanti con lei) è un grossolano errore antropologico, che presuppone necessariamente, anche se inconsapevolmente, la «famiglia di sangue» e che rivela fino a che punto possa spingersi il soggettivismo gnoseologico, che caratterizza la modernità ed illude l’uomo, sostituendo alla realtà (complessa, ma vera) la soggettiva volontà (inebriante, ma drammaticamente illusoria).Infine, teologicamente parlando, l’odio per il sangue (ed i legami di sangue) è sempre sospetto. Gli ebrei, in Egitto, furono risparmiati, perché segnarono gli stipiti delle porte con il sangue degli agnelli immolati, profezia del sangue salvifico di Cristo, immolato sulla Croce per tutti gli uomini. Prototipo (anzi primogenito) di quell’amore totale, oblativo, inclusivo e gratuito, di cui tutti abbiamo infinita nostalgia. Ed è l’Unico Amore che salva, nel sangue.La famiglia di sangue precede in modo irrinunciabile ogni altro legame elettivo, ne è scuola, ed è essa stessa frutto di elezione libera.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/michela-legami-sangue-insegnano-amare-2663553104.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="saviano-si-fa-lo-spot-sullaltare-io-e-lei-pericolosi-per-i-potenti" data-post-id="2663553104" data-published-at="1691886786" data-use-pagination="False"> Saviano si fa lo spot sull’altare: «Io e lei pericolosi per i potenti» «Michela lascia un compito agli intellettuali: difendere i diritti, scegliere da che parte stare, perché i diritti sono il più grande canto d’amore possibile. Michela ha portato sulle sue spalle quello che spesso non fa la politica: prendersi cura della cosa pubblica, venendo bersagliata da una stampa infame, che quando attacca un intellettuale sta intimidendo, manda un messaggio a tutti gli altri». Roberto Saviano «ruba» l’applauso che chi lo circonda aveva destinato al feretro di Michela Murgia all’uscita della Chiesa degli Artisti a Roma sulle note di Bella Ciao. E alla fine del funerale politico, Saviano, in cerca di un ritorno in tv, dopo la cancellazione in Rai, ripete quello che ha già detto sul pulpito ricordando l’amica ma parlando di sé stesso: «Sono le parole più difficili della mia vita. Michela voleva che questa giornata fosse per tutti. Per lei la condivisione era il senso di tutto. Ha protetto tutti fino alla fine, anche nei momenti dolorosissimi della fine. Lei è stata abile a non far sentire il dolore delle sue scelte di lotta, ci siamo conosciuti e uniti non per quello che abbiamo fatto, ma per quello che ci hanno fatto. In questo Paese è stato possibile che si considerasse una scrittrice, intellettuale attivista come una nemica politica. Aveva talento che permetteva di ribaltare le cose, questo la rendeva pericolosa ai potenti. Michela ha voluto stare accanto a me nei processi che mi hanno riguardato. Voglio darle tutta la mia gratitudine» ha concluso Saviano. Tanta gente e niente corone, soltanto il copribara (sono rimaste sul sagrato le corone compresa quella del Campidoglio) con i fiori di carciofo, limone, peperoncino e mirto. È il profumo della macchia mediterranea della sua Sardegna che ha accompagnato l’ultimo saluto a Michela Murgia la scrittrice morta giovedì sera a 51 anni per un tumore. Nata a Cabras, in provincia di Oristano, aveva esordito nel 2006 con Il mondo deve sapere, ma tra e sue opere più note Accabadora, Tre ciotole e Istruzioni per diventare fascisti. Fuori da Santa Maria in Montesanto lo striscione God save the queer, la scritta che la Murgia aveva sull’abito di nozze celebrate in «articulo mortis» un mese fa. All’interno, tra i presenti noti, Nicola Fratoianni, Paolo Repetto, Paolo Virzì, Elly Schlein con Paola Belloni, Sandro Veronesi, Lella Costa, Concita De Gregorio, Ritanna Armeni, Francesca Pascale con Paola Turci. In prima fila i meno noti ai più, invece, gli amici più stretti, quelli che lei considerava la sua famiglia con i 4 «figli dell’anima»: il fratello Cristiano, Chiara Tagliaferri, Teresa Ciabatti, il marito di Murgia, Lorenzo Terenzi, poi Saviano, Chiara Valerio, Diego Passoni. «Michela è nell’oltre, la sua anima è in questo viaggio verso il Padre non verso il nulla» ha detto don Walter Insero durante l’omelia. «Vi invito ad accogliere la testimonianza di fede che ha rappresentato nel momento della prova, nella malattia, nella sofferenza dura che ha vissuto. Michela ha portato avanti la buona battaglia, ha conservato la fede, direbbe San Paolo, e non ha mai avuto timore di dimostrarla». C’è stato anche il messaggio di Matteo Zuppi, presidente della Cei: «Il libro della sua vita non è finito ed è un libro che Michela ha scritto per passione». Pungente come sempre Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura: «Non sono un ipocrita, e nel rispetto che si deve a chi non c’è più, e ancor più a chi le ha voluto bene, devo dire che della Murgia donna di cultura conservo un pessimo ricordo. Come quando, per esempio, disse di Battiato: «Scriveva delle minchiate». Mi sarei aspettato argomentazioni più profonde invece che una battuta così triviale. Della Murgia ho apprezzato coraggio e determinazione, e certamente la dignità con cui ha affrontato la malattia, ma credo appartenesse a quella schiera di mitizzati intellettuali di sinistra a cui tutto è concesso, anche insultare uno dei più grandi autori e compositori della musica italiana. Grande rispetto per la sofferenza di questa donna e per la sua morte, ma vedo e leggo messaggi e parole di circostanza che rivelano incoerenza e ipocrisia». E mentre si celebrava il funerale, un passante in piazza ha gridato «comunisti di m…» senza conseguenze.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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