2019-09-24
«La salute mentale non è moda». La protesta contro Gucci diventa virale
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La sfilata organizzata dal direttore creativo Alessandro Michele fa parlare per la discutibile scelta di portare sul defilè camici che ricordano quelli indossati dai pazienti psichiatrici. Secondo Ayesha Tan Jones «mostrare queste malattie come oggetti di scena per vendere i vestiti è volgare». Il duo formato da Domenico Dolce e Stefano Gabbana presenta la sua ultima collezione ispirata alla giungla urbana. L'80% dei capi in passerella è prodotto da mani italiane. Pop giapponese e vibrazioni hawaiane per la collezione di Gcds. Giuliano Calza, stilista e creatore del marchio, ha portato a Milano il mondo dei manga trasformando gli occhi delle modelle con speciali lenti a contatto. Dalla paglia al turbante, Borsalino riscrive la storia del cappello. Lo speciale contiene quattro articoli, gallery fotografiche e video.«È di cattivo gusto per Gucci usare l'immagine delle camicie di forza […] Mostrare queste malattie come oggetti di scena per vendere i vestiti nel sistema capitalista di oggi è volgare, banale e offensivo per quei milioni di persone nel mondo afflitte da questi problemi». Con un post sul suo profilo Instagram, la modella Ayesha Tan Jones - meglio conosciuta come Yaya Bones - ha spiegato il perché di quel messaggio scritto sui palmi delle mani durante la sfilata di Gucci di domenica scorsa. Ma facciamo un passo indietro. Il marchio, guidato da Alessandro Michele, è uno dei nomi più importanti nel portfolio di Kering (il secondo gruppo di moda più grande al mondo) e nel 2018 ha registrato un fatturato di 4.6 miliardi di euro (il 62% dei ricavi del gruppo). Solo nei primi sei mesi del 2019, Gucci ha guadagnato più che nel corso di tutto il 2016 e secondo alcune stime, entro il 2020 dovrebbe raggiungere i 10 miliardi di euro complessivi. Un incredibile successo che ha reso il marchio un'eccellenza in Italia e nel mondo. Complice dell'interesse attorno a Gucci è la visione di Michele, completamente fuori dagli schemi. Le sue scelte hanno più volte fatto parlare: tutti i ricordiamo quelle finte teste portate sotto braccio lungo la passerella o la campagna pubblicitaria per la nuova linea beauty con la cantante Dani Miller, al cui sorriso mancano i denti tra incisivi e canini. Domenica scorsa, durante la presentazione della nuova collezione estiva, abbiamo assistito a una serie di modelli sfilare immobili lungo un tapis roulant con indosso quelle che sembrano delle camicie di forza, prima che la musica partisse e con essa la vera e propria passerella. Per Alessandro Michele il messaggio è chiarissimo: «Le uniforme, i vestiti utilitari, gli abiti normativi, incluse le camicie di forza sono state inserite nella sfilata primavera-estate 20202 di Gucci come la visione più estrema dell'uniforme imposta dalla società e da chi la controlla». Opinione non condivisa da Ayesha Tan Jones che davanti a decine di flash ha alzato le mani per mostrare il suo grido silenzioso: «La salute mentale non è moda». La modella ha spiegato come molte sue colleghe abbiano condiviso la sua presa di posizione e come tutti i soldi guadagnati dalla sfilata verranno devoluti a un'associazione che si occupa di igiene mentale. Sull'account ufficiale del brand è stato specificato che i capi erano «funzionali allo show e non saranno venduti», sottolineando nuovamente l'intenzione da parte del direttore creativo di mostrare l'importanza dell'espressione personale. Sempre Gucci ha spiegato come gli 89 look presentati in passerella «trasmettono il concetto di moda come strumento di esplorazione e auto espressione, coltivando la bellezza e rendendo la diversità sacrosanta». Indubbiamente la collezione, più minimal ed elegante delle precedenti, sarà un successo di pubblico (oltre che di critica), ma la protesta di Yaya Bones mette in luce un quesito su cui il mondo della moda dovrebbe riflettere. Non dovrebbero forse essere i capi ad arrivare ai potenziali clienti, senza la necessità di utilizzare queste - spesso insensibili - trovate pubblicitarie?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)