
Pd e Terzo polo ottengono il via libera all’esame alla Camera. I renziani esultano. Nel centrodestra c’è l’incognita Forza Italia.In un popolare quiz, quando un concorrente è in difficoltà conclamata ha il diritto di chiedere un aiuto da casa. In politica, per le opposizioni al governo Meloni casa vuol dire Bruxelles, e in generale tutti i vincoli che l’Ue ha posto o vorrebbe porre al nostro Paese. E così ieri a Montecitorio, con un tempismo allo stesso tempo perfetto e sospetto, il fronte dei partiti di minoranza per una volta magicamente unito è riuscito a far inserire nel calendario d’aula la discussione delle proposte di legge per la ratifica del Mes. Col presidente della Repubblica in visita nelle zone alluvionate dell’Emilia-Romagna senza alcun esponente dell’esecutivo e con i leader dei partiti d’opposizione (soprattutto Elly Schlein e Giuseppe Conte) alle prese con le giustificazioni e i distinguo per la Caporetto delle elezioni amministrative, gli esponenti del centrosinistra con le spalle al muro hanno deciso di tirare il maniglione d’emergenza nella riunione dei capogruppo della Camera di ieri pomeriggio.Un maniglione il cui allarme risuona direttamente nella capitale belga, poiché facendo leva sul regolamento di Montecitorio, che prevede una quota di iniziative di legge da discutere in aula da riservare alle opposizioni ogni volta che si appronta il calendario, Pd e Terzo Polo hanno portato a casa l’avvio della discussione della proposta targata Azione-Iv sulla ratifica del nuovo Meccanismo europeo di stabilità, il quale come è noto prevede condizioni e vincoli più severi per gli Stati dell’Ue che volessero accedervi. Tanto da essere stato giudicato a più riprese dalla nostra maggioranza di governo un commissariamento mascherato per chi fosse costretto a farvi ricorso. Non a caso, l’Italia non ha ancora ratificato la nuova formulazione del Mes, e questo ha innescato un pressing sempre più forte da parte di Bruxelles e dei partiti italiani più vicini all’attuale leadership comunitaria.La volontà che il governo italiano ratifichi a tutti i costi è stata più volte ribadita da Ursula von der Leyen in persona ed è stata fatta filtrare in maniera sempre meno soft anche dal Colle. Il segnale politico chiarissimo inviato dalle urne al primo turno e ai ballottaggi delle amministrative ha fatto il resto, e ha suggerito ai partiti sconfitti di passare al piano B, tentando di mettere in difficoltà il governo Meloni sul fronte europeo. A maggior ragione se si pensa che la riforma del Mes (che una mozione votata qualche mese dalla maggioranza ha chiesto al governo di non ratificare) è sul tavolo assieme ad altri dossier buoni da usare per gli avversari di Palazzo Chigi come spine nel fianco, a partire dalle risorse del Pnrr, passando per la riforma in senso più flessibile di un Patto di Stabilità che con l’arrivo della pandemia ha rivelato tutta la sua insostenibilità, senza dimenticare il nodo balneari.Per ora il presidente della Camera Lorenzo Fontana, in ossequio al regolamento, ha manifestato l’impegno a calendarizzare per fine giugno (verosimilmente il 30) la discussione generale della proposta di ratifica. C’è bisogno dunque di una conferma della data in questione, al netto del fatto che dall’incardinamento in aula di un pdl all’esame vero e proprio (che prevede il voto degli emendamenti e degli articoli) può passare molto tempo. Le dichiarazioni degli esponenti dell’opposizione che hanno commentato gli esiti della riunione dei capigruppo lasciano però intendere gli obiettivi politici dell’iniziativa. «Finalmente la Camera si potrà pronunciare», ha affermato il dem e «figlio d’arte» Piero De Luca, «e il governo non potrà più tergiversare. Il nostro Paese è chiamato a dimostrare la sua serietà in Europa per il rispetto degli impegni presi, ne va della credibilità dell’Italia e della stabilità dell’intera zona euro». Il capogruppo di Azione-Iv Matteo Richetti ha aggiunto di voler andare «in fondo su questa battaglia necessaria a non far perdere credibilità all’Italia». Il renziano Luigi Marattin è uscito ancor più allo scoperto, sfidando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti col riferimento ad alcune sue dichiarazioni di qualche giorno fa: «Avremo modo», ha detto, «di verificare se ha ragione il ministro Giorgetti quando dice che il Parlamento è contrario». In effetti, nel perimetro della maggioranza, va verificata la posizione di Forza Italia, anche alla luce di recenti dichiarazioni come quella di Alessandro Cattaneo, che aveva aperto (tra gli applausi di Italia Viva) a un possibile voto favorevole, per essere poi parzialmente corretto da Licia Ronzulli. Mentre anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha più volte affermato che, magari con qualche modifica al testo originario, il suo partito sarebbe in linea di principio non contrario alla ratifica della riforma del Mes, sulla quale però persiste una serie di perplessità. Consapevole della situazione, la Lega ha già battuto un colpo attraverso il senatore Claudio Borghi, tra i più convinti avversari del Meccanismo europeo di stabilità: «Vedo che il Mes arriverà al voto alla Camera. È giusto, è una proposta di legge delle opposizioni e hanno tutti i diritti di chiederne la votazione. Ovviamente mi auguro che non sarà votata dalla maggioranza dei deputati».
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
I magistrati sostengono che chi ha conquistato l’istituto si è messo d’accordo su cosa fare. Ma questo era sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di intercettazioni. E se anche il governo avesse fatto il tifo, nulla cambierebbe: neanche un euro pubblico è stato speso.
Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.






