2023-11-04
Il premier eletto dal popolo alle urne per chiudere l’era dei «re» al Colle
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni presenta «la madre di tutte le riforme». Nega di voler limitare il capo dello Stato, ma in caso di crisi dell’esecutivo, il timone l’avranno la politica o i cittadini: «Decidano loro, basta maggioranze arcobaleno».Giorgia Meloni scaglia «la madre di tutte le riforme» contro lo spauracchio dei governi tecnici: «Non ci sarà più la possibilità di fare maggioranze arcobaleno», spiega, soddisfatta, durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del cdm di ieri. Con le modifiche alla Costituzione che introducono l’elezione diretta del presidente del Consiglio, in effetti, il governo stabilisce che l’inquilino di Palazzo Chigi possa essere «sostituito solo da un parlamentare». C’è anche una polizza anti ribaltoni. Se il premier dovesse decadere o dimettersi, il capo dello Stato avrebbe soltanto due possibilità: provare a riaffidargli l’incarico, oppure nominare un altro esponente della stessa maggioranza, che sieda alla Camera o in Senato. Ed è questo l’effetto principale della riforma istituzionale promossa dal centrodestra: togliere dalle mani del presidente della Repubblica il pallino delle crisi politiche.notai e protagonistiLa leader di Fratelli d’Italia evita di vendere il premierato come un assalto alle prerogative del Quirinale. «Il ruolo del presidente della Repubblica», ribadisce, «è di assoluta garanzia e noi abbiamo deciso di non toccarne le competenze, salvo l’incarico al presidente del Consiglio, che viene eletto». Anzi, la Meloni aggiunge che, con Sergio Mattarella, «c’è stata un’interlocuzione, come avviene sempre con provvedimenti importanti di questo tipo». Tuttavia, le opzioni del capo dello Stato sono state limitate in un ambito dirimente. E le conseguenze saranno evidenti, quando gli esecutivi entreranno in difficoltà. È vero che le fasi più drammatiche degli ultimi trent’anni - dopo Tangentopoli, lo spread e il Covid - sono state gestite da premier «prestati» alla politica. Ma a prendere il timone, quando il mare era in tempesta, sono stati proprio i presidenti. Per intenderci: senza la direzione di Giorgio Napolitano, Mario Monti sarebbe rimasto seduto dietro una cattedra. Certi capi dello Stato hanno interpretato la loro funzione in senso interventista. Altro che notai; attori protagonisti. Così, un decennio dopo Napolitano, alla fine del Conte bis, Mattarella ha legittimamente negato elezioni anticipate, aggrappandosi alla fragile giustificazione del rischio di contagiarsi alle urne e conferendo l’incarico a Mario Draghi. Premier tecnico, battezzato da una scelta politica quirinalizia. La cui epopea risale almeno al mandato di Oscar Luigi Scalfaro: nominando Lamberto Dini, nel 1995, fu lui a far installare il primo governo integralmente tecnico della storia repubblicana. Ecco qual è la novità vera che introduce la riforma. Essa intende mettere fine all’era dei «re» al Colle. Mira a correggere la deriva che si è accentuata negli ultimi dodici anni: alla debolezza del Parlamento e alla fragilità di un esecutivo non dovrà più sopperire la regia del Quirinale. Semmai, si dovrà restituire la parola al popolo. Il premier di Fdi lo sottolinea: la norma, approvata all’unanimità dal cdm, «garantisce obiettivi che dall’inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare».Poi c’è il mantra della stabilità: «Negli ultimi 75 anni abbiamo avuto 68 governi con una vita media di un anno e mezzo», sottolinea Meloni. In assenza di un «orizzonte di legislatura», si sono creati «un problema di credibilità internazionale», oltre che un incentivo a privilegiare «la spesa corrente invece che gli investimenti». Argomenti validi, al netto di qualche precisazione: all’epoca della prima Repubblica, la stabilità del Paese non era correlata ai «governi balneari». Era assicurata dalla tanto vituperata partitocrazia, con la Dc quale chiave di volta del sistema. Il punto è che i tempi sono cambiati. Il fulcro delle democrazie si è spostato dalle assemblee legislative agli esecutivi. Solo il governo ha gli strumenti per agire rapidamente e rispondere alle esigenze pressanti dei cittadini. Basta una chiacchierata al bar: la gente già ragiona come se eleggesse il premier. Non è casuale che il deficit democratico rimproverato all’Europa sia localizzato nel suo organo esecutivo, la Commissione. Non è casuale neppure che gli scettici delle urne, sedotti dal mito della tecnocrazia, reputino un vantaggio che l’Ue sia stata messa «al riparo dal processo elettorale» (parola del solito Monti). Con la riforma costituzionale, in teoria, il governo guarisce il vulnus che stava sterilizzando il voto degli italiani. Sebbene qualcuno paventi uno scenario «venezuelano», poiché manca un limite alle possibilità di rielezione del premier.la lezione di renziPuò aver ragione la Meloni a intravedere una svolta, «che ci porta nella terza Repubblica». La politica dovrà ritrovare sé stessa: se rimane friabile, vittima volontaria del vincolo esterno, a salvarla non basterà una legge elettorale, nemmeno con un generoso premio di maggioranza (il 55% dei seggi spetterebbe alle liste collegate al presidente vincitore).Sul progetto si è espresso con compiacimento anche il vicepremier, Matteo Salvini. Il quale ha tuttavia auspicato che il rafforzamento del governo centrale proceda di pari passo con l’applicazione di «quello che la Costituzione ad oggi prevede in termini di autonomia». Adesso, l’iter della legge presuppone si trovi un accordo con le opposizioni in Parlamento, come spera il ministro delle Riforme, Elisabetta Alberti Casellati. Serve il sì dei due terzi dell’Aula. Altrimenti, agli elettori sarà chiesto se condividono l’entusiasmo per la sterzata democratica. Almeno, Meloni è abbastanza accorta da non giocarsi tutte le fiches su questo: l’eventuale flop del referendum «nulla ha a che fare con l’andamento del governo». La storia di quel tale premier di origini fiorentine ha insegnato qualcosa.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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