2023-10-20
Dentro la mangiatoia cinema. Maxistipendi ai soliti registi e soldi a film senza spettatori
Gli aiuti di Stato alle produzioni italiane sono un pozzo senza fondo: quasi un miliardo dissipato per pellicole che non vede nessuno. Ma se ipotizzi risparmi, la sinistra piange.È tutto un cinema. Il governo decide di tagliare i fondi, la lobby di Cinecittà supportata dai politici di riferimento «chiagne» con più pathos di Elsa Fornero dopo la sforbiciata alle pensioni e il ministro Gennaro Sangiuliano usa il freno a mano. Invece di risparmiare 100 milioni ci saranno solo «tagli fisiologici» attorno ai 35 milioni. La sinistra si rianima, l’esecutivo è perplesso e il contribuente italiano continuerà a strapagare film di scarso valore, che nessuno va a vedere, destinati a prendere polvere nel deposito degli oggetti dimenticati di Indiana Jones. Con l’unica speranza di essere riesumati in tv a Ferragosto al posto del monoscopio.Il tema decisivo per le sorti del Paese ha indignato Matteo Renzi («Una scelta allucinante, finiremo con il rimpiangere Tremonti») e risvegliato anche Elly Schlein, che ieri ha tuonato: «Non ha precedenti che un ministro della Cultura inviti il collega del Mef a tagliare fondi al cinema oltre quelli richiesti. Un settore strategico per l’Italia la cui sofferenza è nota a tutti, tra l’altro». Allora è interessante andare a toccare con mano l’importanza strategica del settore, l’indispensabile contributo a opere epocali come Sherlock Santa e Ladri di Natale di Francesco Cinquemani, costati complessivamente 15 milioni, con un contributo statale di 4 milioni e un incasso di 13.000 euro. Allora è fondamentale chiedersi quale sia stato l’impatto popolare di Prima di andare via di Massimo Cappelli che ha ricevuto 700.000 euro di contributo pubblico e nelle sale ha richiamato ben 29 spettatori.I numeri sono impietosi e spazzano via difese d’ufficio e barricate della gauche cinematografara, rimasta ai tempi d’oro di Dario Franceschini. In realtà, negli ultimi sette anni il fondo «per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo» è passato dai 423,5 milioni del 2017 agli 885,4 milioni del 2021, assestandosi a 746 milioni del 2023. Un’enormità.Le cifre erano state raddoppiate nel biennio della pandemia per sostenere un settore che non sarebbe sopravvissuto fra lockdown, green pass e paure indotte dall’emergenza sanitaria. Allora era necessario salvaguardare tecnici, sceneggiatori, personale dello spettacolo senza risorse. Poi le sale sono state riaperte e oggi continuare a sussidiare il comparto pompando quasi un miliardo sarebbe assurdo; chi ha razionalizzato il Reddito di cittadinanza ha tutto il diritto di riprendere in mano il dossier cinema per rivedere al ribasso i lauti contributi a film con ritorni irrisori.Qualche esempio è doveroso. Era ora di Alessandro Aronadio, storia di un ritardatario cronico, e My soul summer di Fabio Mollo sono costati 3 milioni l’uno, hanno beneficiato di 1,2 milioni di euro a testa di denari pubblici e hanno incassato in tandem meno di 7.000 euro. Nell’era dello streaming, le sale non sono l’unica fonte di reddito, ma in questi casi i generosi investimenti dello Stato sono stati in forte perdita. Se qui si parla di registi emergenti, da incoraggiare, ben altro impatto hanno i numeri dei big della locandina.Chi si lamenta dovrebbe sapere che il banchetto del cinema sulle spalle dello Stato rimane un pranzo di Babette. We are who we are (2020), miniserie di Luca Guadagnino per Hbo e Sky Atlantic è stata finanziata dal Fondo per il cinema (strumento il credito d’imposta) per 13,2 milioni, con 2,4 milioni come compenso per il regista legittimamente attribuito dai produttori. Grazie Fondo. Ai produttori della doppia serie A casa tutti bene 1 e 2 di Gabriele Muccino, regista sempre molto attento a cavalcare battaglie progressiste, l’ente pubblico ha dato in totale 6,3 milioni con il credito d’imposta, che hanno consentito all’autore di incamerare 3,3 milioni di compensi. Il cast è stellare, con Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Laura Morante. Non siamo critici cinematografici, è possibile che ne meritasse perfino di più, ma ciò non toglie che le lacrime del settore e dei suoi sponsor politici siano fuori luogo. Altri beneficiati speciali sono I leoni di Sicilia di Paolo Genovese sulla saga della famiglia Florio (finanziamento pubblico 8,7 milioni, compenso per lui 1,4 milioni) ed M-Il figlio del secolo di Joseph Maximilian Wright, tratto dal best seller di Antonio Scurati, finanziato con 14,9 milioni dal ministero (1,7 il cachet del regista). A Saverio Costanzo è riuscito il doppio colpo: il film Finalmente l’alba, viaggio nella Hollywood sul Tevere con Lily James e Willem Dafoe ha portato a casa 9,5 milioni dallo Stato italiano, mentre la serie L’amica geniale ne ha ottenuti 10,5. Anche grazie a questi finanziamenti, i produttori hanno potuto garantirgli 3,1 milioni complessivi per le due opere. Sicuri che sia il caso di versare lacrime amare? Oltre ai finanziamenti pubblici raddoppiati nell’era Franceschini e ai compensi milionari a registi oggi in gramaglie per i tagli, vanno notati altri dettagli. Il primo riguarda 20 film (da The last ride of the wolves di Alberto De Michele a Uomo di fumo di Giovanni Soldati, da Come le tartarughe di Monica Dugo a Gli attassati di Lorenzo Tiberia) che hanno avuto meno di 1.000 spettatori ciascuno, per un incasso medio di poco più di 2.000 euro a fronte di un contributo pubblico totale di 11,5 milioni. Un bagno di sangue al quale si aggiunge l’esplosione delle richieste di tax credit: nel 2019 riguardavano 122 opere, nel 2021 ben 464, quasi il quadruplo. L’anno scorso la corsa all’oro si è stabilizzata a 409 domande, un livello comunque impossibile da reggere per opere esanimi che vanno nelle sale pochissimi giorni.Neppure l’obiezione «siamo il fanalino di coda d’Europa» regge. Con questo bengodi di finanziamenti, negli ultimi tre anni l’Italia ha prodotto più lungometraggi di Inghilterra, Spagna, Germania e perfino della Francia dei cahiers du cinèma (239 contro 197 nel 2021) incassando regolarmente un terzo, 306 milioni nel 2022 contro un miliardo abbondante dei transalpini. Mentre loro realizzano film vincenti, i nostri eroi dell’assistenzialismo artistico si aggrappano al reddito di cinemanza.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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