2022-03-15
Mast collection: la fotografia dell’industria, del lavoro e della tecnologia in mostra a Bologna
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Nei moderni spazi espositivi della Fondazione Mast di Bologna, in mostra sino al 28 agosto una straordinaria raccolta di oltre 500 immagini di grandi fotografi italiani e internazionali (ma anche di artisti anonimi) che hanno saputo raccontare e interpretare il variegato mondo dell’industria e del lavoro, dal XIX secolo ai giorni nostri. Con lo sguardo aperto sul futuro.All’interno gallerie espositive, un auditorium, un accademy, una caffetteria, un nido scuola e persino un centro welness. All’esterno un parco che è un museo a cielo aperto di arte contemporanea, con sculture di Olafur Eliasson, Anish Kapoor, Arnaldo Pomodoro e Mark Di Suvero. Questo, in sostanza, il MAST di Bologna, dove MAST sta per Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, moderno centro polifunzionale e spazio culturale d’avanguardia, creato nei primi anni del 2000 dall’omonima Fondazione MAST come punto di riferimento per la fotografia dell'industria e del lavoro. Nel giro di pochi anni, le numerose acquisizioni di immagini da case d'asta, collezioni private, gallerie d'arte, fotografi ed artisti, unite al già consistente patrimonio della Fondazione (una straordinaria raccolta di filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album e cataloghi) hanno fatto della Collezione della Fondazione MAST l’unico centro di riferimento al mondo di «fotografia industriale », con più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una vasta selezione di materiale fotografico di autori sconosciuti.E la mostra in corso (in programma sino al 22 maggio), intitolata «The MAST Collection - A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology» e curata da Urs Stahel, è la prima, grande esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione: ad occupare tutti gli spazi espositivi del MAST, un susseguirsi di immagini iconiche di fotografi famosi ( ma anche meno noti se non addirittura ignoti) e di un gran numero di artisti che hanno testimoniano visivamente la storia del mondo industriale e del lavoro. A colpire lo sguardo del visitatore, la straziante bellezza della madre migrante di Dorothea Lange, un’immagine del 1936, ma – purtroppo – così straordinariamente attuale; oppure la forza degli operai di un pozzo petrolifero immortalati dal Sebastiao Salgado, un vortice di movimenti, schizzi e spruzzi che sembrano quasi uscire dall’immagine; e, ancora, la calca claustrofobica di Shanghai, magistrale scatto del Maestro Henri Cartier-Bresson o il bambino sul passeggino di Mimmo Jodice, il gioioso sorriso che contrasta con il grigio di Bagnoli. E poi, a fare da contrasto a queste immagini storiche e in bianco e nero, ai paesaggi cupi dell’industria pesante e del duro lavoro manuale, ecco gli scintillanti impianti high-tech e l’universo digitale del robot di Thomas Demand o il braccio meccanico di Peter Fraser, quasi bello sullo sfondo fucsia. Pochi, emblematici esempi, per dare l’idea dei contenuti di questa esposizione, strutturata in 53 capitoli che raccontano di vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. La forma espositiva è quella di un alfabeto, che permette di mettere in rilievo un sistema di concetti che parte dalla A di Abandoned e Architecture e arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth. Come ha dichiarato Urs Stahel «L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere ... La fotografia è figlia dell'industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento». Ed è in queste parole che è racchiusa tutta l’essenza della mostra…
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.