
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, punta a ritagliarsi un ruolo di mediazione tra Ucraina e Russia: una strategia con cui cercherà di continuare a oscillare tra Washington e Mosca. Sabato scorso, Erdogan e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, hanno tenuto dei colloqui a Istanbul sulla crisi del Donbass. In particolare, il Sultano ha dichiarato: «Ci auguriamo che la preoccupante escalation osservata recentemente sul campo finisca il prima possibile, che il cessate il fuoco continui e che il conflitto venga risolto attraverso il dialogo sulla base degli accordi di Minsk». «Siamo pronti a fornire tutto il supporto necessario per questo», ha aggiunto. L'incontro tra Erdogan e Zelensky è avvenuto nel mezzo di una escalation che si sta verificando nel Donbass. Appena pochi giorni fa, il presidente ucraino si era recato in visita nella regione per incontrare le truppe e aveva invocato un'accelerazione dell'ingresso di Kiev nella Nato. Una posizione, questa, che aveva suscitato la dura reazione del Cremlino. Tra l'altro, sempre sabato, il ministro della Difesa ucraino, Andrii Taran, ha criticamente sostenuto che Mosca stia cercando di fare pressione su Kiev per far fallire i negoziati, aumentando la sua presenza militare al confine. Ha tuttavia aggiunto che l'Ucraina non si tirerà indietro. Sotto questo aspetto, non dobbiamo dimenticare che la Turchia intrattenga da tempo saldi legami con Kiev: tutto ciò, nonostante negli ultimi quattro anni Erdogan abbia trovato svariati spazi di collaborazione con Vladimir Putin (si pensi, per esempio, alla Siria e –parzialmente– alla Libia). Lo scorso ottobre, la Turchia e l'Ucraina hanno firmato degli accordi di cooperazione militare, rafforzando un partenariato per la Difesa, principalmente inteso come uno sforzo per controbilanciare l'influenza della Russia sulla regione del Mar Nero. Nel 2019, Kiev aveva raggiunto un'intesa per l'acquisto di droni di fabbricazione turca. Inoltre Ankara, insieme a Londra e Washington, sostiene la ricostruzione della marina ucraina. Questa serie di convergenze non è da considerarsi accidentale, ma viene ad inserirsi in un quadro più generale. Non soltanto infatti la Turchia fa notoriamente parte della Nato, ma in alcune aree (come l'Europa orientale e l'Asia centrale) i suoi interessi cozzano spesso con quelli di Mosca. In tal senso, non solo Ankara è favorevole all'ingresso di Kiev nell'Alleanza atlantica, ma si è anche da sempre schierata contro l'intervento russo in Crimea, difendendo – al contrario – costantemente l'integrità territoriale dell'Ucraina. Ad ottobre scorso, Erdogan ebbe non a caso a dire: «Consideriamo l'Ucraina un Paese chiave in termini di sicurezza e stabilità della nostra regione. In questo quadro, abbiamo sempre sostenuto e continueremo a sostenere la sovranità e l'integrità territoriale, inclusa la Crimea, dell'Ucraina. La Turchia non ha riconosciuto e non riconosce l'annessione della Crimea». Tra l'altro, secondo il Royal United Services Institute, sembrerebbe che il Sultano consideri la Crimea un caso, per così dire, legato a quello del Nagorno-Karabakh: il che spiegherebbe l'appoggio da lui contemporaneamente dato a Ucraina e Azerbaigian. Due Stati che, non a caso, intrattengono strettissimi legami con Ankara. In tal senso, non va trascurato che, l'anno scorso, la Turchia sia diventata il primo fornitore di gas di Baku, scalzando la Russia. Qual è dunque la strategia ucraina di Erdogan in vista del prossimo futuro? Le parole di sabato non sembrerebbero preludere, da parte del Sultano, a una presa di posizione nettamente antirussa. Come detto, il presidente turco collabora con il Cremlino su vari fronti. Senza poi dimenticare che Erdogan si fosse comunque telefonicamente sentito con Putin venerdì scorso. È quindi più probabile che, pur mantenendosi più vicino alle ragioni di Kiev, il Sultano voglia in realtà ritagliarsi un ruolo di mediatore nella crisi. Il che, questo è forse il suo ragionamento, gli consentirebbe di tenere il proverbiale piede in due staffe. Da una parte, Erdogan non vuole rompere drasticamente e irrimediabilmente con il Cremlino: in tal senso, tre settimane fa, ha definito «inaccettabile» il fatto che Joe Biden avesse definito il presidente russo un killer. Dall'altra, il leader turco deve però tenere anche conto del cambio di passo alla Casa Bianca: la nuova amministrazione americana sta infatti tenendo una postura sempre più aggressiva nei confronti di Mosca. Un elemento che ha spinto Zelensky a riallineare integralmente Kiev a Washington e che non può non turbare il Sultano: quel Sultano che non vuole essere evidentemente costretto a scelte di campo troppo nette.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





