2020-06-28
Ma quale razzismo, chi attacca le statue cerca di demolire la figura del padre
La statua di Colbert a Parigi imbrattata con vernice rossa (Ansa)
Dietro gli sfregi ai monumenti c'è una feroce spinta distruttiva contro chi ha costruito il mondo e ha saputo durare nel tempo.La furia contro le statue svela innanzitutto la violenza dell'odio di chi le abbatte. Negli sfregi, mutilazioni, distruzioni dei monumenti, chi li compie è posseduto da una feroce spinta distruttiva, diretta contro qualcosa di forte, stabile: come appunto la statua e la vita della persona cui è dedicata. È una disperata protesta contro chi è stato capace di fare e cambiare il mondo, e durare nel tempo. La particolare violenza di questi episodi rivela che (tecnicamente) non si tratta di posizioni ideologiche o di pensiero quanto proprio di accessi di follia distruttiva. Che a quanto pare si sta diffondendo collettivamente, aiutata anche dal venire presentata come una buona pratica o come una posizione culturale o ideologica. Mentre invece qui non siamo neppure nel campo delle suggestioni generiche o delle nevrosi, ma proprio delle psicosi. In questi episodi chi conquista la piazza, venendo pubblicamente omaggiata e portata ad esempio, è la follia di distruzione verso la vita e le sue manifestazioni nella storia e nella società. Perché si scatena questo autolesionismo e cosa lo provoca? Sono (anche oggi) le società malate e in decadenza a non reggere il rapporto con la loro grandezza passata, la loro storia. Per apprezzare il passato occorre essere stati iniziati a prove sufficientemente dure e complesse da riattivare le capacità sviluppate dagli antenati nel costruirlo. La trasmissione declamatoria, la statua proposta senza che chi la guarda abbia mai dovuto sperimentare uno sforzo simile a quello di chi in essa è rappresentato, è una celebrazione vuota, una rendita parassitaria che non educa chi la riceve, ma anzi lo mette a disagio. Questo è appunto il dramma dell'Occidente contemporaneo. Abbiamo statue, ma non vogliamo più fare battaglie e sforzi, neppure simboliche, che consentano un contatto vivo con quelle esperienze.Già Orazio, parlando del passaggio dalla Grecia a Roma, sottolineava come il trasferimento del potere (translatio imperi) richiedesse anche il trasferimento del sapere (translatio studi). A questi demolitori di statue però non è stato trasferito il sapere, le conoscenze, esperienze e abilità, di chi è raffigurato nella statua. L'iconoclasta, più o meno consciamente, lo sente, e ne soffre; anche per questo regredisce nell'atto psicotico, la protesta infantile che precede qualsiasi formazione dell'Io, e attacca la statua. E la società continua nella sua trasmissione di ignoranza, presentando il proprio impoverimento come fosse un'azione culturale. Lo stesso fenomeno accade nelle famiglie: solo i discendenti che si sono formati con una buona dose di fatica e disciplina nell'azione apprezzano e accettano il valore degli antenati. Come mostrano bene le due forme presenti nella decadenza attuale: il relativismo cinico accompagnato da una dittatura pavida (quella che nella Grecia antica manda a morte Socrate accusandolo di corrompere i giovani). Naturalmente il razzismo non c'entra nulla: è la scusa usata per liberarsi della propria storia, imbarazzante non perché scandalosa o immorale, ma perché troppo impegnativa (anche dal punto di vista etico, della riflessione seria, non di maniera, sul bene e sul male). È come l'«amante del nonno», nota da sempre e forse un po' desiderata dai nipoti, ma sbandierata come colpa solo quando serve per mettere le mani più in fretta sull'eredità del vecchio. Certo il razzismo negli Usa esiste con tutte le sue ambiguità fin dalla loro fondazione, reso ancor più torbido dai tentativi di liberarsene. In Europa però dove non c'è (almeno finora, ma continuare a urlare al lupo al lupo si sa che è il modo migliore per farlo arrivare), già da almeno 20 anni si buttano comunque giù statue di protagonisti della storia, e nelle università si chiede la damnatio memoriae di personaggi del passato coraggiosi o ingombranti. La protesta contro il razzismo del passato è il puritanesimo del nuovo millennio nei confronti dei propri avi, il tentativo di ridare all'Europa una verginità impossibile. L'Europa è troppo antica e ricca per essere immacolata: chiederglielo confonde la storia dell'uomo con la storia della Salvezza.Buttar giù statue eccellenti e mettere all'indice testi e frasi è però anche la forma assunta nel nuovo millennio dalla «rivolta contro il padre» lanciata cinquant'anni fa. È soltanto uno slogan, risonante ma altrettanto insensato del «Lénin-Stàlin- Mào-Tsè-Tùng» del 1968 e seguenti. L'urlo psicotico di una generazione imbarazzata dalla storia impegnativa del mondo cui appartiene. Un passato ingombrante, che un po' intuisce, ma neppure conosce veramente, perché la generazione dei padri, altrettanto imbarazzati, non s'è neanche presa la briga di raccontargliela. Al di fuori di qualche «fermo immagine», talmente fermo e ripetitivo da rischiare di diventare maniera, per esempio sostituendo la storia vera con una canzone, tra l'altro importata dal nemico e all'epoca anche poco cantata, come «Bella ciao». Si sa però che a non raccontare più la storia, la realtà, le cose come stanno, nascono i mostri, le paure, le paranoie, appunto la follia. Come mai, però, da 75 anni non raccontiamo più la storia vera, e siamo alle prese con storie assurde, matti che martirizzano le statue di tipi inappuntabili, e Trump che deve minacciare 10 anni di prigione per quietarli un po'? Il fatto è che poco dopo la fine della seconda guerra mondiale non c'è più stato spazio per la storia degli uomini, i loro ideali, le loro speranze e passioni, i loro scontri e i loro incontri. Al posto della storia chi tornò dalla guerra trovò pronta un'altra narrazione, onnipresente, che spiegava tutto, condizionava tutto e rimuoveva tutto ciò che non riconoscesse il suo primato: l'economia (assieme alla tecnica, le grandi vincitrici del conflitto). Era quello ciò che importava, il centro della vita occidentale: la produzione, il guadagno procurato dal consumo; tutto il resto non aveva più importanza. La decapitazione della storia occidentale, ristretta ora in un modello di sviluppo materno, centrato sul consumo e la soddisfazione dei bisogni (da moltiplicare continuamente, anche con le invenzioni della tecnica) comincia allora. Per fortuna, del resto, perché c'era un intero continente da ricostruire: cosa che avvenne rapidamente, e piuttosto bene. Manca, tuttavia, qualcosa di indispensabile.Manca, appunto, la storia, il passato, il padre (quello terreno e quello celeste). Il percorso accidentato e tormentato, ma bellissimo, dall'ebraismo alla Grecia a Cristo, al mondo romano, al Medio Evo, Rinascimento e conquista del mondo da parte di questo piccolissimo continente che è la nostra terra. Mancano padri che ti mostrino la strada fatta, e ti insegnino ad andare avanti, con coraggio e fatica. Per questo i figli, ormai privi di un'identità, e quindi di speranze, abbattono le statue dei padri del passato. Per invidia, debolezza, rabbia, disperazione. Per nostalgia per quell'indispensabile figura (oggi «scorretta» e accantonata). Senza la quale non si può vivere.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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