2024-10-03
Ma ora gli arabi tifano Israele contro l’Iran
Il giorno dopo l’attacco, le monarchie del Golfo e il mondo sunnita non si levano a difesa di Teheran: sauditi e alleati spingono per un suo indebolimento. Joe Biden a Benjamin Netanyahu: non colpire i siti nucleari.Premessa. Se l’Iran è in grado di destabilizzare il Medioriente è anche grazie agli assist della sinistra europea e soprattutto americana. Dalla Mogherini a Borrell, passando per Renzi e D’Alema, Obama e Biden: la trattativa (iniziata nel 2015) verso un’intesa sul nucleare ha nutrito le ambizioni dei pasdaran. Così l’attuale presidente Usa ha iniziato il mandato alleggerendo la presa su Teheran e lo sta finendo nel modo peggiore. Costretto a mettere a disposizione i Thaad, missili anti missile, per fermare i balistici che l’altra sera sono piombati su tutta Israele. Un tema su cui rifletteranno gli elettori americani e su cui dovrà confrontarsi anche la Commissione Ue che si sta insediando. Si vedrà. Nel frattempo però l’attacco con i missili balistici mostra anche un segno tangibile dell’appoggio di oltre metà del mondo arabo a Israele. Per la precisione il mondo sunnita composto da Arabia Saudita, guidata da Mohammed bin Salman, Giordania, Emirati Arabi e Bahrein. Gerusalemme è tutt’altro che isolata e se - o meglio quando - deciderà di contrattaccare gli iraniani riceverà il placet silenzioso dei vicini più ricchi e convinti che il Medioriente debba concentrarsi sugli affari e sul produrre ricchezza. Abbiamo avuto più volte modo di analizzare come dietro la scelta di Hamas alla base del pogrom del 7 ottobre ci fosse il tentativo di far saltare gli accordi di Abramo. Un accordo diretto tra sauditi e israeliani sponsorizzato dalla Casa Bianca ai tempi di Donald Trump. Quest’anno però nella sua turbolenza sembra aver creato un effetto opposto. Nell’incapacità di Biden di prendere decisioni, Gerusalemme e gli «alleati» sunniti hanno preso l’iniziativa e sterzato parecchio la barra. Con l’eliminazione dei vertici di Hezbollah e il ripristino della superiorità tecnologica di Israele (basti pensare all’operazione dei cercapersona), Teheran si è trovata costretta alla mossa disperata dei missili. Disperata nel senso che ha ulteriormente coalizzato l’altra parte della mezzaluna islamica. Abu Dhabi e Dubai nell’ultimo anno, tanto per fare un esempio, hanno visto crescere i flussi di investimenti esteri e si sono posti come garanti della finanza mediorientale. Se non marcheranno la distanza dall’Iran, i due emirati rischiano di assistere in poche settimane a una fuga di capitali ingestibile. E non ne hanno alcuna intenzione. D’altra parte Teheran spinge nella direzione opposta, dimostrando di avere un arsenale che oltre Gerusalemme può colpire anche i cugini-nemici.Senza contare che allo stesso tempo, gli attacchi missilistici potrebbero riflettere pressioni interne all’Iran. L’assassinio di leader chiave, tra cui la figura politica di punta di Hamas a Teheran e comandante dell’Irgc, Abbas Nilforoushan, ha probabilmente incoraggiato elementi intransigenti all’interno del governo e dell’esercito iraniani, che potrebbero spingere per una posizione più aggressiva nei confronti di Israele. Queste dinamiche interne, unite al contesto geopolitico più ampio, suggeriscono che la situazione potrebbe continuare a peggiorare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Senza però cambiare la sostanza complessiva. L’obiettivo strategico di medio termine, infatti, sarebbe quello di erodere la presenza militare americana nell’area e costringere Israele a tenere tutti i fronti aperti per indebolirsi non solo militarmente, ma anche economicamente. L’obiettivo strategico di lungo termine sarebbe invece quello di rafforzare il sostegno di Russia e Cina. L’altro ieri, il ministro iraniano per gli Affari economici e le finanze, Abdol Nasser Hemmati, ha ospitato un importante incontro diplomatico con il ministro russo per lo sviluppo economico, Maxim Reshetnikov, a Teheran. Al di là dei bla bla bilaterali, si è deciso di dare il via a un corridoio commerciale basato sull’ampliamento e sviluppo della linea ferroviaria Rasht-Astara. Non è un dettaglio. È un segnale di riallineamento contro l’Occidente e sicuramente anche in risposta alle sanzioni Ue alla Russia. Come non è un dettaglio l’esercitazione militare congiunta che si è tenuta in Oman. Lunedì e martedì le forze di terra iraniane Artesh, insieme all’aeronautica, hanno partecipato all’esercitazione militare «Mountain Falcons 1» nella provincia di Jebel al Khader. La località non è casuale. Serve ad addestrare l’esercito per azioni di pronto intervento e, al tempo stesso, per essere sotto gli occhi di tutti gli altri Paesi sunniti. Come sempre, però, ci sono gli errori di calcolo. La strategia iraniana - va detto - è di solito molto puntuale e attenta alle numerose variabili, perché ha sviluppato decenni di guerra laterale con l’uso dei cosiddetti «proxy», gli alleati locali. Adesso, intensificando gli attacchi con missili balistici realmente pericolosi, Teheran sta scommettendo (e in scia gli Usa) sul fatto che Tsahal, l’esercito di Gerusalemme, non risponda su larga scala. Non usi bombe termonucleari per azzerare la capacità di sviluppo dell’atomo e per annientare le basi logistiche delle Guardie della Rivoluzione. Ieri Biden ha tenuto a precisare che tali siti non debbano essere bombardati. Non stupisce, vista la politica che ha tenuto fino ad ora.Ma questo equilibrio è fragile, e con i dem a rosolare lo è ancor di più. Così i leader di Teheran capiscono di stare camminando su una linea sottile tra il raggiungimento dei loro obiettivi strategici e l’innesco di un conflitto che potrebbe portare alla loro stessa caduta.
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