L’annuncio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, secondo cui l’Iran non sta rispettando i suoi impegni nucleari e detiene uranio arricchito al 60%, sta suscitando preoccupazione in Israele e negli Stati Uniti. Si tratta di un livello prossimo a quello richiesto per le armi nucleari, e il rifiuto dell’Iran di collaborare con gli ispettori sta aumentando le preoccupazioni circa gli ulteriori sviluppi. L’Iran ha annunciato che aprirà un nuovo sito di arricchimento e aggiornerà le centrifughe in uso, il che potrebbe accelerare il tasso di arricchimento. Nonostante l’escalation delle tensioni nella regione, il ministro degli Esteri dell’Oman, Badr Albusaidi, ha confermato giovedì su X che Muscat ospiterà domenica il sesto ciclo di colloqui sul dossier nucleare tra Stati Uniti e Iran. Fonti citate da CbsNews riferiscono che Israele avrebbe notificato agli Stati Uniti la propria disponibilità a intraprendere un’azione militare contro l’Iran. Secondo l’emittente, l’amministrazione americana teme che una simile escalation possa spingere Teheran a colpire obiettivi statunitensi, in particolare in Iraq. È anche per questo motivo che, nella giornata di ieri, Washington ha consigliato ad alcuni cittadini americani di lasciare la regione. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sollevato preoccupazioni circa una possibile offensiva israeliana contro i siti nucleari iraniani, affermando che un attacco «potrebbe effettivamente verificarsi», nel contesto di un’escalation crescente attorno al programma atomico di Teheran. «Non direi che sia imminente, ma sembra qualcosa che potrebbe davvero accadere», ha dichiarato Trump rispondendo alla domanda di un giornalista. Poi ad una domanda su come ridurre le tensioni con Teheran, Trump ha ribadito la sua posizione: «Non possono ottenere un’arma nucleare. È molto semplice: non possono avere un’arma nucleare». Il ministro della Difesa iraniano, Aziz Nasirzadeh, ha dichiarato mercoledì che «qualsiasi attacco contro l’Iran verrebbe seguito da una risposta diretta contro le basi militari statunitensi presenti nella regione». Un alto esponente del governo di Teheran, citato dal New York Times, ha rivelato che le autorità civili e militari iraniane hanno già predisposto un piano per un’immediata rappresaglia contro Israele, che prevede il lancio di centinaia di missili balistici. Nel mese di ottobre, la Repubblica islamica ha effettivamente scatenato un massiccio attacco missilistico contro Israele. Tuttavia, la maggior parte dei razzi è stata intercettata grazie ai sistemi di difesa aerea israeliani e al supporto fornito dagli alleati regionali e dagli Stati Uniti. I raid di rappresaglia condotti da Israele nello stesso mese inflissero gravi danni alle difese aeree iraniane. Secondo diversi analisti, Tel Aviv potrebbe colpire nuovamente con un’operazione militare preventiva, approfittando della finestra temporale in cui la Repubblica islamica non ha ancora ripristinato appieno il proprio apparato di difesa antiaerea. Ma Israele può attaccare l’Iran senza l’aiuto Usa? Dal punto di vista tecnico e strategico tale scenario appare poco plausibile. Gli impianti per l’arricchimento dell’uranio in Iran sono stati progettati per resistere ad attacchi esterni: si trovano a centinaia di metri di profondità, nascosti nelle montagne, in alcuni casi fino a mezzo chilometro sottoterra. Per danneggiarli, o anche solo raggiungerli, sarebbero necessarie bombe «bunker buster» di ultima generazione, armamenti di cui l’esercito israeliano non dispone ma che sono in possesso degli Stati Uniti. Inoltre, un’operazione aerea di tale portata richiede il rifornimento in volo dei caccia dell’aeronautica israeliana, un’operazione complessa che, allo stato attuale, non può essere realizzata senza il sostegno operativo americano. Domenica al termine dei colloqui in Oman tra Iran e Usa ne sapremo certamente di più.
Premessa. Se l’Iran è in grado di destabilizzare il Medioriente è anche grazie agli assist della sinistra europea e soprattutto americana. Dalla Mogherini a Borrell, passando per Renzi e D’Alema, Obama e Biden: la trattativa (iniziata nel 2015) verso un’intesa sul nucleare ha nutrito le ambizioni dei pasdaran. Così l’attuale presidente Usa ha iniziato il mandato alleggerendo la presa su Teheran e lo sta finendo nel modo peggiore. Costretto a mettere a disposizione i Thaad, missili anti missile, per fermare i balistici che l’altra sera sono piombati su tutta Israele. Un tema su cui rifletteranno gli elettori americani e su cui dovrà confrontarsi anche la Commissione Ue che si sta insediando. Si vedrà. Nel frattempo però l’attacco con i missili balistici mostra anche un segno tangibile dell’appoggio di oltre metà del mondo arabo a Israele. Per la precisione il mondo sunnita composto da Arabia Saudita, guidata da Mohammed bin Salman, Giordania, Emirati Arabi e Bahrein. Gerusalemme è tutt’altro che isolata e se - o meglio quando - deciderà di contrattaccare gli iraniani riceverà il placet silenzioso dei vicini più ricchi e convinti che il Medioriente debba concentrarsi sugli affari e sul produrre ricchezza. Abbiamo avuto più volte modo di analizzare come dietro la scelta di Hamas alla base del pogrom del 7 ottobre ci fosse il tentativo di far saltare gli accordi di Abramo. Un accordo diretto tra sauditi e israeliani sponsorizzato dalla Casa Bianca ai tempi di Donald Trump. Quest’anno però nella sua turbolenza sembra aver creato un effetto opposto. Nell’incapacità di Biden di prendere decisioni, Gerusalemme e gli «alleati» sunniti hanno preso l’iniziativa e sterzato parecchio la barra. Con l’eliminazione dei vertici di Hezbollah e il ripristino della superiorità tecnologica di Israele (basti pensare all’operazione dei cercapersona), Teheran si è trovata costretta alla mossa disperata dei missili. Disperata nel senso che ha ulteriormente coalizzato l’altra parte della mezzaluna islamica. Abu Dhabi e Dubai nell’ultimo anno, tanto per fare un esempio, hanno visto crescere i flussi di investimenti esteri e si sono posti come garanti della finanza mediorientale. Se non marcheranno la distanza dall’Iran, i due emirati rischiano di assistere in poche settimane a una fuga di capitali ingestibile. E non ne hanno alcuna intenzione. D’altra parte Teheran spinge nella direzione opposta, dimostrando di avere un arsenale che oltre Gerusalemme può colpire anche i cugini-nemici.
Senza contare che allo stesso tempo, gli attacchi missilistici potrebbero riflettere pressioni interne all’Iran. L’assassinio di leader chiave, tra cui la figura politica di punta di Hamas a Teheran e comandante dell’Irgc, Abbas Nilforoushan, ha probabilmente incoraggiato elementi intransigenti all’interno del governo e dell’esercito iraniani, che potrebbero spingere per una posizione più aggressiva nei confronti di Israele. Queste dinamiche interne, unite al contesto geopolitico più ampio, suggeriscono che la situazione potrebbe continuare a peggiorare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Senza però cambiare la sostanza complessiva.
L’obiettivo strategico di medio termine, infatti, sarebbe quello di erodere la presenza militare americana nell’area e costringere Israele a tenere tutti i fronti aperti per indebolirsi non solo militarmente, ma anche economicamente. L’obiettivo strategico di lungo termine sarebbe invece quello di rafforzare il sostegno di Russia e Cina.
L’altro ieri, il ministro iraniano per gli Affari economici e le finanze, Abdol Nasser Hemmati, ha ospitato un importante incontro diplomatico con il ministro russo per lo sviluppo economico, Maxim Reshetnikov, a Teheran. Al di là dei bla bla bilaterali, si è deciso di dare il via a un corridoio commerciale basato sull’ampliamento e sviluppo della linea ferroviaria Rasht-Astara. Non è un dettaglio. È un segnale di riallineamento contro l’Occidente e sicuramente anche in risposta alle sanzioni Ue alla Russia. Come non è un dettaglio l’esercitazione militare congiunta che si è tenuta in Oman. Lunedì e martedì le forze di terra iraniane Artesh, insieme all’aeronautica, hanno partecipato all’esercitazione militare «Mountain Falcons 1» nella provincia di Jebel al Khader. La località non è casuale. Serve ad addestrare l’esercito per azioni di pronto intervento e, al tempo stesso, per essere sotto gli occhi di tutti gli altri Paesi sunniti.
Come sempre, però, ci sono gli errori di calcolo. La strategia iraniana - va detto - è di solito molto puntuale e attenta alle numerose variabili, perché ha sviluppato decenni di guerra laterale con l’uso dei cosiddetti «proxy», gli alleati locali. Adesso, intensificando gli attacchi con missili balistici realmente pericolosi, Teheran sta scommettendo (e in scia gli Usa) sul fatto che Tsahal, l’esercito di Gerusalemme, non risponda su larga scala. Non usi bombe termonucleari per azzerare la capacità di sviluppo dell’atomo e per annientare le basi logistiche delle Guardie della Rivoluzione. Ieri Biden ha tenuto a precisare che tali siti non debbano essere bombardati. Non stupisce, vista la politica che ha tenuto fino ad ora.
Ma questo equilibrio è fragile, e con i dem a rosolare lo è ancor di più. Così i leader di Teheran capiscono di stare camminando su una linea sottile tra il raggiungimento dei loro obiettivi strategici e l’innesco di un conflitto che potrebbe portare alla loro stessa caduta.




