2019-01-04
Ma nessuno pensa all’estinzione degli italiani
Nel suo discorso di fine anno il capo dello Stato Sergio Mattarella ha dimenticato l'emergenza denatalità. Eppure senza famiglia e figli non c'è futuro. Allo stesso modo non si parla di vita e libertà di educazione nelle agende dei nuovi soggetti politici sedicenti cattolici.Alcuni eventi del primo giorno del 2019 - apparentemente molto distanti, ma in realtà fra loro strettamente correlati - devono indurci a qualche pacata riflessione. Per brevità e chiarezza proviamo a metterli in fila, riservandoci - al termine - qualche considerazione. Dunque, il primo bimbo nato in Italia, pochissimi minuti dopo la mezzanotte, è un bel maschiotto di 4,5 chili, carnagione olivastra, figlio di una coppia cingalese. Nome: Italo, come segno di gratitudine verso il nostro Paese. Il primo bimbo nato nella mia città, Brescia, ha nome Youssef, figlio di una coppia originaria della Tunisia. Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, giustamente molto apprezzato, ha «dimenticato» di affrontare quella che possiamo considerare la più grande emergenza del Belpaese: la denatalità, l'estinzione demografica del popolo italiano, sterilizzato da una diffusa mentalità che oscilla come un pendolo fra i due capisaldi della negazione (se non distruzione) della famiglia naturale e della sessualità «usa e getta» ove la procreazione è l'ultimo degli scopi. Da ultimo, ma certamente non ultimo per l'assoluta autorevolezza dell'autore, il discorso di papa Francesco all'Angelus di Capodanno, in cui si perora l'assunzione di responsabilità da parte di tutti, nessuno escluso, per costruire la «buona politica», a servizio del «bene comune».Possiamo partire da quest'ultimo evento, chiedendoci quale possa essere la «buona politica». Paolo VI (e ancor prima di lui, Pio XII) la definì «alta forma della carità», che ha lo scopo di rendere possibili «quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione». Questo è il «bene comune» secondo la Costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 74) del Concilio Vaticano II. Dunque, le parole del Papa suonano come un appello rivolto a tutti a riprendere in mano, con coraggio e determinazione, la costruzione politico sociale del nostro Paese. E non è per nulla la prima volta che il Pontefice affronta il tema. Giovedì 25 aprile 2015, nell'Aula Paolo VI, nel silenzio pressoché totale dei media (sempre pronti a riprendere e strumentalizzare i suoi discorsi quando appaiono funzionali al «politicamente corretto» radical chic imperante), pronunciò parole molto forti sul tema: «Un partito solo dei cattolici non serve, e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. Ma un cattolico può fare politica?», si chiede il Papa, «Deve… la grande e la piccola politica. Si può diventare santi facendo politica... bisogna andare avanti tutti i giorni con quell'ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti». Ora, dopo i terremoti sociali che hanno funestato dal 1968 in avanti la società italiana, è necessario costruire partendo da fondamenta «antisismiche», che non possono che essere la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, della famiglia società naturale fondata sul matrimonio e la libertà di religione e di educazione. Tornando al nostro discorso d'apertura, senza famiglia e senza figli non c'è futuro, signor presidente Mattarella, e la nostra amata Repubblica si avvia alla desertificazione. È necessario un intenso lavoro, culturale e politico economico al tempo stesso, per ridare fiducia all'istinto procreativo che c'è nel cuore di ogni donna e ogni uomo. Certo è che, finché si sostengono come diritti civili, con tanto di plauso sociale, dannose leggi che trasformano la famiglia in una contingente convivenza sessual-affettiva, la morte in una scelta pianificata a valenza suicidaria, la soppressione del «più debole dei deboli» in utero in un diritto di libertà, insieme alla selezione eugenetica degli aventi diritto o meno di nascere, si sta andando esattamente nella direzione opposta rispetto a quella cultura della vita che fa crescere la società. Si stanno manipolando le anime stesse dei nostri cittadini, che si commuovono di fronte all'impoverimento della barriera corallina nei Caraibi e magari fremono di sdegno per il riscaldamento del pianeta e il disgelo dei poli, ma non sono più capaci di versare neppure una lacrima pensando ai milioni di bimbi uccisi in utero e sono diventati cinici e indifferenti di fronte al mercato delle donne, dalla pornografia alla prostituzione, passando per la compera degli uteri per soddisfare desideri altrui. Un popolo che non piange i suoi figli, che non fa figli perché sono un peso, un costo, un limite alla carriera e alla libertà individuale, come potrà commuoversi di fronte alla morte e al male di altri che non sono suoi figli, magari percepiti come pericoli o avversari? Quando la coscienza è corrotta dal «diritto di aborto», parlare di umanità, solidarietà, accoglienza, condivisione corre il rischio di essere solo retorica.Passando al concreto, bene ha fatto il Comune di Verona a legiferare a favore di politiche economiche che possono prevenire la scelta abortiva, nel rispetto della libera scelta della donna. Con l'augurio che tante altre amministrazioni seguano questo virtuoso modello. Bene hanno fatto i senatori Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello e Laura Bianconi a trasformare in ddl la richiesta che da molti anni avanza Carlo Casini con il Movimento per la vita, circa il riconoscimento della soggettività giuridica di ogni essere umano fin dal concepimento, o il ddl in materia di reato di surrogazione di maternità commesso all'estero. Bene ha fatto questo governo a inserire e approvare la condanna dell'utero in affitto nel pacchetto della lotta alla violenza sulla donna. Certo si può (e si deve) fare molto di più, ma sappiamo tutti molto bene che la coperta economica italiana è molto corta. Bisogna fare una scelta, come si diceva negli anni Settanta, di «volontà poltica»: partendo da campagne culturali mediatiche a costo zero (quasi non c'è fiction - anche in prima serata - in cui non si promuovano baci ed effusioni amorose tra persone dello stesso sesso, mentre non si propone quasi mai una famiglia con due genitori che affrontano, insieme ai loro figli - magari numerosi - le mille difficoltà della vita), per arrivare a provvedimenti legislativi ed economici che sostengano e concretizzino quei valori. Sulla scena partitica italiana le schizofrenie a danno della vita si sprecano e ciò comporta un attento lavoro di discernimento da parte di noi, poveri e semplici elettori.In Europa, non stiamo per nulla meglio. Anzi, l'europeismo virtuoso impone che si guardi con ancora più attenzione a ogni singolo candidato. Il nostro voto va dato a chi pone in testa al suo programma la promozione e la difesa dei tre principi fondamentali già citati, che - personalmente - continuo a definire «non negoziabili». Certamente non è credibile, né difendibile chi ha operato in direzione esattamente opposta, dalle unioni civili all'eutanasia. E per chi è, o almeno si considera, cattolico esiste un monito ben chiaro, che non va dimenticato: «Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, non è mai lecito conformarsi a essa, né partecipare a una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare a essa il suffragio del proprio voto» (San Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, n.74). Vale per tutti: uomini e donne, laici cattolici e religiosi… vale anche per i sedicenti parlamentari cattolici.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)