2022-08-15
Ma dopo il crollo del ponte Morandi i Benetton hanno ricevuto 16 miliardi
Ieri il ricordo delle 43 vittime grondava retorica. Hanno ragione i familiari a ribadire che «la ferita è sempre aperta». E che a far male più di tutto sono proprio i troppi soldi finiti nelle tasche di chi gestiva l’autostrada. «Genova non dimentica». Così ieri hanno giurato in coro le autorità riunite sotto il nuovo ponte di Genova, là dove quattro anni fa, il giorno prima di Ferragosto, morirono 43 persone e altre 11 rimasero ferite a causa dell’incuria dello Stato e della criminale inosservanza delle più elementari norme di sicurezza pubblica. Sì, proprio così: nell’anniversario del crollo, di fronte alle telecamere e a uno sparuto gruppo di cronisti, sindaci, amministratori, ministri e alte istituzioni, se la sono cavata impegnandosi a ricordare i dispersi del Morandi. Una promessa scontata. Come si fa a scordarsi una strage dovuta alla scarsa manutenzione di un viadotto costruito con i soldi pubblici e mantenuto per 50 anni da altri soldi pubblici sotto forma di pedaggio autostradale? Come si fa a rimuovere dalla propria memoria, e soprattutto dalla propria coscienza, il fatto che 43 persone innocenti, colpevoli solo di recarsi al lavoro, di essere in viaggio per le vacanze oppure di dover effettuare una consegna, siano cadute nel vuoto a bordo dei loro automezzi perché il ponte, per il cui attraversamento avevano acquistato il biglietto, si è sbriciolato sotto di loro come un grissino?Come si può non rammentare che 43 persone hanno pagato con la vita la scelta di utilizzare la rete autostradale dello Stato, che quello stesso Stato, a cui per anni avevano versato le tasse, aveva dato in concessione a imprenditori privati, i quali invece di garantire il servizio si erano serviti dell’infrastruttura pubblica per fare ancora più soldi? Già, come si fa ad ascoltare messaggi di solidarietà, conditi con assicurazioni che nessun’altra strage del genere potrà mai ripetersi, quando, dopo quattro anni, non solo nessun responsabile della strage ha pagato, perché il processo non si è ancora concluso e forse quando si concluderà i reati saranno caduti in prescrizione, ma addirittura gli imprenditori titolari della concessione sono ancora più ricchi di prima? Lo so, i giornalisti dovrebbero attenersi ai fatti, separandoli dalle opinioni, limitandosi dunque alla nuda cronaca. Ma ci sono casi per cui chi fa il mio mestiere fatica a rimanere dentro i binari ed è costretto a schierarsi, dicendo ciò che pensa, senza fermarsi davanti alle commemorazioni. Il disastro di Genova è una vergogna nazionale. Non solo per ciò che è emerso quando il ponte venne giù di schianto, travolgendo uomini, donne, bambini e automezzi. No, non c’è soltanto la mancata manutenzione, l’utilizzo della cosa pubblica per fare sempre più utili ai danni della salute pubblica. C’è anche quello che è venuto dopo, ossia le promesse mancate, il traccheggiamento durato anni, l’impunità reiterata dei responsabili, l’assoluta mancanza di una certezza del diritto. Nei giorni scorsi Verità&Affari, il quotidiano gemello del nostro, ha ricostruito quanto i Benetton si sono messi in tasca e ciò che lo Stato ha pagato per riappropriarsi di una cosa sua, ovvero di Autostrade. Nonostante le promesse, sebbene Giuseppe Conte si fosse affrettato a dichiarare che il suo governo non avrebbe atteso i tempi della giustizia e che la «caducazione» della concessione sarebbe stata immediata, ci sono voluti quattro anni e una montagna di miliardi perché lo Stato riacquistasse ciò che gli italiani, con le loro tasse, hanno contribuito a costruire. La famiglia dei magliai di Ponzano Veneto non è uscita dalla vicenda con le tasche vuote, come molti politici minacciavano, ma con il portafogli pieno. Secondo le stime, si è portata a casa quasi sei miliardi e si è liberata di circa dieci miliardi di debiti. In altre parole, gli imprenditori che dovevano pagare lo Stato per avere avuto in concessione un bene pubblico, dopo il disastro hanno ricevuto dallo Stato 16 miliardi. Mica male per chi il 14 agosto di quattro anni fa rischiava di essere travolto insieme al crollo del ponte. Ovvio. Quarantatré morti morti non si possono dimenticare. Ma non si può dimenticare anche ciò che è avvenuto dopo. Come si fa a commemorare i defunti senza dire niente di come si fregano le mani i vivi? Come tacere che alla fine, tutto si concluderà senza colpevoli e con il risarcimento di coloro che avrebbero dovuto conservare il bene pubblico e vigilare sull’incolumità degli utenti? Hanno ragione i famigliari delle vittime, i quali, mentre ieri la retorica dominava i discorsi delle autorità, si sono limitati a ricordare che «la ferita è sempre aperta», ma soprattutto che a far più male è «la cessione della concessione». Il danno e la beffa: un Paese che dopo aver contato le vittime è costretto a pagare per riavere ciò che era suo.
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