2025-04-23
Il 25 aprile è lutto nazionale
Il governo proclama cinque giorni di cordoglio e invita alla sobrietà nelle manifestazioni per la Liberazione. Fratoianni e compagni insorgono: «Siete allergici all’antifascismo». Neppure le esequie del «Papa degli ultimi» devono fermare l’eterna propaganda rossa.In piena e comprensibile celebrazione a reti unificate di Jorge Mario Bergoglio come della riconosciuta «unica speranza per la sinistra» (Cit. Fausto Bertinotti), piomba sulle coscienze intimamente religiose degli ex comunisti la contraddizione che già nei culti politeisti antichi poteva non di rado affacciarsi. A causa dei cinque giorni di lutto nazionale decretati del Consiglio dei ministri e vista la prossimità dei funerali del Papa, previsti per sabato 26, l’invito generico alla sobrietà che tale lutto ha indotto, ha urtato non tanto le concrete possibilità di tenere le solite manifestazioni per il 25 aprile, quanto i riflessi condizionati ed i nervi particolarmente tesi di chi sta osservando una serie di cambiamenti che forse non comprende. Purtroppo non si può nascondere che in prossimità della festa della Liberazione da sempre, insieme ai cortei pacifici e partecipati da persone composte, si sono registrati odiosi episodi collaterali di danneggiamenti di tombe e lapidi e di scritte inneggianti alla violenza ed alla guerra civile, tutte circostanze che un lutto nazionale di cinque giorni dovrebbe evitare ancor più del solito. Il comunicato di adesione che il Partito democratico ha prontamente emanato a ridosso della proclamazione del lutto nazionale è solo apparentemente misurato, visto che sospende le attività politiche fino al 24, giusto in tempo per poter scendere in piazza per festeggiare la Liberazione. Ma per un Pd che cerca di salvare le apparenze, c’è tutta una sinistra che, al contrario, ha pensato bene di prendere le distanze dal richiamo alla sobrietà partito dal ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, quasi inducendo l’idea che alcuni, in occasione del 25 aprile, avessero pensato ad un rave party o ad un corteo con tanto di scontri con la polizia e vetrine rotte che fa molto Parigi del maggio ’68 ma che oggi rischierebbe di risultare stucchevole. A partire dall’esponente di Avs Angelo Bonelli, che dopo aver definito «assurde» le dichiarazioni di Musumeci ha attaccato: «Il 25 aprile non è una festa in discoteca o un happy hour, ma il giorno in cui si ricorda la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, grazie alla Resistenza che ci ha poi condotti alla democrazia». Non da meno il suo collega di schieramento Nicola Fratoianni, che ha liquidato l’appello del governo definendolo «una allergia alla Liberazione dal fascismo e dal nazismo». Più pacati i toni dell’Anpi, che ha evitato di trascendere nella polemica politica, ma ha comunque confermato «le iniziative promosse, che si svolgeranno ovviamente in piena civiltà e senso di responsabilità e nel dovuto rispetto della giornata di lutto». Beata gioventù e beata nostalgia, a volte occorre scendere a patti con la realtà anche a scapito del romanticismo. Ma oltre ai discorsi di opportunità e di decoro che possono sempre passare per borghesi, qui si tratta di ben altri paradossi giacché i funerali di cui si parla non sono quelli di un «nemico del popolo» bensì proprio del più grande amico che il popolo ha avuto in questi ultimi dodici anni e tra la festa e il funerale cosa ha la precedenza? Non è una questione secondaria né di scarso significato giacché da sempre, specialmente nelle società politeiste, i conflitti di culto hanno rivestito ruoli di grande importanza. Erano noti e frequenti, ad esempio, i conflitti di preminenza tra le varie sedi oracolari dell’antichità, dove Delfi rivestiva la parte del centro di maggiore importanza a scapito di altre località secondarie insofferenti a tale primato, per non parlare poi delle competizioni interne agli stessi ambiti religiosi il cui esempio più tipico risale alla sovrapposizione e conseguente competizione tra culto di Marte, divinità classica ed anticamente accettata, e culto di Mitra, divinità nuova e di grande impatto presso le componenti più popolari degli eserciti romani del tardo Impero. Appaiono così in fondo comprensibili, a maggior ragione nell’arena politica, le rivendicazioni a «non accettare bavagli» da parte di coloro che si trovano nella condizione di dover, allo stesso tempo, commemorare i riti di vittoria e far fronte ai riti funebri per colui che, appena eletto, si recò a Lampedusa a benedire i barconi, colui che fino a un minuto fa stavamo sentendo descrivere come una guida dalla saggezza irrinunciabile, dotato della forza morale di delineare le linee politiche di una sinistra equa, solidale ed inclusiva la quale, tuttavia, se è il 25 aprile non può accettare lutti nazionali. Come sempre, nelle dinamiche mimetiche, il problema non sta nei funerali di papa Francesco e nell’oggettiva importanza di un rito che tutto il mondo riconosce come centrale, sta invece nel fatto che il lutto nazionale l’abbia decretato il governo guidato dalla nemica del popolo, quella Giorgia Meloni che ultimamente sta ottenendo un po’ troppi successi per imporre anche «limiti» alla piazza dell’antifascismo militante a prescindere da funerali, lutti o accadimenti di sorta e a prescindere, soprattutto, dalla simbolicità di tali limiti: loro non possono farlo e basta. Leggere comunicati di protesta come quelli di Bonelli e Fratoianni, per un generico richiamo alla sobrietà in occasione dei funerali di un Papa che la storia e la provvidenza hanno visto assurgere a punto di riferimento della sinistra, comunicati per di più basati sullo straniante riferimento agli «eredi della Repubblica di Salò», risulta talmente surreale da sembrare la sequenza di una serie televisiva distopica sulla vita di Benito Mussolini in affannosa ricerca di pubblico. Ma forse da ringraziare più di chiunque altro è il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, che proibisce la musica «fuori dai locali» e chiude i teatri cittadini fino ai funerali del papa, ricordando a tutti cosa sia effettivamente un «lutto nazionale». I funerali in festa o i festeggiamenti funerei sono ossimori che nemmeno una società così parossisticamente inclusiva come quella degli ultimi anni può permettersi, e se c’è da scegliere cosa conti di più tra le due cose allora forse Bergoglio era solo un utile «compagno di strada».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)