Da quattro giorni prosegue ininterrotto lo psicodramma che ha per protagonista Lorenza Roiati, fornaia di Ascoli Piceno divenuta il nuovo emblema dei progressisti italiani. Ciò è avvenuto non per via della nobile e faticosa professione della signora, a cui non risulta che la sinistra nostrana abbia prestato più di tanta attenzione negli anni, ma a causa della presunta persecuzione a cui l’artigiana sarebbe stata sottoposta per via delle sue idee politiche.
La vicenda è arcinota: la Roiati il 25 aprile ha esposto fuori dal suo negozio quello che ha definito «lenzuolo antifascista». Una sorta di striscione con scritto «Il 25 aprile, buono come il pane bello come l’antifascismo». Prima una volante della polizia di Stato e poi la polizia locale si sono recate sul posto per verificare quanto stesse accadendo. Non risulta che sia stato preso alcun provvedimento repressivo né altro nei confronti della fornaia. Secondo il sindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravanti, si è trattato di controlli previsti dalla legge, e alla peggio la panetteria potrebbe dover pagare il costo dell’affissione pubblica, cosa che sarebbe avvenuta anche se avesse esposto un foglio con i prezzi.
La Roiati tuttavia ha denunciato l’accaduto sui social parlando di intimidazione, poi è tornata sul tema dopo che ad Ascoli è stato esposto uno striscione - dagli ovvi risvolti politici - che accusava il suo forno di emanare un cattivo odore. «Non sono preoccupata per gli striscioni vigliaccamente appesi di notte come è nello stile dei fascisti», ha detto Roiati alla stampa, «ma sono preoccupata per il clima che si sta diffondendo oggi: gli antifascisti fermati per un nonnulla, i fascisti con il braccio tesa la fanno franca. Non ho paura perché sono cresciuta con i racconti di nonno e zio erano due partigiani che hanno combattuto contro i fascisti veri».
Sull’imprescindibile questione si è immediatamente pronunciata Elly Schlein: «Quegli striscioni intimidatori e fascisti», ha scritto sui social la segreteria del Pd, «non sono solo un insulto a lei, ma a tutte e tutti coloro che si riconoscono nei principi antifascisti della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza. Con la stessa meticolosità con cui nella giornata del 25 aprile sono state chieste le generalità di Lorenza per ben due volte, si accertino i responsabili di questi insulti fascisti inaccettabili». Ovviamente pure il sindaco Fioravanti, esponente di Fratelli d’Italia, non poteva esimersi dal «condannare fermamente i vergognosi striscioni comparsi stanotte in città», altrimenti lo avrebbero sottoposto al trattamento riservato ai peggiori fascisti. Ovvero quelli che la pacifica fornaia ascolana gradirebbe vedere appesi, almeno stando alle sue dichiarazioni.
Questo, del resto, è l’atteggiamento che la sinistra italica mantiene riguardo alla memoria. La vuole condivisa sulla carta, ma quando si tratta di rispettare ricorrenze e celebrazioni appartenenti alla cultura di destra, ecco che la musica cambia. Basti vedere che cosa è accaduto anche quest’anno per l’anniversario della morte di Sergio Ramelli. Non si comprende che cosa si possa eccepire sul ricordo di un ragazzo appena diciottenne ammazzato a colpi di chiave inglese sulla testa dopo settimane e settimane di persecuzioni e intimidazioni, tutto per aver criticato le Brigate rosse in un tema. Eppure i cari progressisti ancora pretendono di occultare, di sminuire. Ieri mattina, per dire, il Comune di Sesto San Giovanni ha dedicato una area verde a Ramelli, e nella notte precedente l’inaugurazione sul posto è stato trovato un volantino con scritto: «È un’infamia. Sesto ripudia la dedica di questo spazio a un fascista». E questo è il meno. Ieri sera e questa sera a Sesto e Ciniselle Balsamo sono state messe in piedi due iniziative ipocritamente intitolate «Nessuno spazio per l’odio» e supportate da Anpi, Partito democratico, Italia viva, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi e sinistra, Emergency e altre realtà sinistrorse. Nei comunicati ufficiali si leggeva: «Le giunte di destra usano ai fini politici la morte di un ragazzo ergendolo a simbolo di un passato in cui le colpe sembrano risiedere solo in una parte politica, dimenticando che quelli erano anche gli anni degli attentati neofascisti (su cui non si spende una sola parola) e che ci furono altri ragazzi vittime della destra fascista. Invece di ricordare tutti i morti e di lavorare per unire, si sceglie di dividere le nostre comunità». Insomma, Ramelli non va ricordato perché divisivo. E poi bisogna ricordare il terrorismo nero, e dunque in qualche modo giustificare il vile omicidio di Sergio.
Cose simili accadono un po’ ovunque in Italia. A Novate Milanese domenica il Pd ha organizzato un presidio per chiedere che non venisse posata una targa per Ramelli ma una genericamente dedicata alle «vittime della violenza politica e dell’estremismo». In varie altre città l’Anpi si oppone all’intitolazione di vie o piazze alla memoria del giovane missino (è successo a Monza, a Recanati e in vari altri Comuni). E anche quando la sinistra accetta di ricordare, lo fa sempre con un certo imbarazzo. Tanto che il presidente del Senato Ignazio La Russa - con una dichiarazione contenuta nel libro Il ragazzo che non doveva morire, della cronista di Repubblica Federica Venni, e che domani verrà presentato alla libreria del Convegno, a Milano, con Piero Colaprico e Guido Salvini - ha invitato il primo cittadino milanese Beppe Sala a commemorare l’anniversario indossando la fascia tricolore (cosa mai fatta in precedenza). «Quando un sindaco viene convintamente indossando la fascia tricolore e non senza e ci viene perché la memoria di Sergio Ramelli è una memoria di tutti e ricordarlo non è un obbligo, sarà più facile convincere i ragazzi a venire a quella cerimonia senza bisogno di farne un’altra a parte», ha detto La Russa. Vedremo se oggi Sala accoglierà la richiesta, ma è comunque vergognoso che si debba pregare un sindaco apparentemente liberal di onorare ufficialmente Ramelli: dovrebbe farlo spontaneamente, perché non si tratta di fare una concessione ma di avere un sussulto di dignità. Ma forse a sinistra hanno speso troppe energie a compiangere una fornaia che ha subito un controllo di polizia, e non hanno più lacrime da spendere per un diciottenne massacrato in nome dell’odio ideologico.







