2020-12-23
L’uomo di Benetton incastra Patuanelli
Giovanni Castellucci (Ansa)
Il dirigente messo sotto accusa dai 5 stelle per il crollo del Morandi, una volta uscito da Autostrade lavorava con lo Sviluppo economico per piazzare Alitalia. Ad Air France si presentava come plenipotenziario: «Ho tirato fuori dai guai anche Enrico Letta». La perizia di 4 consulenti del giudice di Genova: «Problemi a un tirante difettoso». Lo speciale contiene due articoli. Un uomo «senza scrupoli per la vita degli utenti delle autostrade», che dopo la tragedia del ponte Morandi, continua a provare a «scalare» le società del gruppo o a riciclarsi come presidente con deleghe per Alitalia. Era questo il profilo dell'ex amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci, disegnato dai giudici del Tribunale del riesame di Genova. Dalle carte dell'inchiesta emergono le manovre del manager per proporsi al vertice della nuova Alitalia mostrandosi quasi come l'«uomo all'Avana» del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Vediamo perché. Agli atti, tra le intercettazioni, spunta una conversazione telefonica avuta nella tarda mattinata del 25 ottobre 2019 tra Castellucci e Joerg Eberhart, amministratore delegato di Air Dolomiti, compagnia area controllata da Lufthansa. Facciamo una premessa: in quei giorni il manager italiano, abbandonato da poco il timone di Atlantia, aveva affidato a Eberhart un messaggio da portare a Carsten Spohr, ad della controllante Lufthansa, candidandosi a presidente «con deleghe» della nuova Alitalia, nel caso la compagnia tedesca fosse entrata, al posto di Delta, nella cordata con Atlantia. I due iniziano a ragionare su un possibile incontro a Roma con Spohr nelle settimane seguenti. Passa qualche mese e il 9 gennaio 2020 Bernard Spitz (amministratore indipendente della compagnia e presidente del Polo Internazionale ed europeo di Medef, l'organizzazione francese degli imprenditori) chiama Castellucci per commentare un duro articolo uscito su Le Monde sul ritiro dei candidati partner di Alitalia «ancora alle prese con una profonda crisi» in cui vengono citati sia Eberhart sia Atlantia. A proposito di questi incontri e delle trattative in corso, Castellucci rassicura Spitz e sottolinea di sapere abbastanza bene «cosa voglia dire riservatezza, essere riservati». Piuttosto, definisce quella dell'articolo «una visione esterna» spiegando che il governo «ha una soluzione completa con il capitale, qualcuno che se ne occupi sai, ma altrimenti sono pronti a lanciarsi in un accordo commerciale con Lufthansa fatto dal Commissario aspettando che arrivi effettivamente l'investitore». Dunque i tedeschi sono pronti per un accordo commerciale e qui Castellucci comincia a vantarsi: «Eh eh... Perché sfortunatamente sono io che ho convinto il governo sul fatto che Lufthansa è la migliore e quando l'ho convinto l'accordo era che Lufthansa doveva investire... io sono uscito». Spitz anticipa a Castellucci che il giorno successivo avrebbe potuto parlare con Benjamin Smith, amministratore delegato di Air France-Klm, per parlare della trattativa con Lufthansa e nel caso rimandare a un incontro da fare a Parigi. «Prima con me e poi con il ministro…», gli precisa subito Castellucci. Spitz non capisce: «Il ministro… quale ministro?», chiede. «Beh, colui che se ne occupa… è Patuanelli» aggiungendo anche «certo, soprattutto con me, ecco…». Insomma, prima i vertici francesi devono incontrare lui e poi Patuanelli. Lo stesso ministro in quota Cinque Stelle che da una parte lanciava bordate contro l'Atlantia dei Benetton, e dall'altra vedeva Castellucci, messo alla porta da Aspi a causa del crollo del ponte Morandi. Il ministro ha poi confermato ai magistrati di Genova di avere reiteratamente incontrato Castellucci da settembre a dicembre 2019. Ma andiamo avanti. Il 13 gennaio, ovvero quattro giorno dopo, Spitz e Castellucci si risentono al telefono, parlando della posizione tenuta sul dossier Alitalia dai francesi cioè Air France e degli olandesi, Klm: secondo Spitz una prospettiva olandese-francese è meglio di una francese nei confronti degli italiani, Castellucci azzarda strategie negoziali e industriali, citando addirittura la possibile chiusura dello scalo di Malpensa per puntare su Linate. Ma il «piano» per Alitalia viene illustrato nel dettaglio il giorno dopo in una lunga telefonata con il direttore commerciale di Air France-Klm, Angus Clark. Castellucci inizia raccontando le tappe della sua lunga storia con Alitalia: «Io sono stato fino a un paio di mesi fa il Ceo di Atlantia poi ho deciso per varie ragioni di divorziare dal mio azionista», ma «ho iniziato a occuparmi di Alitalia nel 2008 con il progetto allora chiamato Fenice» perché «in quel momento ero Ceo di Atlantia e il progetto era stato gestito da Boston Consulting e io sono stato il partner fondatore di Boston Consulting Group in Italia qualche anno fa». Il manager riavvolge il nastro di quel periodo, racconta di aver seguito il progetto per i primi tre anni, però mai entrando a far parte del cda perché «ero in totale disaccordo» con la strategia degli allora vertici Roberto Colaninno e Rocco Sabelli. «Sfortunatamente avevo ragione io e loro avevano torto», prosegue poi Castellucci. Aggiungendo che «un giorno, a settembre 2013, alla fine Colaninno e Del Torchio» (Gabriele, al tempo ad della compagnia di bandiera, ndr), «andarono dal signor Letta (Enrico, ndr), l'allora primo ministro, dicendo di non avere il denaro per pagare gli stipendi alla fine del mese». E qui il racconto si fa interessante perché Castellucci ricorda anche che Letta lo chiamò «per chiedermi di aiutarlo a trovare un'alternativa evitando la bancarotta, perché non poteva spendere denaro pubblico per quell'assurdo accordo». Si tratta dello stesso Letta che il 30 novembre 2016 è entrato poi nel cda della spagnola Abertis, prima che venisse ventilata l'ipotesi di Opa da parte di Atlantia (lanciata nella primavera del 2017), dove rimarrà fino a maggio 2018 quando è cambiata la proprietà con l'ingresso della holding dei Benetton. Torniamo alla telefonata di Castellucci. Che racconta a Clark di essere volato nel 2013 ad Abu Dhabi insieme a Fabrizio Pagani, al tempo consulente economico del premier Letta, «per provare a convincere Etihad e l'Emiro», e «ci siamo riusciti fortunatamente». Dopo due anni, però, «la maggior parte del capitale venne sprecato», si lamenta Castellucci facendo poi la lista di tutto quello che non è funzionato negli ultimi anni in Alitalia «perché vorrei essere sicuro del fatto che tu abbia tutte le informazioni… dei contenuti e di avere un contesto comune». Un po' consulente-consigliere – nel cui ruolo, del resto, si proporrà «gratuitamente» ai francesi nel corso della lunghissima telefonata – e un po' stratega, mettendo a frutto la sua grande conoscenza della compagnia aerea italiana e i contatti con il governo che «è stato molto colpito dalla qualità dell'offerta commerciale di Lufthansa», dice al manager di Air France. Aggiungendo però la sua opinione personale: «Loro offrono molto meno di quanto dovrebbero…» e per questo «ciò che ho detto al ministro è: guarda, l'attuale offerta di Lufthansa è bassa». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/luomo-di-benetton-incastra-patuanelli-2649622878.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zero-manutenzione-per-il-morandi-il-crollo-si-poteva-evitare" data-post-id="2649622878" data-published-at="1608675030" data-use-pagination="False"> «Zero manutenzione per il Morandi. Il crollo si poteva evitare» Ora l'inchiesta sulla tragedia del Ponte Morandi poggia su una pietra angolare: una perizia di 500 pagine nella quale quattro consulenti del gip di Genova snocciolano le loro conclusioni sulle cause che hanno prodotto il crollo. A partire dalla fase di progettazione. Nella quale hanno riscontrato «carenze [...] che non avevano tenuto conto in modo adeguato dei particolari costruttivi». Passando per i «difetti costruttivi in fase di realizzazione». E per le «carenze dei controlli in fase di costruzione da parte della direzione dei lavori e della commissione di collaudo». Un peso l'avrebbe avuta anche la «mancata esecuzione di indagini specifiche necessarie per verificare lo stato dei trefoli dei gruppi primari, così come era stato raccomandato sin dal 1985». E infine hanno riscontrato «l'assenza di interventi di restauro o di riparazione, che avrebbero dovuto essere eseguiti nel tempo per riparare il tirante difettoso». Proprio il tirante che avrebbe innescato il crollo. Secondo i periti Gianpaolo Rosati, Massimo Losa, Renzo Valentini e Stefano Tubaro, «il punto di non ritorno, oltre il quale l'incidente si è sviluppato inevitabilmente, è da individuarsi nel momento in cui, per effetto della corrosione, si è innescato un fenomeno evolutivo che ha determinato un elevato tasso giornaliero di rottura dei fili che avrebbe portato inevitabilmente al collasso della struttura anche per effetto dei soli carichi permanenti». Ma l'aspetto più doloroso che viene sottolineato nella consulenza del secondo incidente probatorio è che la tragedia del 14 agosto 2018 si poteva evitare. A proposito dei controlli e degli interventi manutentivi i periti sostengono che «se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell'evento». Parole pesantissime per Aspi, Spea e per i 71 indagati. Ma anche difficili da mandare giù per i familiari delle 43 vittime. Sulla Pila 9, per esempio, l'ultimo intervento di manutenzione riscontrato risale al 1993. «E comunque», sottolineano i periti, «nella vita dell'opera non sono stati eseguiti interventi di manutenzione che potessero arrestare il processo di degrado in atto». E soprattutto, «non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo». In sostanza, «la mancanza e l'inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema». La conclusione: «Se essi (i controlli ndr), laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l'evento non si sarebbe verificato». A scatenarlo, secondo i periti, sarebbe stata la rottura dello strallo di sud-est. Tesi sostenuta anche dalla Procura. E ora per i consulenti del gip le analisi «hanno confermato la forte corrosione in corrispondenza delle zone di rottura». La prima causa individuata, ovvero il cedimento dello strallo, escluderebbe quindi le altre ipotesi. A partire dalla bobina d'acciaio caduta da un camion in transito che, per le difese, avrebbe dato il via al cedimento della struttura. Secondo i periti, invece, «le analisi portano a escludere con elevata probabilità l'ipotesi che il coil (la bobina, ndr) possa essere caduto dal tir mentre questo transitava a cavallo del giunto tra la pila 9 e il tampone 10». Lo proverebbero anche la posizione a terra del semirimorchio e del coil, «pienamente compatibili con l'ipotesi che i due corpi siano precipitati insieme fino a giungere al suolo».