2018-10-14
L’uomo che si crede Dio genera solo mostri
A 200 anni dal capolavoro di Mary Shelley l'ingegneria genetica realizza l'incubo del dottor Frankestein. La vita ridotta a prodotto dalla tecnica impoverisce le relazioni e crea solitudine. E senza padre né madre l'individuo assomiglia sempre più a una mummia.L'uomo non nato da donna, ma costruito in laboratorio, compie 200 anni. Ne ha raccontato la nascita e la drammatica vita una signora della più colta e inquieta società inglese dell'Ottocento: Mary Shelley, moglie del poeta Percy Bysshe Shelley e figlia della scrittrice femminista Mary Wollstonecraft e di William Godwin, filosofo liberale.Come molte intuizioni e scoperte sorprendenti, l'idea maturò grazie alla noia e al non sapere cosa fare. Mary era con il marito Percy e la sorellastra Claire, ospite in una villa sul lago di Ginevra dell'amico lord George Byron, famoso poeta, assieme al medico di Byron, John Polidori. Della compagnia faceva parte il carrarese Pellegrino Rossi, anch'egli come Byron e Shelley appassionato sostenitore dei «sovranisti» dell'epoca: i movimenti di liberazione dagli imperi sovranazionali, ormai in via di decomposizione. Rossi, già giovanissimo commissario speciale di Gioacchino Murat nella fallita campagna d'Italia, in quel momento era professore a Ginevra. Era estate, pioveva ininterrottamente, c'era l'afosa umidità della Ginevra estiva e i quattro non sapevano che fare. Su proposta di lord Byron cominciarono a raccontarsi storie di fantasmi davanti al grande camino. A Mary però non veniva in mente niente, ed essendo sgobbona e produttivista si vergognava nel confronto con la fantasia dei poeti (e del dottor Polidori, che scriverà poi la prima storia di vampiri). Finché una notte in cui non riusciva ad addormentarsi ebbe la visione di un «pallido studente di saperi sconsacrati inginocchiato accanto alla “cosa" che egli aveva messo assieme». Vide così: «l'orribile sagoma di un uomo disteso, poi, per effetto di qualche potente macchina, dare segni di vita e muoversi con un movimento incerto, quasi vitale. Orribile, perché supremamente orrendo sarebbe l'effetto di qualsiasi tentativo umano di scimmiottare lo stupendo congegno del Creatore del mondo».La vacanza volgeva alla fine e gli amici si salutarono con l'accordo di scrivere per l'anno successivo la propria storia. Quella di Mary fu Frankenstein o Il moderno Prometeo, che racconta con molti anni di anticipo il sogno dell'uomo moderno di fabbricare altri esseri umani. Che è anche: «cosa succede quando un uomo cerca di avere un bambino senza una donna», come ha scritto la studiosa del femminismo Anne K. Mellor, della Columbia university, e viceversa. L'idea prese forma nell'inconscio collettivo dell'Europa che entrava nell'epoca dell'industrializzazione e della tecnica, e accompagnerà l'umanità nei due secoli successivi. Oggi si sta realizzando su più fronti, in particolare nelle nuove tecniche procreative, nell'ingegneria genetica e nella fabbricazione di robot. Il postumanesimo l'ha inventato con un sogno lucido Mary Shelley, 200 anni fa, a villa Diodati, Cologny, Ginevra.Negli «stati alterati di coscienza», come quello in cui si trovò Mary Shelley a Cologny, chi ha una visione o sente un messaggio si trova in contatto con l'inconscio collettivo del proprio tempo e dei popoli che vi partecipano. Il gruppo di villa Diodati era fortemente coinvolto nella storia di allora: Byron troverà la morte di lì a non molto cercando di aiutare la Grecia a liberarsi dall'impero turco, Pellegrino Rossi, nominato primo ministro da Pio IX per riformare lo Stato vaticano, verrà poi sgozzato a Roma, forse in una congiura di gesuiti, Shelley è considerato un pericoloso rivoltoso nell'Inghilterra imperiale. Non deve sorprendere che Mary Shelley, che aveva assunto una posizione psicologica di ascolto profondo di sé, nel tentativo di produrre la «storia» che Byron chiedeva quotidianamente ai suoi ospiti, abbia avuto una visione per molti profetica. Ne farà poi un libro: Frankenstein. Il Prometeo moderno, che descrive le profonde dinamiche che avrebbero sconvolto nei due secoli successivi la generazione umana, e sarà a lungo uno dei primi best seller nell'editoria mondiale. Il romanzo racconta infatti il tentativo di un giovane studioso laico di costruire un essere vivente in laboratorio, riunendovi pezzi e sostanze del mondo vivente, raccolte però dai laboratori, ospedali e cimiteri. Nel tentativo l'uomo mette tutta la sua intelligenza e attenzione, impegnandovi gran parte del suo tempo e isolandosi dagli affetti più cari e dalla natura: «i miei occhi erano ormai insensibili alle bellezze della natura», racconta nel libro. Alla fine, «in una cupa notte di novembre» il tentativo riesce: «la creatura... respirò a fatica, e un movimento convulso le agitò le membra». Però è un orrendo mostro. Il primo di una lunga serie, che la letteratura moderna racconterà nel suo accompagnamento (nel corso del tempo sempre più consapevole) del tentativo tecnoscientifico di fabbricare la vita umana.Questo mostro, inoltre, è solo, ma non è affatto contento di esserlo. In sé non sarebbe cattivo, ma lo diventa, e anche tremendamente aggressivo, appunto perché non gli importa nulla di essere grande, grosso e fortissimo. Vorrebbe soprattutto «essere come tutti gli altri», e da loro amato, e avere una donna con sé. Invece «tutti gli altri» lo fuggono, per la sua insopportabile diversità. La solitudine è uno degli aspetti più profondi del Frankenstein, moderno Prometeo, come pure dell'intera storia del «prometeico» sviluppo tecnoscientifico nella riproduzione umana, e dei suoi risultati. Anche dal punto di vista clinico infatti, il più evidente risultato di questo sviluppo è proprio la crescente solitudine dell'essere umano, le cui relazioni e rapporti con gli altri diventano sempre più povere, mentre quelli con il mondo delle cose inanimate, dei «prodotti» della tecnica (come è lo stesso Frankenstein) diventano sempre più inquietanti. Chi lavora con il malessere fisico e psichico delle persone sa bene che oggi i problemi affettivi sono al primo posto, a partire dalla difficoltà a reggere la solitudine sempre più diffusa. Sul mondo affettivamente turbato in cui nacque Frankenstein è uscito da poco un libretto sorprendente: Lady Frankenstein e l'orrenda progenie, a cura di Anna Maria Crispino e Silvia Neonato, edito da Iacobelli. Le autrici, femministe da sempre, dicono cose di grande buonsenso e rara accuratezza filologica. «In fondo», si chiede la Crispino, «cosa vuole il mostro? Vuole che il suo creatore lo riconosca, vuole una sposa da amare... vuole sentirsi “normale". Vuole essere, come tutti, in relazione». Il dottor Frankenstein però non acconsente. Costruisce la femmina per il mostro, ma poi la distrugge. Forse con ragione, perché il problema è che (come ricorda Crispino) queste creature sono «create dall'arroganza pseudoscientifica», non «generate dalla natura». Il medico non sopravviverà all'orrore per la sua orrida creatura, e «il demone» (come alla fine appare) allestirà un rogo per spegnere in mezzo al ghiaccio lo sterile fuoco di una creazione sbagliata.«Una donna che pensa genera mostri», è un verso (spesso vero) della poetessa Adrienne Rich. Mary Shelley però non aveva un rapporto solo intellettuale con la generazione. Mise al mondo tre figli poi morti rapidamente, prima di riuscire a generarne uno sano. Sua madre, Mary Wollstonecraft, morì quando lei era appena nata. È vero che tutto ciò contribuì all'«ansia e alla repulsione per la gestazione e la nascita che tutto il romanzo comunica», come dice Marina Vitale in Lady Frankenstein. Ma il disastro, nel Frankenstein non è dovuto alla madre: il drammatico rapporto con la generazione ha anzi reso Mary Shelley ancora più convinta della sua indispensabilità. Il guaio è che, soprattutto nelle successive emulazioni scientifiche, la madre non c'è, o viene fatta sparire; come del resto il padre sostituito da una provetta. Alla fine di Frankenstein il mostro compare come una mummia (mummy). La mamma (anch'essa mummy, in inglese) non c'è più. È così che potrebbe finire la vita umana.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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