2022-05-10
L’Ungheria non molla sullo stop al petrolio
Ursula von der Leyen (Ansa)
Viktor Orbán riceve Ursula von der Leyen, che sarebbe disposta a concedere almeno 2 miliardi a fondo perduto pur di ottenere il via libera all’embargo. Ma il sesto pacchetto di sanzioni resta bloccato. Anche Grecia e Malta ottengono deroghe per il traffico marittimo.Costi assurdi, porti paralizzati: «Il trasporto via mare va a fondo». L’allarme degli armatori: a rischio oltre 7 miliardi. Bloccate pure le assicurazioni. Lo speciale comprende due articoli.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è recata ieri a Budapest per incontrare il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Il piatto forte della cena di lavoro è stata la discussione sull’embargo petrolifero alla Russia. Il premier magiaro tiene il punto in una trattativa tesissima, che sta bloccando l’Unione e impedisce di raggiungere quella unanimità necessaria ad applicare le sanzioni alle esportazioni di petrolio dalla Russia. Il fatto che von der Leyen si sia mossa personalmente per recarsi nella capitale ungherese è indicativo della delicatezza del momento e del fatto che Orbán intende ottenere tutti gli elementi della trattativa presenti sul tavolo. Si tratterebbe di un’ampia deroga temporale, che dovrebbe arrivare fino alla fine del 2025, oltre che di una congrua somma di denaro a fondo perduto dalle casse comunitarie, quale forma di compensazione per una non meglio precisata «riconversione» industriale. Si parte da una cifra di almeno 2 miliardi di euro, che rappresenterebbero l’1,5% del Pil dell’Ungheria. Ufficialmente, però, la posizione di Budapest rimane di chiusura totale rispetto all’embargo. Ancora nel tardo pomeriggio di ieri, prima dell’incontro, si è registrata la netta dichiarazione del ministro degli esteri ungherese Peter Szijjártó: «L’Ungheria non voterà a favore dell’iniziativa della Commissione europea sulle sanzioni contro la Russia perché crea un problema per l’Ungheria e non contiene alcuna proposta per risolverlo». Nel fine settimana erano giunte dall’Italia le parole di Enrico Letta: «Io sono scandalizzato da Orbán che mette il veto contro le sanzioni Ue: si pone come chiaro ed esplicito alleato di Putin. Che un unico Paese europeo blocchi le sanzioni è gravissimo e la responsabilità che Orbán si sta prendendo è enorme. Noi siamo per l’unità dell’Ue per sanzioni nette e dure per arrivare a un cessate il fuoco». A quanto sembra, però, il primo ministro ungherese sembra preoccuparsi soprattutto per l’impatto negativo che l’embargo avrebbe sull’economia del Paese che governa. Ben cosciente della responsabilità politica nei confronti dei cittadini ungheresi, cerca legittimamente di ottenere le migliori condizioni possibili per minimizzare il disagio. Un’abitudine, quella di considerare i cittadini da parte dei rappresentanti al governo, che forse in Italia risulta un po’ desueta, diluita nel tempo tra le pieghe dei vincoli esterni che condizionano la nostra politica. Considerato che senza il voto favorevole dell’Ungheria il pacchetto di sanzioni non può procedere, appare non casuale la presa di posizione di ieri mattina della presidente della commissione. Intervenendo a Strasburgo alla chiusura della conferenza sul futuro dell’Europa, prima di partire per Budapest von der Leyen ha affermato: «Sostengo da sempre che il voto all’unanimità in alcuni settori chiave non abbia più senso, se vogliamo agire più velocemente». Il riferimento è proprio al voto unanime in sede di Consiglio degli stati membri dell’Unione, necessario per le decisioni più importanti, tra cui anche le sanzioni. In ogni caso le spine non sono finite, per questo travagliato sesto pacchetto europeo di sanzioni alla Russia. Ieri si è appreso che tra le misure sanzionatorie non comparirà il divieto di trasporto di prodotti petroliferi russi. Grecia e Malta, tra i maggiori Paesi armatori del mondo, che movimentano fino al 60% del petrolio russo via nave, ottengono così di non vedere penalizzati i propri traffici mondiali. Il divieto di trasporto avrebbe avuto certamente un forte impatto sulle esportazioni di greggio e derivati dalla Russia. Tuttavia, è possibile che nell’elenco delle sanzioni rimanga il divieto per gli assicuratori dell’Unione di fornire servizi di assicurazione e riassicurazione alle petroliere che trasportano idrocarburi russi. Poiché le compagnie di trasporto petrolifero stipulano per ogni viaggio assicurazioni (ad esempio contro gli incidenti con fuoriuscite di petrolio in mare), un divieto porrebbe una seria ipoteca sulla reale possibilità di movimentare le esportazioni russe. Il rischio però, dall’altra parte, è che si possano verificare incidenti con mezzi non assicurati, cosa che oltre all’ovvio disastro ambientale, avrebbe conseguenze imprevedibili. Mentre l’Europa annaspa nelle sabbie mobili delle trattative interne, cercando di darsi un tono da grande potenza, il G7 riunitosi domenica da remoto ha già di fatto deciso per l’embargo petrolifero alla Russia. La riunione, voluta da Joe Biden e a cui ha partecipato anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è servita a rinsaldare il fronte anti-russo, promettendo finanziamenti e armi all’Ucraina. Nella dichiarazione finale dei sette Paesi spicca un passaggio chiave: «Ci impegniamo a eliminare gradualmente la nostra dipendenza dall’energia russa, anche eliminando gradualmente o vietando l’importazione di petrolio russo». Non ci sono ancora dettagli su modalità e tempi di questo nuovo embargo, ovviamente, ed è possibile che si attenda l’esito delle trattative con l’Ungheria per stabilire i prossimi passi. Ma un impegno formale dell’Italia, quale membro del G7, al blocco dei rifornimenti petroliferi dalla Russia a questo punto esiste già da domenica. Assieme agli altri partner europei appartenenti al G7, Francia e Germania, dunque, il nostro Paese fa parte a tutti gli effetti dell’avanguardia continentale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lungheria-non-molla-sullo-stop-al-petrolio-2657288746.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="costi-assurdi-porti-paralizzati-il-trasporto-via-mare-va-a-fondo" data-post-id="2657288746" data-published-at="1652121851" data-use-pagination="False"> Costi assurdi, porti paralizzati: «Il trasporto via mare va a fondo» Dai porti italiani nell’ultimo anno sono partite merci verso la Russia per circa 7,6 miliardi di euro. Dividendo questo valore per 12 mesi, si ottiene che un mese di giro d’affari per il settore dei porti italiani vale circa 633 milioni di euro. Potrebbe essere questa la cifra a cui l’Italia ha dovuto dire addio con le sanzioni imposte dall’Ue verso Mosca e dintorni. Come spiega Alessandro Santi, presidente di Federagenti, la federazione nazionale degli agenti marittimi, «il valore dell’importazione dalla Russia in Italia è stato pari a 17,6 miliardi di euro, di cui la maggior parte (circa 13,3 miliardi) sono rappresentati da materie prime energetiche, 3 miliardi da prodotti siderurgici e infine 1,3 miliardi da prodotti vari tra cui rientrano potenzialmente materie prime di cui la Russia è produttrice strategica. Per quanto concerne i prodotti esportati in Russia, di cui il valore totale nel 2021 è stato di 7,6 miliardi di euro, tolta una quota di circa 2 miliardi per macchinari e impianti, la rimanente parte è rappresentata da una molteplicità di esportazioni, frutto di importanti filiere produttive italiane specializzate». «Ora», continua Santi, «l’invasione dell’Ucraina e l’applicazione delle sanzioni internazionali hanno reso fragile ogni tentativo anche solo di comprensione di un eventuale quadro di liberalizzazione delle merci sul quale aveva puntato l’organizzazione mondiale del commercio. A peggiorare la situazione contribuisce la congestione degli hub portuali che si sta traducendo nella chiusura di canali di fornitura e in strozzature che rendono urgenti misure di adattamento delle catene logistiche per garantire, nel limite del possibile, gli approvvigionamenti dei prodotti oggetto delle sanzioni. Esiste poi il pericolo di ritorsioni da parte della Federazione russa ai Paesi occidentali», conclude. Sul settore incombe una minaccia che potrebbe azzerare a lungo gli scambi commerciali con la Russia. È stato chiesto in accordo con l’Inghilterra di sospendere in tempi brevi l’erogazione da parte di soggetti europei e inglesi di servizi finanziari e tecnici inclusi le assicurazioni alle navi in attività commerciali da e per la Russia con Paesi terzi. Considerando che il 95% delle coperture di responsabilità verso terzi (ad esempio per inquinamento e danni a terzi) sono erogate da Club P&I (protection and indemnity, dall’inglese protezione e indennità), in maggioranza britannici, questo potrebbe significare la paralisi. Questi Club sono assicurazioni su base mutualistica (finanziate pro quota da tutti gli armatori che aderiscono al Club) che intervengono nel caso in cui un associato abbia provocato danni a terzi. È quindi essenziale il ruolo dei Club P&I (Protection and Indemnity), ad esempio, nei casi di inquinamento o di naufragio con danni a persone. Le navi russe che, insomma, sino a ieri erano coperte assicurativamente e finanziariamente e che in caso di incidente erano in grado di disporre degli indennizzi necessari, ora si trasformano in imbarcazioni rischiose da far girare, perché senza copertura assicurativa. Nessuno, in pratica, sarà disposto ad accollarsi il rischio.
L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas (Ansa)
(Ansa)
Il Comando ha ringraziato i colleghi della Questura per il gesto e «la cortesia istituzionale dimostrata in questo tragico momento». A Gorizia invece un giovane di 20 anni ha reso omaggio ai caduti, deponendo un mazzo di fiori davanti all'ingresso della caserma. Il giovane ha spiegato di aver voluto compiere questo gesto per testimoniare gratitudine e rispetto. Negli ultimi giorni, rende noto il Comando isontino, sono giunti numerosi messaggi di cordoglio e attestazioni di affetto da parte di cittadini, associazioni e rappresentanti delle istituzioni.
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