2022-04-04
La vergogna dei professori rinchiusi nello sgabuzzino
Gli insegnanti non vaccinati sono riammessi a scuola ma non possono fare lezione né entrare in aula. Così finiscono relegati in stanzette «riservate», pagati per non fare nulla. Ma che senso ha tutto ciò?Già è dura, dal 1° aprile scorso (data che di per sé allude a una solenne presa in giro), cioè dal teorico inizio dell’allentamento delle restrizioni anti Covid, vedere in tv la sfilata dei ministri e delle ministre che - con faccetta di circostanza, boccuccia a culo di gallina e ditino alzato - si affrettano a dire: «Ma non è un liberi tutti!». Eh sì, perché nella visione statocentrica e statolatrica di questi signori, è il governo a dover dirigere la vita degli italiani, a poterli trattare come bambini piccoli, come minorenni a cui concedere premi o amministrare punizioni. È lo stato a dover esercitare una funzione ortopedica, pedagogica, educativa, verso cittadini che sono tali solo quando si tratta di pagare le tasse, ma che, per tutto il resto, vengono trattati come ragazzini da mettere in riga.La libertà, per costoro, esiste solo in forma provvisoria-vigilata-condizionata. Poveri comunisti inconsapevoli (di sinistra e di destra: ahinoi, purtroppo esiste anche la anomala specie dei comunisti di destra, svelata dal biennio del coronavirus): per loro la libertà è qualcosa di «concesso», di graziosamente «ottriato» dallo stato, e non invece qualcosa che pre-esiste allo stato, perché vive nel cuore e nella mente di ogni individuo. Già constatare tutto questo, si diceva, è doloroso. Ma è addirittura umiliante, in questi giorni, leggere cronache surreali sul ritorno a scuola degli insegnanti bollati come «no vax». Si tratta di italiani che pagano le tasse come tutti gli altri, e quindi - in teoria - di cittadini liberi di sottoporsi o no a un trattamento medico. E invece, come si sa, fino al 1° aprile sono stati mortificati perfino al punto da non esser loro consentito di guadagnarsi onestamente un pezzo di pane. Sospesi (giuridicamente) e marchiati con una sorta di lettera scarlatta (moralmente): trattati come reietti da allontanare.Adesso, dal 1° aprile, hanno di nuovo diritto a rimettere piede nell’edificio scolastico. E però? E però non possono né far lezione né entrare in contatto con gli studenti. Non possono né entrare in aula né frequentare spazi dove possano incrociare gli alunni (non sia mai!). Morale? È tutto un affannarsi dei presidi per collocarli qua e là. Quando va bene (si fa per dire) in archivio o in biblioteca. Quando va male, in qualche sgabuzzino o in qualche stanza misteriosamente «dedicata». Più spesso, confinati in una sorta di limbo inaccessibile ai ragazzi, e cioè la mitica «sala professori». Ora, si può far finta di nulla, voltare la testa dall’altra parte, sostenere che ci siano cose più importanti (e certamente ce ne saranno), e lasciare che sia il trascorrere del tempo a far calare il sipario: tra due mesi - suggeriscono i supercinici - l’anno scolastico sarà finito, del resto. Oppure, se abbiamo ancora un po’ di dignità, se vogliamo ancora guardarci tutti allo specchio, qualche domanda dovremmo farcela, e magari anche chiedere al governo di rispondere.Che senso ha tutto questo? Perché bisogna umiliare ancora delle persone? È sano, è saggio far crescere nell’animo di chi dovrebbe (e dovrà) dedicarsi a trattare con i ragazzi un umanissimo sentimento di esclusione, la sensazione (anzi la certezza) di essere considerati dei paria, dei soggetti da mortificare ed emarginare? E ancora, stavolta dal punto di vista dei ragazzi. È «educativo» dar loro l’idea che un cittadino possa essere punito e marginalizzato solo perché compie una scelta diversa da quella della maggioranza? È una buona idea che, proprio nel luogo che dovrebbe incoraggiare lo spirito critico, l’abitudine alla diversa lettura possibile delle cose, l’allenamento a considerare gli eventi da diversi punti di vista, si adotti invece - in modo tanto violento e perfino spettacolare - la punizione del «diverso»? A proposito, amici e compagni progressisti, per definizione difensori di ogni diversità. Ora che c’è, sotto i vostri occhi, una visione e un comportamento differente, che facciamo? Lo puniamo, con tanto di gogna pubblica? E infine, dal punto di vista dei contribuenti. Povero taxpayer italiano, povero pagatore di tasse, povero tartassato: ma perché mai deve, con i suoi soldi, pagare qualcuno a cui lo stato impedisce materialmente di lavorare? Perché gli italiani dovrebbero accettare un così evidente, dichiarato, conclamato spreco del loro denaro? Se paghiamo lo stipendio a un insegnante, è giusto che quell’insegnante lavori. In questo caso - com’è chiaro - non lavora: e non per sua colpa, per sua furbizia, per sua scorrettezza: ma perché è lo stato a impedirglielo. È lo stato che con una mano preleva dalle nostre tasche i soldi per pagare lo stipendio a un certo numero di dipendenti pubblici, e con l’altra mano li spinge in uno sgabuzzino a non far nulla. No, da qualunque lato si guardi questa storia, è e resta indifendibile. Fa arrossire di vergogna. E di rabbia.
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.