2020-05-29
I soldi Ue (forse) nel 2021, intanto ci becchiamo il Mes
Valdis Dombrovskis (Ansa)
I fondi promessi da Bruxelles cominceranno a essere disponibili nel secondo semestre del prossimo anno. Il sospetto, convalidato dai «suggerimenti» degli eurolirici, è che la tempistica non sia affatto casuale.Il piano prevede un percorso blindato: la Commissione ci controllerà passo passo. Sembra quasi il «piano B» in vista dell'adeguamento alla sentenza di Karlsruhe.Lo speciale contiene due articoli.«Un piccolo sforzo di fantasia forse si poteva fare per cambiare nome a questo Mes», disse Fabio Fazio conduttore della trasmissione Che tempo che fa a un imbarazzatissimo David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che fra tanti sospiri ed esitazioni provava a convincere più sé stesso che i telespettatori in merito ai grandi sforzi che l'Eurogruppo stava - a suo dire - facendo per supportare l'economia italiana appunto descrivendo la soluzione del Fondo salvastati. Era il 12 aprile, e da allora sono passati quarantasei giorni. E questo sforzo di fantasia è stato finalmente partorito. Il nome è lungo e il conte Mascetti di Amici miei non avrebbe potuto coniare di meglio in una delle sue ormai proverbiali supercazzole. Parliamo ovviamente dello European recovery instrument, meglio noto come Recovery fund. Di che si tratta l'abbiamo scritto ieri: prestiti e sussidi da restituire sotto forma di trasferimenti ed eurotasse con cui l'Unione europea accredita fondi perché siano spesi come dice lei, alle condizioni che dice lei, dove decide lei e quando decide lei. Lo ha spiegato come meglio non si potrebbe il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. Il lettone che di mestiere fa il tutore del Commissario Paolo Gentiloni Silveri da Filottrano, discendente del conte Ottorino. Un italiano alla guida degli affari monetari, sebbene di provata fede europeista - come testimonia anche la sua uscita di ieri con cui ha definito il Recovery fund «un accordo storico», salvo aggiungere subito dopo che «la curva del debito va tenuta sotto controllo» - va comunque marcato a uomo tipo Gentile con Maradona a Spagna 1982: e infatti il nostro Valdis ci spiega candidamente in cosa consista il nuovo strumento.I fondi del Recovery plan «arriveranno agli Stati membri in tranche legate a obiettivi di riforma» specificando pure, laddove non fosse ancora stato sufficientemente chiaro, che se gli stessi Paesi beneficiari (ma anche contribuenti) non rispettano «le priorità stabilite dall'Ue» e «non implementano gli obiettivi, perdono i soldi di una rata». Sì, insomma, la Grecia. «Dare soldi vedere cammello» sembra quindi essere la regola aurea cui si ispirerà la gestione del nuovo strumento. Ti anticipo i soldi che mi darai a patto che ci compri le scarpe e non da mangiare, anche se non sei scalzo e hai lo stomaco vuoto.E siccome il Recovery fund somiglia tantissimo al Mes tanto da apparirne il gemello omozigoto, a questo punto tanto vale ripensare subito al Fondo salvastati dal momento che, ben che vada, questi soldi cominceranno a essere disponibili e negoziabili nel secondo semestre 2021. Sì, il Mes è come la peperonata. Si ripropone sempre. Il Corriere brucia tutti sul tempo con il solito Federico Fubini che intona il coro con un giorno di anticipo: «Il governo non può più permettersi di rinunciare alla leggera ai 37 miliardi della linea di credito senza condizioni del fondo salvataggi Mes». Repubblica segue a ruota il giorno dopo e, mentre suona la fanfara sull'ennesima svolta dell'Ue con l'approvazione del nuovo fondo, Tommaso Ciriaco spara la conferma che tutti messianicamente attendevamo. Palazzo Chigi «torna a valutare seriamente i 36 miliardi del Mes. Soltanto un deciso calo dello spread - tale da rendere molto conveniente raccogliere quei miliardi con emissione di titoli di Stato - eviterà l'accesso al Fondo salvastati». Gronda entusiasmo per questo straordinario destino unito alla scoperta dell'uovo di Colombo. In Europa sanno -se del caso - come convincere l'Italia a piegarsi. Gli fa eco David Carretta, inviato di Radio Radicale a Bruxelles e molto esperto di cose europee, che sintetizza il tutto con forse maggiore chiarezza. Il tutto dissimulato da un dubbio amletico di pura forma. «Il Recovery fund in caso di accordo entrerà in funzione nel 2021. La Commissione per il 2020 propone una soluzione ponte di 11 miliardi. Da dividere tra i 27. Dopo i festeggiamenti (suoi, ndr) per i 172 miliardi, il governo si trova di fronte alla solita domanda: Mes o non Mes?».Si mangerà sicuramente le mani il povero ministro Roberto Gualtieri che nell'audizione alla commissione Bilancio di due giorni fa, forse ormai scoraggiato e convinto di un mancato ricorso da parte dell'Italia al Meccanismo europeo di stabilità, decise di vuotare il sacco e raccontare la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità ai colleghi deputati mentre illustrava il decreto Rilancio. Il fabbisogno finanziario aggiuntivo legato all'emergenza Covid risulta pari a 1,792 miliardi. Queste sarebbero quindi le spese effettivamente finanziabili ricorrendo al Mes, che in cambio chiede però il privilegio del rimborso del suo credito così trasformando tutti gli oltre duemila miliardi di Btp, Bot e Cct in titoli subordinati modello Banca Etruria. Bene, e quindi con gli altri 35 miliardi e più che il Mes vuole in tutti i modi prestarci cosa ci facciamo? Ci copriamo spese non finanziabili, così contravvenendo alla supposta unica condizione (che poi sappiamo unica non essere) dello strumento, ovvero il rimborso di costi diretti ed indiretti legati all'emergenza coronavirus? Oppure la birra? Forse la giusta soluzione di compromesso in proposito potrebbe averla trovata il sottosegretario pentastellato agli Esteri Manlio di Stefano. «Una statua a Conte e al M5s» grazie ai quali è stato reso possibile il miracolo del Recovery fund. Il Mes dal volto umano.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lue-sgancera-i-soldi-solo-nel-2021-intanto-ci-spinge-a-firmare-il-mes-2646119167.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-va-verso-un-recovery-fund-al-retrogusto-di-troika-niente-riforme-niente-aiuti" data-post-id="2646119167" data-published-at="1590706689" data-use-pagination="False"> Si va verso un Recovery fund al retrogusto di Troika. Niente riforme? Niente aiuti Appena si è posato il polverone dei titoli a caratteri cubitali e delle dichiarazioni roboanti inneggianti alla svolta epocale, ieri è stata la giornata dei primi dettagli e si sono manifestati i peggiori timori sul Recovery fund. La Commissione intende sfruttare questa occasione per plasmare definitivamente il nostro Paese secondo le raccomandazioni che restano da anni inascoltate. Bruxelles ha pubblicato i documenti che illustrano nei dettagli i diversi pilastri su cui si basa il suo piano da 750 miliardi, aggiuntivi rispetto ai 1.100 del bilancio tuttora in discussione per il settennato 2021-2027. E man mano che i documenti apparivano sul sito della Commissione, si facevano sempre più chiari i contorni della macchina messa a punto nelle ultime settimane dalla Dg Bilancio. Sarebbe stato più opportuno titolare il documento: «Italia, vuoi aiuto finanziario? Allora devi fare per almeno un decennio quello che ti diciamo noi». Cominciamo dai numeri: accertato che i 750 miliardi aggiuntivi si dividono in 500 di sussidi e 250 di prestiti, a loro volta i 500 sono frazionati su diversi strumenti: il principale è lo strumento per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility, Rrf). Esso consentirà di erogare sussidi per 310 miliardi (335 a prezzi correnti) e prestiti per 250 miliardi (268 a prezzi correnti). Il complemento a 500 miliardi finirà in altri strumenti di minore entità e, soprattutto, 67 miliardi serviranno come garanzia alla Bei per emettere le obbligazioni i cui proventi consentiranno l'erogazione di prestiti alle imprese. In sostanza, i 500 miliardi si riducono, a prezzi correnti, a 335. Di questa somma l'Italia può beneficiare fino a un massimo di 68, seguita dalla Spagna con 67. La base di ripartizione della nostra quota è quindi del 20,4%. Inoltre, la Commissione prevede di concentrare la disponibilità delle somme nei primi quattro anni del prossimo settennato, quindi con scadenza 31 dicembre 2024, con impegno a concentrare nei primi due anni almeno il 60% della spesa. E qui finiscono le buone notizie, se tali si possono definire. Ammesso e non concesso che questa ripartizione numerica regga all'esame del Consiglio europeo del prossimo 19 giugno, la parte complicata - ma d'altra parte inevitabile, se solo si ha una minima conoscenza di come funzionano i finanziamenti comunitari - comincia quando si esamina la procedura da seguire per ricevere quei fondi. Il sentiero è strettissimo e accidentato, ed è del tutto collegato al ciclo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri che va sotto il nome di Semestre europeo (perché comincia a dicembre e termina a giugno di ciascun anno). Ai burocrati di Bruxelles non deve essere sembrato vero poter costringere l'Italia ad ascoltare e seguire le proprie raccomandazioni, regolarmente riposte in qualche cassetto polveroso da anni. Il capitolo 5 del documento di 47 pagine più allegati che contiene la proposta di Regolamento del Rrf è una vera e propria corsa a ostacoli, al termine della quale il lettore, ormai esausto, preferirebbe pagarle di tasca propria quelle somme. Il perno di tutto è il Piano nazionale delle riforme, di cui il piano per il Rrf costituirà un allegato da presentare entro il 30 aprile. Tale piano dovrà definire le riforme e gli investimenti ritenuti idonei a conseguire gli obiettivi di politica economica propri del Semestre Europeo. Un percorso blindato al cui centro c'è la transizione verso il digitale e il «green». Deve essere tutto dettagliato: obiettivi intermedi, costi, piano delle attività. Il tutto sarà sottoposto alla attenta valutazione della Commissione che ne esaminerà la coerenza con gli obiettivi già definiti, e apporterà le opportune modifiche. Ma non finisce qua. È infatti previsto un piano di monitoraggio trimestrale, in cui lo Stato membro beneficiario riferirà circa i progressi compiuti nel raggiungimento degli impegni assunti. La quadratura del cerchio arriva infine con il pagamento a stati di avanzamento. Niente riforme? Niente soldi. L'altro tema ancora da esplorare è quello delle garanzie. La Commissione, per emettere 750 miliardi di obbligazioni con rating tripla A, deve offrire al mercato ben definite garanzie o capitali accantonati. Al mercato non basta sapere che, nel prossimo bilancio 2028-2034, saranno previste entrate aggiuntive (proprie della Ue o maggiori contributi degli Stati membri). Non a caso, nella proposta Merkel-Macron del 18 maggio scorso, è scritto ben chiaro che i sussidi sono «connessi a un piano di rimborso vincolante». Il tema è ancora nell'ombra, ma gli Stati membri si devono impegnare già, ora per allora, altrimenti addio tripla A. Tale meticolosa e inaccessibile complicazione genera un sospetto: non è che, visto che l'ammontare delle cifre in ballo non si discosta poi tanto dall'entità delle risorse create dal piano di acquisti della Bce, non è che tutto il groviglio di sigle e ripartizioni non sia altro che il «piano B» nel caso in cui Francoforte si «pieghi» alla sentenza di Karlsruhe e rimoduli il Qe pandemico che sta reggendo l'eurozona? Alla fine, la domanda decisiva è: ammesso e non concesso che il saldo sia favorevole all'Italia, qual è il costo occulto che il nostro Paese sosterrà a causa della obbligatoria destinazione della spesa verso attività o settori non prioritari? In altre parole, meglio spendere 100 per finalità definite all'interno del normale circuito democratico previsto dalla Costituzione o spenderne 120, indebitandosi per 100 per fare cose scelte da altri?
Francesca Albanese (Ansa)