2021-09-30
L’Ue non sblocca l’acciaio, cantieri a rischio
Un milione e mezzo di tonnellate in attesa di essere sdoganate nei porti italiani a causa delle quote all’import imposte da Bruxelles Il deficit di energia è l’altro fronte caldo del manifatturiero. Potrebbero svanire gli effetti positivi dell’estensione del superbonusRassegnazione. È forse questo il termine più indicato per descrivere lo stato d’animo degli imprenditori metalmeccanici dopo neppure due settimane dall’annuncio del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, di attivarsi a Bruxelles per sospendere le quote Ue sull’import di acciaio. Lo scoramento nasce in particolare dal fatto che si pensava come già a partire dal primo ottobre si potesse assistere a un allentamento delle restrizioni che, va ricordato, hanno una validità trimestrale e che stanno creando una congestione dei porti italiani estremamente preoccupante se pensiamo che dalle 500.000 tonnellate di acciaio ferme nei porti di inizio settembre, sono quasi 1 milione le tonnellate in attesa di essere sdoganate. La situazione, insomma, rimane drammatica. Eppure, consultando l’agenda dei lavori della Commissione, non sembra essere all’ordine del giorno alcuna riunione sulla questione, come se le sacrosante parole del ministro Giorgetti fossero cadute nel vuoto. Eppure, basterebbe già passare da un sistema di rilevazione trimestrale, basato per Paese, come quello attuale, a uno annuale per produrre un minimo di sollievo sul fronte dell’offerta. Per i funzionari di Bruxelles, insomma, sembrerebbe che tutto proceda per il meglio. Ma, ci si chiede a questo punto, se forse anche lo stesso governo italiano non ritenga superfluo il problema, magari per effetto dello stordimento legato ai previsionali di crescita +6% per quest’anno e +4% per il prossimo, stando alla Nadef. Ma attenzione a cullarsi sugli allori. Le fondamenta su cui poggia questa maxi accelerazione dell’economia rischiano di sfaldarsi a causa del duplice crunch che sta attanagliando il comparto manifatturiero: oltre infatti alle difficoltà di approvvigionamento di materie prime, nelle ultime settimane si è fatto strada un secondo fronte di criticità, certamente non meno preoccupante: quello energetico. Un mix, quello dato dalla contestuale carenza di acciaio ed energia, particolarmente nefasto che rischia non solo di produrre un forte calo delle marginalità (che si proverà a compensare con aumenti sui prezzi di listino), ma soprattutto di sfociare in veri e propri fermi produttivi con il rischio di annacquare il previsto impatto positivo derivante dall’estensione del superbonus. Tanto per dare un’idea di quanto sta accadendo sui mercati, in settimana il contratto 2022 per la fornitura di gas nel mercato italiano ha raggiunto i 53 eur/mwh dai 13 eur/mwh del novembre dello scorso anno in scia alla riduzione dei depositi di stoccaggio intorno al 71%, ben al di sotto non solo del livello pre pandemico dell’84%, ma anche della media stagionale del 92%. Ma a preoccupare è l’eventualità di assistere a un inverno rigido che potrebbe addirittura spingere le scorte al 4% secondo le stime di BloombergNef. Molteplici sono le ragioni che hanno determinato rincari così importanti del prezzo del gas e che naturalmente si tradurranno in un pesante aggravio della bolletta energetica per consumatori e imprese stimato in circa il +40% solo nel quarto trimestre del 2021. In primo luogo è giunto il minor flusso dalla Russia. Non va poi trascurato il forte rialzo del prezzo delle emissioni di carbonio passato da 15 a 65 euro a tonnellata nel periodo marzo 2020-settembre 2021 che ha spinto le utilities ad aumentare i consumi di gas naturale a scapito del carbone. Un’impennata, quella del prezzo delle CO2, che va inquadrata all’interno del piano sul clima Ue annunciato nel luglio 2021 e che ruota proprio nella graduale rimozione delle allocazioni gratuite concesse ai settori energivori al fine di stimolarli a procedere lungo la transizione ecologica. L’aspetto poco rassicurante è che l’escalation di rincari che hanno investito il gas naturale e la CO2 è giunta in concomitanza con il forte calo della produzione di energia eolica determinata dai deboli venti che hanno caratterizzato l’estate 2021, dando così il via a un altrettanto violento aumento dei prezzi dell’energia elettrica. Proprio ieri il prezzo spot dell’elettricità per il mercato italiano ha toccato i 220 euro/mwh dai 20 euro/mwh di un anno fa. Non è escluso che agli occhi di alcuni zelanti eurocrati l’impennata dei prezzi dei beni energetici sia una manna perché potrebbe accelerare la transizione verso le applicazioni green. Ma sarebbe un gioco pericoloso come hanno ben evidenziato le dinamiche in atto nel Regno Unito dove la Cf Industries, la maggiore compagnia attiva nel comparto dei fertilizzanti, è stata recentemente costretta a interrompere la produzione, ponendo così un serio rischio sul fronte della sicurezza alimentare. L’ombra delle restrizioni produttive inizia ad allungarsi anche nel vecchio continente: in Olanda la Nystar, uno dei principali raffinatori di zinco, ha annunciato una riduzione della produzione in uno dei suoi impianti. L’Italia stessa non è esente dal rischio interruzioni in particolare siderurgiche se pensiamo al ruolo predominante (oltre l’80%) svolto dal forno elettrico rispetto all’altoforno. Anziché attivarsi per adottare adeguati piani di back up riformando il piano sul clima che, così concepito, provoca volatilità dei prezzi e carenza delle commodities (e dunque stagflazione), Bruxelles continua insomma a mostrare scollamento dalla realtà. L’augurio, che facciamo innanzitutto a noi stessi, è che il risveglio non sia troppo traumatico.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson