2025-08-03
La pace non arriva col pacifismo ma solo con la forza
Ha ragione Riccardo Ruggeri: la guerra dei moderni è sempre più distruttiva senza portare mai a nulla. Bisogna darci un taglio. Ma solo la politica può raggiungere questo risultato. Lo aveva capito pure l’ex soldato Jünger: è l’autorità che frena la distruzione.Ah, la guerra, la guerra. Segue come un’ombra l’umanità, inseparabile, ineluttabile, fin dalle origini. Dici uomo e dici guerra; o meglio, l’uomo è un pendolo tra la volontà di pace e la volontà di guerra, predisposto a entrambi, non sa fare a meno dell’una come dell’altra. Dici guerra ed evochi la storia dell’umanità, ma la guerra non è il passato; accendi la tv e vedi immagini bestiali di guerra, oggi, da più punti del mondo. Guerre non tra soldati, ma peggio, contro le popolazioni, vecchi, bambini, case, tegami. Rovine, esplosioni, rovine, corpi spezzati. Soldati che sparano su uomini ridotti ad animali affamati, che vanno a elemosinare il cibo camminando come un gregge impaurito, curvi, a testa bassa, uno coperto dall’altro, per non farsi colpire come alle giostre; ridotti realmente a bestie, abbattuti realmente come bestie. Altre scene giungono dall’Ucraina e da altri scannatoi in Africa, in Asia... Nessuno ha la forza per fermarli.Sono veraci le riflessioni che ha pubblicato ieri La Verità dell’ultranovantenne Riccardo Ruggeri, tratte dal suo libretto Guerra, pozzo nero dell’umanità. E giungono a proposito, tra una guerra e l’altra, e nella settimana in cui la guerra raggiunse, giusto ottant’anni fa, il punto più basso e più infame: la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Vorrei partire da qui, per non partire dalla notte dei tempi. La bomba atomica è l’apoteosi della guerra totale. La seconda guerra mondiale era ormai agli ultimi colpi, la Germania era stata spezzata, Hitler era morto, con molti suoi gerarchi, resisteva appena il Giappone. Ma l’America decise di sganciare una bomba risolutiva, non alla Pearl Harbour dei giapponesi, vale a dire sulle loro flotte o forze armate, ma sulle popolazioni di due città. E dal cielo venne l’inferno.La bomba atomica è il peccato originale del mondo contemporaneo. Se la Shoah chiude tragicamente gli orrori di un’epoca, finita con la caduta del Terzo Reich, la bomba atomica apre tragicamente il dopoguerra e l’età in cui viviamo. Due tragedie incomparabili, ognuna nella sua unicità. Ma di una se ne parla ogni giorno, dell’altra ci vuole l’anniversario per raccontarla di striscio. Dell’una non finiscono mai gli atti di dolore e di riparazione, i pentimenti e i risarcimenti. Dell’altra solo la cronaca di un evento senza mai chiedersi nulla sulle colpe di quell’orrore.La bomba atomica non fu necessaria per accelerare la fine del conflitto, come sostenne anche Norberto Bobbio, fu sganciata a guerra finita, ripeto, quando il Terzo Reich era già crollato, i dittatori erano morti, l’Asse si era spezzato, il Giappone era in ginocchio e andava verso una onorevole resa.Hiroshima fu la sigla di inizio del nuovo mondo, mentre scorrevano i titoli di coda del drammatico film precedente. Con la bomba atomica non nacque la pace, abortì la guerra ma restò nell’aria il suo spirito maligno. La bomba atomica è la ferita originaria del mondo presente che si fa minaccia permanente, ed è il buco nero della democrazia occidentale dentro cui nessuno vuol guardare, salvo attribuirla all’ultimo arrivato, l’Iran. La bomba atomica non ha generato la volontà di pace ma ha tramortito la vitalità di un popolo. La sua unica virtù è che suscita paura. La bomba atomica ha ucciso il lato eroico della guerra, l’aspetto umano e militare del conflitto. Ha sostituito gli uomini con i materiali, gli eserciti con gli arsenali e ha inventato il conflitto asimmetrico: apparecchi contro umanità, tecnologie contro popolazioni civili, piloti che non scendono tra gli umani ma combattono a distanza contro inermi vite nelle loro case.Quel fungo ha generato numerose metastasi che ancora si spandono nel corpo ulcerato del pianeta. L’orrore ha fatto figli. Anche il terrorismo è la continuazione artigianale della bomba atomica con altri mezzi. Infierire su popolazioni inermi, distruggere il più possibile, è la comune filosofia. Altro che kamikaze: i combattenti giapponesi colpivano solo obbiettivi militari. I piloti che sganciarono le bombe atomiche furono trattati da eroi e non da criminali di guerra; gli aerei che evacuarono le loro uova micidiali sono finiti in museo, come riveriti cimeli storici. Non esistono responsabilità umane per la bomba, non c’è dovere di obiezione di coscienza di fronte a eccidi così feroci e crimini così indiscriminati? Il libero arbitrio riguardava solo i soldati tedeschi che eseguivano gli ordini atroci dei loro comandi? Sconcertano i nomi gai degli aerei e delle operazioni che portarono la morte e la distruzione atomica in Giappone; non c’è nemmeno l’aura della tragedia nell’atto compiuto, neanche la coscienza solenne di compiere un atto destinato a far piangere a lungo i cieli e la terra. Nessuna guerra è mai stata fermata da un corteo di pace, il pacifismo è retorica, non voler vedere la realtà, serve per sentirsi a posto con la propria coscienza, sfilare come anime belle, contro le anime belluine. Ma non ci piacciono nemmeno, se non come genere letterario, gli elogi della guerra. Ogni guerra è una sconfitta, in partenza, ogni guerra rimedia a un male con un peggio, ogni guerra è malata di volontà di potenza e sostituisce la verità, la giustizia, la civiltà, la ragione, l’umanità, con la nuda forza. A insegnarmi la bruttura della guerra non furono i pacifisti, e nemmeno i santi, ma valorosi soldati come Ernst Jünger. Fu il massimo scrittore di guerra nelle tempeste d’acciaio della prima guerra mondiale, fu decorato al valor militare con le massime onorificenze, ma provò disgusto per la guerra di masse e materiali del Novecento, che nasceva con la leva obbligatoria ma preludeva alla guerra più infame e bestiale che possa esserci: contro l’umanità, senza limiti, contro le popolazioni civili, la gente massacrata perché appartenente a una razza, a una religione, a un popolo maledetti. Nel conflitto finiva l’ardimento, finivano gli eroi, i volontari di guerra, tutto era deciso dalla potenza dell’economia e dalla tecnologia militare, dalla capacità di nuocere alle popolazioni, ridotte a scudi umani, selvaggina, erbacce da sradicare. La guerra un tempo aveva vincitori e vinti e si rendeva onore a entrambi anche se la parola e il bottino spettavano ai primi; ora la guerra si fa totale, non risparmia nessuno, prosegue in pace con i processi e i tribunali che infieriscono sui vinti; è mossa dal proposito di eliminare i popoli e non sconfiggere gli eserciti avversari. Certo, la storia dell’umanità ha sempre avuto genocidi, eliminazioni di popoli, città rase al suolo, distruzioni totali; ma ora il nemico diventa assoluto e la guerra totale, illimitata. Apocalittica. Su Jünger sono usciti di recente due bei saggi, diversi ma diversamente interessanti: la sua biografia letteraria e politica di Gabriele Guerra, edita da Carocci, e lo Jünger segreto. Vita e opere di un anarca di Luigi Iannone, edito da Giubilei-Regnani. La parabola di Jünger è sorprendente: il massimo scrittore di guerra, esteta armato, eroe di guerra, scrive poi un saggio per La Pace e poi arriva, lui, già nazionalista e «conservatore originario», ad auspicare uno Stato Universale, cioè un’entità suprema che freni il disordine mondiale. Non è l’utopia internazionalista dei pacifisti, semmai è la nostalgia futurista del Sacro Romano Impero e della pax romana, quella che ispirò pure Dante Alighieri nel De Monarchia. Già, ci vuole una forza sovrastante per domare la forza, non basta il grido della pace. In mancanza, ci resta solo il ruggito inerme di un Leone disarmato, che fa il Papa.
George Soros e Howard Rubin (Getty Images)
Nel riquadro, Angelo Dellupi (IStock)