2025-09-28
Bruxelles taglia i soldi alle regioni virtuose
Ursula von der Leyen (Ansa)
Nel nuovo bilancio comunitario spariscono ufficialmente i fondi di coesione, ridotti e inseriti dentro un nuovo calderone che sarà gestito dallo Stato. Governatori in rivolta. Fontana: «Così non potremmo fare quasi niente». Cirio: «A rischio la credibilità europea».Sentiamo spesso parlare di fondi di coesione. La maggior parte delle volte sono soldi europei, ovviamente frutto di contributi che arrivano dai singoli Stati e in questo campo l’Italia riceve meno di quello che dà, che va direttamente alle Regioni. Ovviamente la maggior parte dei quattrini vanno alle zone meno «ricche», dato che appunto il senso del fondo è creare una maggior coesione nazionale ed europea. Tuttavia anche i territori che se la passano meglio possono godere di questi finanziamenti, i quali garantiscono la realizzazione di centinaia di migliaia di progetti. Tipo incentivi, attraverso bandi, per l’avvio di startup, per la ricerca, per salvare le aree interne, per l’innovazione, per il rinnovamento urbano sostenibile, eccetera… Ecco, dimenticatevi tutto ciò, perché i fondi di coesione, così come li abbiamo conosciuti, spariranno. L’Ue non li nomina più inserendoli in un calderone dove c’è di tutto, con lo scopo ben preciso di ridurli in modo da creare un budget per la Difesa e per dare una dotazione di ben 400 miliardi alla Commissione Ue, che avrebbe di fatto pieni poteri avendo le casse piene. Ufficialmente le Regioni non saranno taglieggiate, dato che il nuovo meccanismo allo studio per il bilancio continentale 2028-2034 prevede che i vecchi fondi di coesione vengano inclusi in una sorta di Pnrr permanente gestito dal governo. Tuttavia i nostri governatori non potranno più contare su soldi certi, dovranno mercanteggiare ogni anno con lo Stato centrale per avere le risorse che finora arrivano quasi in automatico in base ai progetti, con conseguente inevitabile guerra fra «poveri» per contendersi un euro in più, come avviene spesso e volentieri sul fondo sanitario nazionale. Attualmente la Programmazione europea 2021-2027 prevede in Italia la realizzazione di 58 Programmi a titolarità Italiana cofinanziati «a valere» sui fondi strutturali. E in totale sono 38 Programmi regionali di cui 17 cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), 17 cofinanziati dal Fondo sociale europeo plus (Fse+) e quattro plurifondo cofinanziati sia dal Fondo europeo di sviluppo regionale che dal Fondo sociale europeo plus. Di che cifre parliamo? Le risorse finanziarie assegnate alle politiche di coesione per il ciclo 2021-2027, ammontano complessivamente a 135,07 miliardi di euro per il settennio (dato aggiornato al 30 giugno 2025) di cui 96,5 miliardi di euro al Mezzogiorno e 36,8 miliardi di euro al Centronord, oltre a 1,6 miliardi di euro non ripartiti territorialmente. Non bruscolini, insomma. Per questo i governatori capeggiati dal lumbard Attilio Fontana sono sul piede di guerra contro la proposta europea. «Senza i fondi di coesione non potremmo fare quasi niente, è chiaro che sarebbe una scelta delirante», ha commentato il presidente della Lombardia. «È vero che l’Europa ci ha abituato a scelte deliranti, però tenendo conto che in questo caso passa anche attraverso il commissario Fitto noi confidiamo che possa esserci un ripensamento prima che succedano i disastri che sono successi con le scelte europee degli ultimi anni», ha aggiunto. Diamo un numero: nell’ambito del Programma di sviluppo rurale 2014-2022, giunto in chiusura di programmazione, sono stati erogati in Lombardia oltre 1,4 miliardi di euro, avvicinandosi quindi al completo assorbimento dei fondi disponibili (1,5 miliardi). «La Lombardia», ha evidenziato ancora Fontana, «è più efficiente dello Stato italiano e accentrare a Roma la negoziazione e la programmazione delle risorse significherebbe restare invischiati nel pantano e nelle lentezze tipiche del centralismo». Anche perché «la Lombardia ha dimostrato di gestire con efficacia i fondi Ue: l’Europa dovrebbe premiare i territori più meritevoli, e anzi», ha proseguito, «sarebbe opportuno che le risorse comunitarie non spese vengano redistribuite alle Regioni che sanno investire». D’accordo con lui anche il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, e il governatore della Liguria, Marco Bucci. Secondo quest’ultimo, «accentrare anche questa scelta a livello nazionale produrrebbe solo ulteriore burocrazia e perdita di tempo». I ritardi maggiori nella spesa in progetti sono stati accumulati dai Programmi nazionali, gestiti cioè direttamente dai ministeri, e dalle Regioni del Centrosud, scriveva la Ragioneria dello Stato pochi mesi fa, tuttavia anche dal Mezzogiorno è pronta a scattare una rivolta contro la proposta Ue. Secondo il presidente della Basilicata, Vito Bardi, «una centralizzazione dei fondi per ogni Stato non è compatibile con le esigenze reali dei territori. Bisogna», ha ricordato il governatore lucano, «difendere una politica di coesione autonoma, capace di valorizzare le peculiarità di ogni regione e garantire strumenti concreti per ridurre i divari». «Affondare l’Europa delle Regioni significa mettere a rischio la credibilità stessa della Ue», ha concluso Cirio. Ma soprattutto, «è paradossale che la Commissione voglia toccare proprio ciò che funziona, le politiche di coesione».
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