
Bisognerebbe avere la penna di Lewis Carrol perché questa è come la festa di non compleanno organizzata per Ursula nel Paese delle meraviglie. Stiamo celebrando la festa dei non dazi! Però stavolta il Cappellaio Matto, e cioè il Consiglio Ue, ha tirato fuori una sorpresa: si sospendono le tariffe solo a quei Paesi che accettano di ripigliarsi i migranti entrati illegalmente in Europa. Si dirà: è un gran passo avanti. Piano con gli entusiasmi: della settantina di Paesi che beneficiano dei dazi agevolati, anzi azzerati, in quanto poveri, meno di 20 hanno accettato di firmare le convenzioni per i rimpatri. E gli altri?
Continueranno a invaderci con i loro prodotti - soprattutto agricoli o di basso artigianato - a prezzi irrisori facendo dumping ai nostri agricoltori. Ma un altro passo avanti - come spiega Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore della modifica del regolamento Ue sui Paesi sicuri - è stato fatto perché la commissione Giustizia e Diritti dell’Eurocamera ha «approvato il dossier sui Paesi sicuri». È uno strumento indispensabile e - nota Ciriani - «confido che anche l’Aula lo approvi affinché l’Europa possa dotarsi di un impianto normativo solido e credibile nella gestione dei flussi migratori».
Sembrerà strano, ma dopo aver strillato come aquile contro il cattivone Donald Trump anche l’Europa si ricorda che le barriere commerciali possono servire. La baronessa von der Leyen le ha sempre interpretate in maniera punitiva per l’economia dell’Ue. Un esempio è la folle direttiva Csddd (Corporate sustainability due diligence directive) che prevedeva che un’azienda certificasse come sostenibile tutta la filiera. Dal Green deal ai dazi le astrusità si sprecano: eccone una assai datata (entrata in vigore negli anni Settanta e rivista nel 2014) e che si chiama Spg (Sistema delle preferenze generalizzate), per cui l’Ue non applica alcun dazio alle merci che arrivano da Paesi poveri o presunti tali.
Fino a poco tempo fa ne beneficiava persino la Turchia. Le nazioni che oggi godono dell’esenzione totale sono 69 e ce ne sono alcune il cui commercio è in mano ai monopolisti agricoli, perciò fanno danno ai nostri agricoltori. L’esempio più clamoroso è il riso. Partendo dal riso l’Italia - siamo di gran lunga il primo produttore europeo con un milione e mezzo di tonnellate e ne esportiamo oltre la metà - col sostegno della Spagna ha messo in crisi il sistema Spg chiedendone una verifica nonostante le resistenze del commissario all’Agricoltura Christophe Hansen e della stessa Ursula von der Leyen. La ragione delle resistenze è presto spiegata: gli altri Paesi europei importano riso (scadente) a prezzi da dumping penalizzando i nostri agricoltori. Quando si dice l’Europa unita! Il ministro Franceso Lollobrigida, sollecitato da Coldiretti e Filiera Italia, sul riso ha raggiunto un primo risultato. Scatta una clausola di salvaguardia automatica se le importazioni superano il 48% della media degli ultimi cinque anni: 552.000 tonnellate che arrivano da Myanmar e Cambogia, Paesi compresi nell’elenco Spg, ma che non hanno firmato gli accordi sui rimpatri.
Il fatto è - come rilevano Ettore Prandini presidente Codiretti e Luigi Scordamaglia di Filiera Italia - che «la Commissione a guida von der Leyen sembra non tener conto che molto di questo riso viene coltivato con lo sfruttamento del lavoro minorile, oltre che con l’utilizzo di pesticidi, vietati da anni in Europa. Le importazioni hanno appena superato le 540.000 tonnellate e hanno gravato anche sul prezzo di varietà di eccellenza come l’Arborio, che ha subito una perdita del 35% del valore rispetto allo scorso anno». Per questo le associazioni agricole - non solo quelle italiane - chiedevano clausole di salvaguardia su tutti i prodotti, non accordate.
Il compromesso tra Consiglio Ue e Parlamento - dove i socialisti, Pd compreso, si sono opposti a qualsiasi applicazione di dazi legati ai rimpatri - ora prevede che se un Paese non aderisce agli accordi sui rimpatri perde i benefici.
Nonostante sia a guida socialista, la Danimarca ha stretto moltissimo le maglie dell’immigrazione, e il ministro degli Esteri Lars Rasmussen ha detto: «I benefici devono essere legati per la prima volta, oltreché al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, alla cooperazione per il rimpatrio dei cittadini di quei Paesi presenti illegalmente in Europa». È un segno evidente del cambio di rotta dell’Europa sulle politiche migratorie con un concerto molto ampio in seno al Consiglio europeo per l’accelerazione dei rimpatri. Si è dunque capito che i dazi sono anche un’arma di pressione. E possono diventare uno strumento di protezione del lavoro degli agricoltori europei e mediterranei.
Tanto per avere un’idea, la Tunisia può esportare 17.000 tonnellate di olio extravergine (con le triangolazioni che passano da Spagna e Grecia il quantitativo si moltiplica per cinque) a dazio zero, il Marocco ci ha spedito mezzo milione di tonnellate di mandarini e 100.000 tonnellate di limoni e arance. Da Armenia, Bolivia, Costa Rica, Capo Verde, Ecuador, Georgia, Mongolia, Perù, Pakistan, Paraguay, Etiopia, Vietnam e Sri Lanka importiamo di tutto. Ma sovente, a fare affari sono le multinazionali. Le 400.000 tonnellate di caffé (per circa 2 miliardi di dollari) che arrivano dall’Etiopia sono in mano ai cinesi, il tonno in scatola che arriva a da Capo Verde è degli spagnoli, le banane del Costa Rica e dell’Ecuador passano per i due big del mercato: uno brasiliano (quando si dice il Mercosur) e uno americano.





