2025-12-04
I dem manettari con i guai degli altri: ora si scoprono garantisti in purezza
Dario Nardella (Imagoeconomica)
Quelli che volevano il Cav al gabbio cambiano idea. Nardella delira: «Italia nel mirino».Sono ore difficili per i sinceri democratici. Uno di quei momenti in cui non sai come fare per consolare Lilli Gruber e non deludere Gianrico Carofiglio. Càpita quando una delle tre entità intoccabili della sinistra viene messa in discussione, figuriamoci se sono due in un colpo solo. Quirinale, Unione europea, Magistrati: parole da scrivere con la maiuscola sennò è eversione, è squadrismo lessicale, è scempio della Costituzione. Poi arriva lo scandalo di Federica Mogherini e al Nazareno (con media connessi al seguito) vanno in tilt. Elly Schlein chiede a Francesco Boccia: «Meglio stare con l’Ue o con i pm?». Andrea Orlando, che passa di lì e fu ministro della Giustizia, sarebbe per tuonare contro l’indagata («È renziana») e difendere l’inseparabilità dei destini con gli amici magistrati. Decisione finale del cardinale Dario Franceschini con il righello in mano: «Bruges è lontana e dei giudici belgi ci importa zero. Facciamo che i compagni sono innocenti fino a prova contraria».Così, in un giorno strano, di quelli che si ricordano come il passaggio della cometa di Halley, accade qualcosa di meraviglioso: la sinistra scopre il garantismo. I manettari per eccellenza diventano garantisti in purezza. È sempre un bel momento, come innamorarsi a 60 anni. Qualcosa di sconosciuto quando si trattò di massacrare per un quarto di secolo Silvio Berlusconi; quando Matteo Salvini da ministro è stato mandato a processo per sequestro di persona per avere difeso i confini nazionali dall’immigrazione clandestina; quando Attilio Fontana si è visto accusare per avere regalato càmici agli ospedali durante la pandemia. Allora i canini affilati del Pd cercavano la giugulare, sempre e comunque a fianco dei pm, seguendo la regola di Pier Paolo Pasolini: «Io so ma non ho le prove». Eccerto, le prove in certi processi sono un optional.«La macchina del “sono tutti colpevoli” è già in moto». Se lo scrive Il Foglio - garantista dalla fondazione - ha un senso. È più singolare vedere le storiche mosche cocchiere dei pm muovere distinguo, prendere le distanze, fingersi liberali con un furore nuovo, addirittura esagerato. E ritrarsi schifate dal «processo mediatico», tanto Bruges è a 1.500 chilometri, chi ti si fila? La difesa d’ufficio è affidata a Walter Verini, veltronian-renziano e poi zingarettiano senatore dem, che non sapendo cos’altro dire si sorprende. «Le notizie su Federica Mogherini mi avevano lasciato incredulo, avendola conosciuta come persona perbene e molto preparata, in tutti i ruoli svolti. Per questo certi titoli e articoli di alcuni giornali erano sconcertanti: condanna senza appello, gogna, demolizione preventiva». Praticamente il precipitato politico di 30 anni di giustizialismo di sinistra smantellato in una frase. Sono soddisfazioni. Ma Verini, che sembra leggere un’arringa a caso dell’avvocato Niccolò Ghedini buonanima, non ha finito. «E sono sconcertanti gli articoli, anche perché in totale sintonia con le dichiarazioni diffuse dalla portavoce di Vladimir Putin e dal regime di Viktor Orbán. Ora che il fermo è stato revocato, mi auguro che il lavoro della magistratura contribuisca a fare chiarezza, a dissipare ogni ombra e ogni sciacallaggio». Della serie: siamo tutti garantisti almeno per un giorno. Quello in cui il tintinnio di manette è risuonato a sinistra. A supporto arriva l’eurodeputato Dario Nardella, con una tesi curiosa: l’inchiesta sarebbe un danno d’immagine per l’Italia. E allora? Meglio non farla. Di fatto lo è perché, esattamente come per il Qatargate, mostra le mani in pasta (accuse di frode e corruzione) degli onesti per decreto. Ma l’ex sindaco di Firenze intende altro. «Non conosco e non posso entrare nella vicenda giudiziaria. Solo non vorrei che si trasformasse in un fuoco di paglia con l’unico effetto di danneggiare ancora una volta l’immagine dell’Italia». Alla domanda di Repubblica se l’inchiesta possa scaturire da una ritorsione, in quanto Mogherini è stata da poco nominata a Bruges pur non essendo un’accademica, lui risponde: «Mi auguro di no, anche perché il criterio della partenza accademica non è vincolante e Mogherini ha portato un grande contributo di esperienza maturata sul campo, durante il suo incarico in Commissione europea».C’è qualcosa di artificioso, contro natura, nella difesa d’ufficio messianica. Qui non si tratta di salvaguardare un principio scontato (l’imputato è innocente fino al terzo grado di giudizio) e spesso dimenticato dal Pd per non irritare l’alleato in toga. Qui si tratta di negare addirittura gli addebiti, come se fosse un volgare esercizio di lesa maestà. Per questo la sinistra unita non sopporta una frase al curaro di Roberto Vannacci: «Ogni volta che in Europa scoppia uno scandalo, la ruota gira e finisce sempre lì». La gastrite provocata dalla frecciata del generale è dolorosa e Nardella non si trattiene. «Anziché lanciare accuse infondate su cose che non conosce, Vannacci ci spieghi a che punto è la restituzione dei 49 milioni di euro di rimborsi elettorali alla Lega, di cui lui è vicepresidente, sottratti in modo illecito allo Stato». A questo punto, davanti alla bufala stantia che neppure il cretino collettivo dei social ripete più, ti accorgi che l’integerrimo mondo dem è alle corde. E il garantismo, da quelle parti, è un salvagente bucato. Poco male. In Belgio la separazione delle carriere c’è già.
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Con Gianni Tessari, presidente del Consorzio Lessini Durello, esploriamo la storia di una grande eccellenza italiana apprezzata nel mondo.