2025-09-28
Donald prescrive la pace e apre ai due Stati
L’amministrazione Usa vara un documento propedeutico alla nascita di un nuovo organismo politico che convivrà con Israele: ostaggi liberi, amnistia ai leader di Hamas (poi l’esilio) e i gazawi non migreranno. Bibi: «Concessioni dolorose da accettare».La nuova proposta elaborata dagli Stati Uniti per mettere fine alla guerra a Gaza introduce due elementi che segnano una svolta nella politica di Washington: l’invito ai palestinesi a restare nella Striscia e la definizione di un percorso che, nel medio periodo, potrebbe condurre alla nascita di uno Stato palestinese. Lo rivela il Times of Israel, che ha ottenuto una copia del documento circolato nei giorni scorsi tra alcuni governi arabi e musulmani, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Il piano, strutturato in 21 punti, contiene passaggi già presenti in altre iniziative discusse negli ultimi mesi, dal rilascio degli ostaggi alla rimozione di Hamas dal potere. Ma l’indicazione esplicita a non lasciare Gaza rappresenta un cambiamento netto: solo a febbraio Donald Trump aveva provocato un’ondata di reazioni parlando della possibilità che gli Stati Uniti assumessero il controllo della Striscia di Gaza e che i 2 milioni di abitanti venissero definitivamente trasferiti altrove. Quelle parole avevano rafforzato le spinte, soprattutto nell’ala più a destra della coalizione di Netanyahu, ma anche tra politici israeliani moderati, a favorire una «migrazione volontaria» dei gazawi. Iniziativa che fino a oggi non ha trovato applicazione concreta. La bozza, confermata da due fonti indipendenti, introduce invece l’idea di aprire un dialogo politico diretto tra Israele e palestinesi, con la mediazione americana, per costruire un «orizzonte politico» che consenta una «coesistenza pacifica». Una presa di posizione che segna un distacco rispetto alla linea seguita finora dall’amministrazione Trump, che aveva accuratamente evitato di sostenere la soluzione dei due Stati. Dietro la stesura del documento c’è soprattutto la mano dell’inviato speciale Steve Witkoff, affiancato da Tony Blair e dall’ex consigliere della Casa Bianca Jared Kushner, entrambi da mesi impegnati sul dossier Gaza. Non mancano tuttavia le condizioni poste da Israele: disarmo totale di Hamas, smilitarizzazione della Striscia e avvio di un processo di deradicalizzazione della popolazione. La sequenza temporale di queste misure non è chiarita, ma appare legata alla conclusione del conflitto in corso. Un capitolo particolarmente delicato riguarda il futuro della leadership di Hamas. Secondo indiscrezioni, il piano statunitense prevede l’esilio dei vertici politici del movimento all’estero, in cambio della garanzia che Israele non li colpisca militarmente. Una sorta di uscita negoziata, che consentirebbe di chiudere la stagione della loro presenza armata a Gaza e di evitare un vuoto di potere totale. Resta da capire se i leader dell’organizzazione accetteranno una soluzione che comporterebbe la perdita del loro radicamento sul territorio. Proprio queste clausole rischiano di rendere arduo convincere Hamas ad accettare l’accordo. Allo stesso tempo l’apertura a un futuro Stato palestinese si scontra con l’opposizione netta di Netanyahu, che venerdì all’Assemblea generale dell’Onu ha scandito: «Dare ai palestinesi uno Stato a un miglio da Gerusalemme dopo il 7 ottobre è come concedere ad al-Qaeda uno Stato a un miglio da New York dopo l’11 settembre. Sarebbero concessioni dolorose e significative da accettare». Trump, al contrario, ha mostrato fiducia. Ai giornalisti ha fatto sapere che un’intesa potrebbe essere vicina e sui social ha scritto che «sono in corso intense negoziazioni da quattro giorni e continueranno finché non sarà raggiunto un accordo definitivo». Il presidente ha aggiunto che «tutti i Paesi della regione sono coinvolti, Hamas è consapevole delle discussioni e Israele è informato a ogni livello, incluso Bibi Netanyahu». Tuttavia, secondo una fonte citata dal Times of Israel, la proposta non è stata ancora presentata ufficialmente ad Hamas. E le stesse fonti del movimento, interpellate dal network qatariota al-Araby, hanno confermato di «non aver ancora ricevuto il piano Trump». Il piano è stato subito bocciato dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov: «Israele vuole far esplodere la regione». Intanto l’esercito israeliano ha fatto sapere che oltre 750.000 palestinesi hanno lasciato Gaza City per spostarsi verso sud. «La città si sta svuotando perché i suoi abitanti comprendono che l’operazione militare si intensifica, e che muoversi verso sud è per la loro sicurezza» ha dichiarato il colonnello Avichay Adraee, portavoce in lingua araba dell’Idf. Lo stesso ufficiale ha ribadito l’appello: «Vi invitiamo a trasferirvi il prima possibile nell’area umanitaria di al-Mawasi e a unirvi agli oltre 750.000 residenti della città che hanno già lasciato le proprie case negli ultimi giorni e settimane per la loro sicurezza». Israele sostiene di avere informazioni sui luoghi dove sono tenuti gli ostaggi, dettaglio che potrebbe pesare nei negoziati per il loro rilascio. Intanto l’Idf avanza rapidamente dentro Gaza City: nel nord sono caduti Jabaliya, Sheikh Radwan e gran parte di Natzrat, mentre nel sud Tel al-Hawa è stata conquistata e quasi tutto Sheikh Ajlin è sotto controllo, con l’obiettivo di chiudere la strada costiera. Le truppe si spingono verso Sabra e Rimal e si preparano a entrare nei quartieri orientali, fino a Zeitoun e Tuffah. La battaglia finale è attesa a Shati e Rimal, roccaforti storiche di Hamas. Gaza City, che prima della grande offensiva contava circa un milione di abitanti, appare oggi sempre più vuota e accerchiata e ad Hamas non resta che arrendersi.
Nel riquadro, Angelo Dellupi (IStock)
Un momento della manifestazione pro pal di Torino (Ansa)
Maria Elena Delia (Getty Images)