2019-12-06
L’opposizione di Renzi al trattato è durata solo il tempo di fare le nomine
Il Rottamatore ha sfruttato la situazione per indebolire Giuseppe Conte. Dopo l'intervento del Colle e l'accordo su Cdp si è placato.La mamma di tutti i dubbi sul Mes abita a Firenze e si chiama Matteo Renzi. Come in ogni vicenda in cui ballano soldi pubblici, a volte le trame si intrecciano a tal punto da non lasciar più capire chi è stato ad azionare per primo l'effetto domino. Il capo di Italia viva, per nulla distratto dalle magagne giudiziarie della sua fondazione Open, ha giocato senza farsi troppi scrupoli la carta della polemica improvvisa sul fondo salva Stati mentre trattava per portare a casa una bella manciata di poltrone pubbliche. Fino a quando, tra spread in rialzo e interventi dal Quirinale, sono partite le retromarce.Partiamo dal principio. In commissione Bilancio della Camera, Raphael Raduzzi dei 5 stelle, qualche settimana fa avvia un'indagine conoscitiva sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Il renzianissimo Luigi Marattin propone di convocare l'economista, ancora più renziano di lui, Giampaolo Galli, per esprimere il suo punto di vista sul fondo salva Stati che non piace affatto a Luigi Di Maio. È il 6 novembre e Galli, un vecchia gloria della Confindustria e già ex deputato Pd, apre il suo intervento con una frase che suona alquanto negativa: «La nostra (dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'università Cattolica, presieduto da Carlo Cottarelli, ndr) opinione è che la riforma del Mes […] contenga alcuni elementi di criticità per il nostro Paese». Un incipit che non si sceglie se poi si vuole dare un giudizio positivo dell'istituto. E prosegue ammonendo che «nella riforma emerge […] l'idea che un Paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes». Secondo Galli, dunque, «è evidente che il coltello è in mano al Mes». Infine sostiene che la sola perifrasi del termine «ristrutturazione del debito» pronunciata da Angela Merkel e Nicholas Sarkozy «ebbe un effetto deflagrante sui mercati finanziari dell'Eurozona». Per due settimane il dibattito cresce in modo lento ma inesorabile. Fino al 20 novembre, giornata campale per lo spread. Il differenziale tra i Btp a dieci anni e Bund tedeschi sfiora i 170 punti, il livello più alto da agosto. Ma ciò che è indicativo, è che è salito di 20 punti in una sola settimana, per colpa dei timori di una crisi di governo su Ilva o sul Mes, oltre che per i sondaggi che danno un crollo di M5s alle regionali e una vittoria leghista senza se e senza ma. Ed è proprio quel giovedì che il dibattito sul fondo cambia improvvisamente direzione, come se fosse mosso da un campo magnetico. Al mattino, Ignazio Visco parla in Europa e muove delle critiche al Mes, ovviamente assai velate, ma comunque messe lì a futura memoria. La Reuters le traduce e ci fa il titolo, mentre il testo dell'intervento del governatore viene messo per qualche ora sul sito della Banca, ma non viene tradotto in italiano. In serata, le agenzie nostrane registrano l'ammorbidimento chiesto da Via Nazionale, mentre l'agenzia inglese tiene il punto. Una settimana dopo, un indispettito Roberto Gualtieri parlerà niente meno che di «manipolazioni» delle parole di Visco. Già, perché il giorno dopo questo giornale invece riporta correttamente il passaggio chiave, che è inequivocabile: «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rilevarsi autoavveranti». Come si vede, solo in Italia potevano provare a sfumarla. Sempre il 20 novembre, con lo spread in fibrillazione, fa inversione a «U» anche Antonio Patuelli, un ex politico del Pli che le parole le sa pesare. Alle 11.08 l'Ansa riporta che il capo dell'Abi, la Confindustria delle banche, minaccia addirittura di «vendere i Btp» se passa il Mes. Alle 18.38, il medesimo Patuelli dichiara: «L'odierna dichiarazione del ministro dell'Economia e delle finanze, professor Gualtieri, sul Mes produce un positivo chiarimento in proposito». Gualtieri ha detto quello che ha sempre detto, e cioè che il Mes non ci danneggia, anzi ci aiuta in caso di problemi. Ma alla Verità risulta che anche Sergio Mattarella, che due settimane dopo interverrà pubblicamente, si sarebbe mosso a difesa del Mes. Tre giorni dopo, da Via Nazionale mandano avanti Fabio Panetta, direttore generale e futuro membro del board Bce, per assicurare che si sta assistendo «a reazioni isteriche» e che sono previste solo «variazioni tecniche per fare funzionare meglio» un istituto che esiste da dieci anni. Ma nella stessa occasione, alla festa del Foglio, aggiunge una proposta bizzarra: «Candidiamo al Mes uno dei nostri valenti ex ministri o personalità italiana di alto livello, anche europeo, per essere certi che non ci sia un abuso di quel meccanismo». Dal che si capisce che se il controverso fondo lo guida un concittadino, allora tutto va bene. Carlo Cottarelli, l'unico italiano che ha militato davvero nella Troika, lo stesso 20 novembre manda alla Stampa un articolo critico, dicendo che «alcuni elementi» del piano di riforma del Meccanismo di stabilità europeo «potrebbero aumentare il rischio di una crisi sul mercato dei titoli di Stato italiani».Il 26 novembre, dopo una settimana di tira e molla e colpi sotto la cintola, si conclude finalmente la partita che Pd, M5s e Iv stavano giocando dietro le quinte. Una quarantina di poltrone pubbliche vengono assegnate nei cda delle controllate di Cassa depositi e prestiti, tra cui Cdp immobiliare, Sace e Invitalia. Renzi porta a casa più di un terzo delle caselle e a quel punto è festa. Cambia il vento, per Italia viva il dibattito sul Mes perde tono e Cottarelli cambia l'ordine del giorno: «Il vero problema è ridurre il debito pubblico» (Stampa, 2 dicembre).