
Sui nostri media l’addio della Gran Bretagna all’Ue è descritto a tinte apocalittiche. In realtà la Global Britain nasce adessoAlla fine è una Brexit soft. Uno scisma, certo. Ma, visti i contenuti delle 1.255 pagine dell’accordo, Regno Unito e Unione europea restano alleati.Ma è curioso notare quanto accade da questa parte della Manica: i più convinti europeisti festeggiano sostenendo di non aver fatto sconti al Regno Unito e allo stesso tempo profetizzano l’Apocalisse sulla «Perfida Albione». Rincari dei prezzi e dei dazi, code per importare le scorte alimentari, fine del programma Erasmus: scenari che sembrano far piacere ai nemici della Brexit. Che però sembrano aver già dimenticato che il cosiddetto Project Fear (tradotto: «Progetto Paura») non ha sortito gli effetti sperati nel 2016: minacciare la catastrofe in caso di uscita del Regno Unito dall’Unione europea, infatti, non ha convinto gli elettori britannici a votare per il Remain.Un esempio degli errori più recenti dei profeti dell’Apocalisse? Il caso Erasmus. Con l’addio al programma europeo, il Regno Unito non si chiude, anzi: il premier ha annunciato un proprio progetto che prenderà il nome del genio dell’informatica Alan Turing e coinvolgerà «le migliori università del mondo». Un altro esempio? Le code alla Manica che tanta preoccupazione hanno suscitato nei giorni scorsi erano motivate dai timori per il no-deal, non dall’intesa raggiunta.Inoltre, ipotizzare un Regno Unito bloccato e chiuso in sé è l’esatto contrario di quanto prevede il piano Global Britain del premier Boris Johnson, un progetto che ha nel soft power (e quindi nella cultura) una delle armi principali: basti pensare che nel 2021 il Regno Unito organizzerà il G7 (e ha invitato anche Australia, Corea del Sud e India per ragionare su un’«alleanza delle democrazie» contro la Cina) e la conferenza sul clima Cop26 in partnership con l’Italia.E poi ci sono due elementi sui quali è doveroso soffermarsi. Il primo riguarda la storia e il percorso professionale di Alexander Boris De Pfeffel Johnson. Che per la sua famiglia non è Boris come per i media, bensì Al. Nato a New York il 19 giugno del 1964 da una famiglia britannica, il premier britannico ama definirsi un one-man melting pot, cioè un uomo multietnico viste le le sue origini inglesi, francesi, tedesche, ottomane, ma anche cristiane, ebraiche e musulmane (il bisnonno, Ali Kemal, fu ministro dell’Impero ottomano un secolo fa). Educato alla competizione dal padre Stanley, anch’egli deputato del Partito conservatore a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ha studiato in una delle più prestigiose scuole al mondo: Eton, da cui sono passati celebri scrittori come George Orwell, economisti rivoluzionari come John Maynard Keynes, i principi Harry e Williams, oltre a ben 19 primi ministri britannici. Dopo Eton, la carriera giornalistica nelle testate delle galassia conservatrice britannica: prima il Times; poi il Telegraph, di cui è stato corrispondente da Bruxelles e vicedirettore; infine lo Spectator, settimanale di riferimento che spesso ha anticipato e dettato la linea al Partito conservatore, di cui è direttore dal 1999 al 2006. Eletto alla Camera dei Comuni nel 2001, nel 2008 è diventato sindaco di Londra conquistando la rielezione nel 2012, l’anno delle Olimpiadi. Da primo cittadino della città globale per eccellenza si è fatto notare per le sue politiche ispirate al cosiddetto one-nation conservatism, che nel 2010 riassunse così: «Voglio che Londra sia un luogo competitivo, dinamico per venire a lavorare». È il racconto di un cittadino del mondo. Tanto che nel corso di un’intervista con David Letterman quando ancora era sindaco di Londra e tra i politici più amati del Regno Unito, scherzò (chissà quanto) sostenendo che «tecnicamente» lui può anche «diventare presidente degli Stati Uniti», visto che ha la doppia cittadinanza.Il secondo elemento di cui tener conto è il ruolo dell’opposizione del Partito laburista guidato da Keir Starmer, che soltanto un paio di settimane fa veniva incensato dalla stampa progressista italiana come il punto di riferimento, assieme al presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden, della nuova sinistra moderata. Starmer ha chiesto ai suoi deputati di votare a favore dell’accordo raggiunto dal premier Johnson mercoledì, quando la Camera dei Comuni si riunirà. La scelta è tra l’accordo e il no-deal, lo scenario che da sempre preoccupa la sinistra britannica (e non solo). Molti laburisti stanno minacciando la rivolta interna. Ma i conservatori hanno un’ampia maggioranza e il voto della sinistra non è necessario. Un test cruciale per il Partito laburista, per quella responsabilità a cui spesso è stato richiamato soprattutto sul dossier Brexit, ma non solo. Alla luce di certe di dichiarazioni apocalittiche provenienti dal mondo progressista italiano viene dunque da chiedersi se certi commentatori occasionali delle dinamiche britannici non sottovalutino il ruolo del Parlamento di Londra, abituati forse alle recenti tendenze italiane, con un premier poco incline al confronto in Aula.Se proprio si vuole ricercare un fragilità del progetto Global Britain (quantomeno di quello sulla carta) bisognerebbe soffermarsi sugli aspetti relativi all’intelligence e alla cooperazione militare. Con la Brexit, i Five Eyes (l’alleanza di condivisione di informazioni sensibili che riunisce Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) rimangono senza un’alleato nell’Unione europea e un «ponte» nell’intelligence del Vecchio continente. Circostanza che, guardata da questa parte della Manica, può rappresentare un’occasione per i Paesi europei. Per la Francia e per l’Italia, in particolare.
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese
Ursula von der Leyen (Ansa)
Sì al taglio del 90% della CO2 entro il 2040. Sola concessione: tra due anni se ne riparla.
L’Europa somiglia molto al gattopardo. Anzi, a un gattopardino: cambiare poco perché non cambi nulla. Invece di prendere atto, una volta per tutte, che le industrie europee non riescono a reggere l’impatto del Green deal e, quindi, cambiare direzione, fanno mille acrobazie che non cambiano la sostanza. Per carità: nessuno mette in dubbio la necessità di interventi nell’ambiente ma, fatti in questo modo, ci porteranno a sbattere contro un muro come abbiamo già ampiamente fatto in questi anni.
Ansa
L’aggressore di Milano aveva avuto il via libera dal Tribunale di Brescia nel 2024.
È la domanda che pesa più di ogni coltellata: come è stato possibile che, nel dicembre 2024, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia - competente anche per Bergamo - abbia dichiarato «non più socialmente pericoloso» Vincenzo Lanni, l’uomo che lunedì mattina, in piazza Gae Aulenti, ha colpito una donna sconosciuta con la stessa freddezza di dieci anni fa? «La cosa che mi ha più colpito», spiega Cinzia Pezzotta, ex avvocato di Lanni, alla Verità, «è che abbia ripetuto le stesse parole di quando aveva aggredito due anziani nell’estate del 2015. Anche allora si era subito accertato che stessero bene, come adesso».






