
Dall'Alabama Ryan Magers lancia una battaglia rivoluzionaria: difendere la volontà dei papà che vogliono permettere al loro figlio di vivere. Una contesa che può aprire nuovi scenari e che allarma le femministe.C'è un adolescente interessante almeno quanto Greta l'ecologista Thunberg. Però, poiché la sua non è una lotta progressista, non ha tutti i riflettori puntati addosso. Il ragazzo si chiama Ryan Magers e, pochi giorni fa, ha scagliato sul piatto del dibattito pubblico e del dibattimento giudiziario una questione non meno importante dell'inquinamento: perché il padre non deve fornire assenso (e, non fornendolo, non può opporsi) all'aborto della vita che ha contribuito a creare?I fatti. Contea di Madison, Alabama, gennaio del 2017. Ryan ha 17 anni. La sua fidanzatina ne ha 16 e gli comunica di essere incinta. Lui le chiede di tenere il bambino, lei si rivolge alla struttura abortiva Alabama Women's center for reproductive alternatives e il 10 febbraio 2017 pone fine alla gravidanza tramite aborto chimico (su circa 205 milioni di gravidanze annuali mondiali, un terzo sono indesiderate e un quinto, 44 milioni, finiscono per aborto indotto). Ora, Ryan e il suo avvocato, Brent Helmes, hanno deciso di citare in giudizio l'Alabama center, i suoi dipendenti coinvolti nella procedura e l'azienda produttrice della pillola abortiva utilizzata. Ryan agisce sia a titolo personale, in qualità di padre dell'embrione indicato in atti come «Baby Roe», sia come rappresentante dei diritti dello stesso. La motivazione? La morte per uccisione di Baby Roe. In un'intervista, ha dichiarato: «Sono qui per gli uomini che vogliono davvero avere il loro bambino. Credo che ogni bambino dal concepimento sia un bambino e meriti di vivere». «Era come se il mio intero mondo fosse crollato», ha detto commentando il post aborto. La gravidanza era approssimativamente di sei settimane. Fino all'ottava settimana il concepito si considera embrione, dopo feto: è lungo circa 2,5 cm, reagisce a stimolazioni, il suo sistema neurologico ha iniziato a funzionare, ma già entro la sesta settimana, quando è ancora embrione, si è formato un accenno di corteccia cerebrale. Secondo l'avvocato Helmes questa vicenda può aprire nuovi scenari legali. Proprio lo scorso novembre, infatti, in Alabama si è votato a favore (60% di sì) dell'Amendment 2 alla Costituzione del 1901. Presentato dal repubblicano Matt Fridy, l'emendamento ha stabilito «che è politica pubblica di questo Stato riconoscere e sostenere la santità della vita non nata e i diritti dei bambini non nati, soprattutto il diritto alla vita in tutti i modi e le misure appropriate e lecite» e che «la Costituzione di questo Stato non protegge il diritto all'aborto né fornisce il finanziamento dell'aborto». L'Alabama difende il diritto alla vita del nascituro, riconoscendolo soggetto giuridico da giustapporre, con pari peso, alla donna incinta e ai suoi diritti. Sul Guardian si può leggere un commento alla vicenda di Jill Filipovic, donna, che già dal titolo dice molto: «Il terrificante caso di un embrione di sei settimane che fa causa alla clinica abortiva»... Un embrione di sei settimane gettato via è un caso entusiasmante? Al Washington Post il padre della fidanzata di Ryan ha rilasciato affermazioni pesanti: «So che aveva fatto pressioni a mia figlia per fare sesso e non posso credere che siamo qui per questo, ora». In realtà, Ryan non cita in giudizio la sua ex, ma la «macchina abortiva» ed è assurdo che questo padre non capisca che la questione non riguarda solo loro e il feto, ma la società intera. Ancora più opinabili sono le dichiarazioni dei gruppi abortisti. A loro dire, riconoscere i «diritti fetali» e l'idea di «omicidio fetale» è «pericoloso» e può condurre a casi «incredibili» come la donna accusata di maltrattamento infantile per aver abortito spontaneamente a causa dell'assunzione dissennata di alcol e droga, perché - dicono - «il feto è considerato entità separata dalla donna». Ma come? L'aborto che separa di fatto il feto dalla donna va bene. Ma domandarsi se lo stesso feto non sia davvero un'entità separata dalla donna ai fini della vita non va bene? Per Ilyse Hogue, presidente del Naral pro choice America, il caso Magers è addirittura «pauroso» perché i diritti della donna, ragionando così, «diventano i terzi, dopo quelli di un uomo che l'ha messa incinta e del feto che ha abortito». È la solita propaganda che falsifica la realtà. I soli diritti sul banco, finora, sono stati quelli della donna. Mai prima si è legiferato sui diritti di padre e di non nato. L'aborto è considerato un diritto femminile. È stato ed è ancora sguaiatamente festeggiato come se abortendo si vincesse il Superenalotto, e viene difeso con la volgarissima virulenza che abbiamo visto le femministe contemporanee utilizzare anche durante lo sciopero dell'8 marzo, tra bestemmie, turpiloqui e bullismo. L'aborto è il diritto solo femminile di sopprimere volontariamente una vita. Se si può comprendere il desiderio di abortire una gravidanza che consegue a uno stupro o in presenza di una malattia che mette in pericolo la vita della madre come del feto, non c'è però ragione perché il padre non possa esprimere la sua opinione su una vita che per il 50% è nata da lui nel caso dell'aborto per gravidanza «semplicemente» indesiderata dopo un rapporto consensuale. E se il padre di quella terza vita la desidera? E la volontà del feto? Quest'ultimo non può verbalizzarla, ma la esprime essendo vita. Come può, dunque, non apparire l'aborto una faccenda pesata su una bilancia iperfemminista, irrimediabilmente tarata in chiave antimaschile e antiprocreativa, che vede l'aborto alla stregua di un mero anticoncezionale tardivo, un ostacolo al dogma della separazione ormai granitica tra sessualità a scopo riproduttivo e a scopo edonistico? Il desiderio di maternità e di paternità eterosessuali sono associati al Medioevo, derisi, quasi criminalizzati. L'uomo è completamente annichilito da queste moderne Medea che sembrano davvero volerne uccidere i figli per vendetta. La donna, gridano le femministe, non deve essere concepita come madre. Ma è una concezione puramente materna della donna quella che la titola unica avente diritto a gestire la maternità, anche quando si tratta di porre fine a una vita. Nel caso contrario, qualora sia il padre a rifiutare la gravidanza e a darsi alla macchia,,. la madre può costringerlo al riconoscimento della paternità e al mantenimento economico. È un altro diritto femminile. Ryan Magers è irriso sui social network statunitensi da una parte come burattino dei pro life, dall'altra come un maschilista Inseminator che adesso frigna. In realtà, sta difendendo il diritto alla vita di ogni Baby Roe mai venuto al mondo.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.