2020-08-11
L’Italia stanzia oltre 60 milioni l’anno per pagare le spese legali ai migranti
Servono a coprire il patrocinio gratuito cui hanno diritto gli stranieri indigenti arrivati nel nostro Paese senza permesso. Aumento esponenziale dei ricorsi e tribunali al collasso. E sul fronte delle espulsioni... Le Entrate boicottano la vendemmia. Dopo il danno della sanatoria Bellanova, la beffa delle assunzioni impossibili: l'Agenzia impiega 15 giorni a fornire il codice fiscale del lavoratore. E per il settore vino è crisi nera. Lo speciale comprende due articoli. Migranti irregolari che dobbiamo mantenere, provvedendo anche a pagare i loro ricorsi se non ottengono l'asilo politico o la protezione sussidiaria che invocano. Stiamo parlando di cifre enormi, decine e decine di milioni di euro che il governo italiano stanzia ogni anno per coprire il patrocinio gratuito cui hanno diritto gli stranieri indigenti (praticamente tutti si dichiarano tali), arrivati nel nostro Paese senza permesso alcuno. Lo Stato deve pagare per difendere i clandestini, anche quelli privi di documenti personali di identità, che decidono di fare causa all'Italia perché si sono visti respingere le loro richieste. Ieri il quotidiano Il Piccolo parlava di «aumento esponenziale», dei ricorsi da parte dei migranti che hanno portato il tribunale di Trieste «sull'orlo del collasso». I procedimenti di protezione internazionale avviati dal Tribunale di Trieste sono cresciuti da 195 nel 2017, a 1.128 nel 2018 per raggiungere la cifra di 3.219 nel 2019. Quest'anno, dopo solo sei mesi erano già 1.242. Un numero impressionante di pratiche correlate all'immigrazione, che «assorbono il 60% del lavoro della sezione civile del tribunale», spiega Paola Bosari, 47 anni, avvocato civilista e penalista, titolare di uno studio legale a Trieste. Racconta che «nel 2018 arrivarono i primi migranti a chiedere il mio patrocinio. Non volevano appoggiarsi ai legali fiduciari delle cooperative di accoglienza. Oggi sono circa 250 quelli che seguo, per il 60% hanno presentato ricorsi contro le decisioni delle commissioni territoriali che negano loro il riconoscimento dello status di rifugiato. Per il rimanente 40% si tratta di “dublinanti", ovvero migranti che sono riusciti comunque a presentare domanda di asilo nel Paese di loro scelta, cioè l'Italia, dove si sono trasferiti per riprendere l'iter di richiesta d'asilo negato da altre parti. Di questi, nessuno è stato mai rispedito fuori dai nostri confini». Quasi tutte queste pratiche significano difese legali gratuite: «Inizialmente venivano riconosciuti dallo Stato 1.200 euro per ogni patrocinio giunto a buon fine, mentre per quelli rigettati la cifra stabilita era di 900 euro», precisa l'avvocato Bosari, «poi la media si è assestata su 800 euro a procedimento, che può richiedere più anni prima di giungere a termine. Ad oggi mi hanno pagato un solo un patrocinio, per tutti gli altri dovrò aspettare il 2021 o il 2022, quando sono state fissate le udienze. A quella data, chissà dove sarà il pakistano o il nigeriano che ha fatto domanda di asilo». Moltiplicando la media di 800 euro per le 3.219 pratiche prese in carico lo scorso anno dal tribunale di Trieste, fanno più di 2,5 milioni di euro per la sola città giuliana. La situazione è identica, se non peggiore, nelle 26 sezioni specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale, istituite nel 2017 dal decreto Minniti per razionalizzare e velocizzare l'esame dei ricorsi dei richiedenti asilo. Stiamo parlando, ad esempio, dei tribunali di Firenze, Bologna, Ancona, Venezia, ma anche di quelli che avevano già una sezione, come Torino, Milano, Napoli, Perugia. Se le cifre fossero confermate da tutti, staremmo parlando di più di 60 milioni di euro spesi per difendere gratuitamente migranti che vogliono restare ad ogni costo in Italia, pur non avendone diritto. Come riportato dalla Verità, nel 2018 su 60.000 migranti che si erano opposti alle autorità che negavano loro lo status di rifugiati, a oltre 21.000 è stato concesso il patrocinio gratuito. Lo scorso anno le cifre sono aumentate ulteriormente, come testimonia appunto l'allarme lanciato dalla sezione civile del tribunale di Trieste. «Quando trattiamo casi di richiedenti asilo che hanno fatto la domanda in un altro Stato europeo, come controparte abbiamo l'Unità Dublino presso il ministero dell'Interno» aggiunge Paola Bosari, «quindi le udienze vengono fissate dopo due, tre anni. Spesso viene dichiarata l'incompetenza a Roma e si torna al foro di partenza, in questo caso Trieste. In Germania risolvono la questione in poche settimane, dopo il diniego mandano i migranti nei centri di deportazione da dove li rimpatriano sul serio». Non va meglio sul fronte penale, con i giudici di pace impegnati per il 70% nelle procedure di espulsione dei migranti denunciati per ingresso e soggiorno illegale in Italia. «Quando arriva il momento dell'udienza, spesso di quel clandestino non c'è più traccia», interviene l'avvocato Alessandra Devetag, vicepresidente della camera penale di Trieste. «Non solo, all'unico testimone che è l'agente della questura - dovrebbe aver identificato la persona, ma non sempre è in grado di farlo perché gli irregolari hanno numerosi alias - viene chiesto se è a conoscenza del fatto che il migrante abbia fatto domanda di protezione internazionale, perché in quel caso il reato cade. La risposta è per lo più negativa, il poliziotto normalmente non lo sa, quindi passa altro tempo per mettere insieme l'eventuale documentazione. Dopo un anno e mezzo, come minimo, si arriva a sentenza, il giudice condanna il clandestino a una sanzione pecuniaria di 5.000 euro, che ovviamente non verrà mai pagata perché l'uomo è sparito o è indigente». Nel frattempo, oltre il 50% dell'attività del magistrato è stata assorbita da incartamenti relativi a problematiche di espulsione di migranti, che invece rimangono sul nostro territorio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/litalia-stanzia-oltre-60-milioni-lanno-per-pagare-le-spese-legali-ai-migranti-2646941357.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-entrate-boicottano-la-vendemmia" data-post-id="2646941357" data-published-at="1597083743" data-use-pagination="False"> Le Entrate boicottano la vendemmia Il primo grappolo è stato raccolto ieri mattina in Franciacorta dando il là simbolicamente alla vendemmia 2020 che peraltro si annuncia di buona/ottima qualità e non esuberante in quantità, per un settore - quello del vino - che sente forti le difficoltà della crisi. Per l'Italia significa 15 miliardi di fatturato, di cui oltre 6 all'estero e 1,2 milioni di posti di lavoro. Di quei grappoli ce ne sono almeno altri 150 milioni che rischiano di marcire sulle piante causa burocrazia, fisco e smart working del pubblico impiego. Se la Coldiretti con il primo «taglio» tra i filari di Faccoli lancia un doppio allarme - ci sta che la Francia ci sorpassi per quantità di vino prodotto e non è un gran male l'altro, invece è molto preoccupante che causa Covid l'export sia calato del 4% per la prima volta in trent'anni - il rischio più pernicioso e attuale è quello denunciato dalla Cia. L'organizzazione agricola guidata da Dino Scanavino è molto critica. Se ha valutato (in parte) positivamente la sanatoria della ministra Teresa Bellanova che nei campi ha portato però pochissima manodopera, oggi la Cia dice: se va avanti così rischiamo di perdere la produzione. Quando si facevano le pratiche a mano in un'ora si aveva un codice fiscale da dare al lavoratore stagionale che poteva essere assunto. Ora con il Fisco 4.0, l'Agenzia delle entrate - fulminea se deve incassare o mettere in mora le imprese - ci mette 15 giorni a fornire il codice fiscale. Spiegano alla Cia: «La lunga procedura non ha riscontri con il passato e suscita molti dubbi sull'efficienza delle piattaforme digitali della Pubblica amministrazione, che in tempi di crisi come questo dovrebbero, invece, velocizzare le pratiche per agevolare il rilancio dell'economia. La digitalizzazione della richiesta dovrebbe essere persino più snella per l'Agenzia delle entrate, perché azzera le difficoltà di dialogo con il lavoratore straniero, che prima era costretto a recarsi personalmente a eseguire la pratica. Inoltre gli sportelli digitali non accettano richieste di codici fiscali cumulativi: massimo dieci per singola e-mail». Morale: assumere diventa un'odissea, anche perché di manodopera per fare la vendemmia non ce n'è grazie al flop della sanatoria Bellanova. Così oggi l'Italia si trova a fare i conti con il suo principale comparto agricolo in ginocchio: non si vende il vino (anche la campagna di distillazione di soccorso per smaltire le eccedenze di vino comune peraltro pagato meno di 28 centesimi al litro è in ritardo così come non è arrivato un euro di contributo per chi ha deciso di tagliare la produzione) e - come ricorda la Coldiretti di Ettore Prandini - 4 cantine su dieci hanno difficoltà. E c'è pure la minaccia che la nuova tranche di dazi Usa - l'America è il nostro primo mercato - colpisca i nostri vini per ora risparmiati dall'amministrazione statunitense. Tutto questo con una vendemmia che parte tra mille difficolta. Anche la Coldiretti insiste: ci sono 25.000 posti di lavoro disponibili per la raccolta dell'uva, dateci un voucher agricolo che consenta «la tempestiva disponibilità all'impiego e generi integrazione al reddito per giovani studenti, pensionati e cassa integrati». Anche perché in ballo ci sono 45 milioni di ettolitri di vino da produrre, di questi il 70% è Doc o Igt; il 20% del valore agricolo dell'Italia.