2023-01-24
«L’Italia hub europeo dell’energia». Paesi del Nord pronti allo sgambetto
Abdel Fattah Al Sisi (Getty images)
Giorgia Meloni lancia dall’Algeria il suo piano Mattei che sfida Germania, Norvegia e Danimarca. Per arginarle ci servono un riavvicinamento con l’Egitto e la sponda degli Usa, interessati a contenere l’avanzata cinese.L’obiettivo del piano Mattei per come lo immagina l’attuale governo è quello di rendere l’Italia l’hub europeo dell’energia. Da qui l’importanza di allacciare rapporti ancora più solidi con l’Algeria, Paese visitato ieri proprio da Giorgia Meloni, oltre a un paio di altre nazioni del Sahel fino all’estremo opposto del Mediterraneo dove regna Abdel Fattah Al Sisi. La recente visita in Egitto del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è tutt’altro che scollegata rispetto al piano Mattei. L’idea è di superare gli anni di rottura dovuti alle vicende Regeni e Zaki e riaprire i canali economici e le relazioni nell’industria delle telecomunicazioni e della Difesa. I segnali concreti ci sono, una grande azienda con sede a Roma sarebbe al lavoro per sviluppare lo scudo antiaereo del Cairo. Ma c’è anche l’obiettivo di tornare alla situazione ottimale che si era formata prima del 2016. Dopo la morte di Giulio Regeni, soprattutto i francesi ne hanno approfittato per espellere le nostre aziende dall’Egitto o meglio renderle molto meno operative. Ovviamente, tutto ciò non farà felice la Francia. Ma in questo caso non risiede a Parigi il principale ostacolo al progetto di riavvicinamento di Roma ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. La scelta di usare il nome del fondatore dell’Eni per battezzare il progetto di rilancio dell’Italia energetica implica l’accettazione di qualche effetto collaterale. Enrico Mattei perì in aereo per via delle sue scelte avverse alle cosiddette sette sorelle. Stavolta gli effetti collaterali sarebbero probabilmente meno cruenti, ma comunque pericolosi per la stabilità del nostro Paese. A mettersi di traverso saranno le nazioni del Nord Europa. Norvegia, Danimarca e anche Germania non sembrano disposte ad accettare che l’equilibrio energetico si sposti nel Mediterraneo. Il blocco Nord ha investito negli anni e ha guadagnato decine di miliardi in occasione della guerra in Ucraina. Non solo per il rialzo dei prezzi ma con il chiaro obiettivo di lasciare agli Usa il predominio del gas naturale liquido e di tenersi il resto del mercato dell’oro azzurro. A noi è toccato riempire gli stoccaggi a prezzi lunare, al blocco Nord sono finiti i vantaggi. A questo punto assieme godono di una enorme potenza di fuoco finanziario che potrebbe metterci in difficoltà su altri settori. Soprattutto quello bancario tramite le mosse della Bce. La Germania che è nella sua fase di maggiore debolezza potrebbe però sfruttare i vecchi legami con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il «dittatore», parafrasando l’uscita di Mario Draghi sul sultano di Istanbul. A significare che i rapporti con Ankara, nonostante gli ultimi ravvicinamenti, sono ancora tesi. E la capacità dei militari di Erdogan di destabilizzare la Libia è ancora molto elevata. Nel complesso ciò che i Paesi del Nord sanno bene è che a noi mancano i soldi. Un eventuale piano Mattei e la trasformazione dell’Italia in hub Ue per l’energia necessiterebbero di ingenti investimenti finanziari. Tema delicato da affrontare visto il nostro debito pubblico e vista la difficoltà di modificare il Pnrr e modellarlo sulle esigenze sorte dopo la guerra in Ucraina. Ovviamente non possiamo immaginare che si vada allo sbaraglio senza pensare a possibili alleanze. E visto che la storia spesso si capovolge, gli Stati Uniti che certo non si sono strappati i capelli quando precipitò l’aereo del manager di Acqualagna stavolta rischiano di essere alleati nell’impresa. Da un lato hanno già vinto la propria partita energetica (come abbiamo detto sopra sono già diventati leader del Gnl), dall’altro sono pronti ad affidare a noi un ruolo che i tecnici chiamano di «proxy», una sorta di intermediario che opera in loco. L’obiettivo sarebbe quello di intervenire in Algeria e in Egitto nei settori adesso di competenza dei cinesi e pian piano cercare di metterli alla porta. Non sarà per nulla semplice. Le aziende del Dragone da anni forniscono ai Paesi del Maghreb e del Medio Oriente infrastrutture digitali a prezzi estremamente vantaggiosi. Per i settori più disparati che vanno dai porti, all’energia passando per il cloud e il 5G. Basti pensare che Huawei ha lanciato il progetto Marrakech safe city e ha rimesso in sesto l’intero sistema tecnologico delle ferrovie Oncf. In Egitto la maggior parte delle attività e dell’information technology del comparto Tlc è di produzione cinese. In Algeria idem. Per di più ad Algeri l’intervento cinese avvenne in danno diretto del nostro Paese. Numerosi gli esempi. Uno su tutti fu clamoroso e mai risolto: nel 2009 un’azienda vicentina, la Consutel di Marco Rossi, subentrò a un operatore francocanadese e vinse un appalto da circa 1 miliardo. L’incarico era di fatto portare l’ultimo miglio di cablatura alle case degli algerini. Un evento incredibile: gli algerini prima di allora avevano sempre parlato francese. Purtroppo il sogno dell’imprenditore vicentino è durato poco. La concorrenza cinese si è fatta sentire. Il contratto, pur firmato, fu stralciato. E l’azienda purtroppo fallì. Un esempio di come non dovremo mai più comportarci in futuro. Portare tecnologia all’estero e poi farcela fregare. Serviva chiaramente un appoggio politico. A Roma e pure oltreoceano. Abbiamo la capacità tecnologica per tornare in questi Paesi e, visto che ci manca la potenza di fuoco finanziaria, dobbiamo trovare dei tutor. Speriamo che gli errori del passato tornino utili oggi.