
Con oltre 65.000 addetti (90% laureati) e 31 miliardi di fatturato, il made in Italy delle medicine e del comparto medicale supera la Germania. Distanziata a 21 miliardi la Gran Bretagna. L'export tricolore in un decennio ha fatto un balzo del 100%.L'Italia è un'eccellenza nel panorama farmaceutico europeo. A dirlo sono i dati presentati ieri da Farmindustria nel corso del roadshow da l titolo «Innovazione e Produzione di Valore. L'industria del farmaco: un patrimonio che l'Italia non può perdere». Secondo l'associazione che fa parte di Confindustria, negli ultimi dieci anni l'Italia - in particolar il Sud - ha fatto registrare una crescita esponenziale delle esportazioni riuscendo a fare meglio della media europea e diventando il primo Paese superando la Germania. In Italia il mercato del farmaco vale 31,2 miliardi, battendo di un soffio quest'anno Berlino che si ferma intorno ai 30 miliardi. In terza posizione, distanziata di molto, c'è la Gran Bretagna a quota 21 miliardi, seguita dalla Francia (poco sotto i 20) e la Spagna, intorno ai 15. Un settore che dà da mangiare a 65.400 professionisti (il 90% laureati o diplomati) oltre ad altri 66.000 che operano nell'indotto del settore. Tra questi ci sono anche 6.400 ricercatori che usufruiscono di 2,4 miliardi l'anno di fondi per l'R&D. La peculiarità, certamente contro tendenza, è che in Italia le aziende estere vengono ad investire. Su oltre 31 miliardi di fatturato, il 60% è prodotto da imprese a capitale estero e solo il 40% a capitale italiano. In totale il settore si compone di circa 200 aziende e circa il 93% della forza lavoro è assunta a tempo indeterminato. Realtà che negli ultimi dieci anni si sono anche mostrate più amiche dell'ambiente. Dal 2008 ad oggi le imprese del farmaco hanno ridotto i consumi energetici e le emissioni di gas climalteranti - che modificano il clima - di circa il 70% (più di 3 volte la riduzione per la media dell'industria). «Giovani, donne, territori, investimenti, ricerca, produzione, export. Questi i fattori che hanno determinato l'affermazione in Europa e nel mondo dell'Italia del farmaco» ha detto ieri Antonio Messina, vice presidente di Farmindustria. «Se oggi siamo i primi in Europa per produzione farmaceutica, dopo aver superato la Germania, lo dobbiamo a tutti questi fattori», spiega. In effetti, quello del farmaco, si sta mostrando un vero fiore all'occhiello per l'Italia. Si tratta del settore con la maggiore crescita tra il 2007 e il 2017 della produzione (+24% rispetto a -18% della media manifatturiera) e dell'eport (+107% vs +23% della media). Nel confronto con l'Ue, l'Italia, inoltre, è il Paese con la più alta crescita dell'export (dal 2007 al 2017 +107% rispetto a una media del +74%) e quello con il maggior aumento degli investimenti in ricerca (dal 2012 +22% contro il 16% degli altri settori). Tutta questa crescita ha spinto l'offerta di occupazione nel settore offrendo negli ultimi due anni il 4,5% di posti in più rispetto all'1,5% del comparto manifatturiero. Lombardia e Lazio si confermano le due regioni dove il mercato del farmaco è più sviluppato.Su un totale nazionale di 65.400 addetti, a Milano e dintorni lavorano 28.400 persone più 17.600 nell'indotto. Il Lazio conta invece 16.000 addetti cui si devono aggiungere altre 6.000 persone sempre nell'indotto del settore. Bene anche la Toscana con 7.000 professionisti e 4.300 addetti nell'indotto. Le altre Regioni contano tutte tra i 2.000 e i 3.000 addetti: Piemonte e Liguria (2.000 lavoratori più altri 7.400 nell'indotto), Veneto (3.000 più altri 7.200), Emilia Romagna (3.700 e 6.800), Marche (2.900 in totale), Abruzzo (1.400), Puglia (3.000) e Campania (900) e Sicilia (1.000 addetti diretti più altri 3.500 nell'indotto).Rispetto al totale nazionale, il Sud rappresenta il 6% dell'occupazione e il 13% dell'export. Nel Meridione lavorano circa 4.000 addetti del settore, che arrivano a oltre 10.000 con l'indotto. La presenza farmaceutica nel Mezzogiorno si concentra particolarmente in Abruzzo (L'Aquila, Pescara), in Campania (soprattutto in provincia di Napoli e Avellino), in Puglia (Bari e Brindisi) e in Sicilia (Catania).In totale il farmaco muove un'industria - comprese le azione a latere del comparto - da 132.000 addetti (che prendono stipendi per 6,7 miliardi l'anno) per un totale di 45 miliardi di produzione e 3,6 miliardi di investimenti in ricerca e sviluppo. Tutti valori che per molti settori rappresenterebbero un vero sogno ad occhi aperti. Inoltre, come se non bastasse, si tratta di un mercato che ci fa vivere più a lungo. Dagli anni Ottanta le malattie del sistema cardiocircolatorio sono calate del 64%, i tumori maligni del 25%, le patologie del sistema respiratorio del 47% e quelle dell'apparato digestivo del 47%. Un'altra prova del fatto che in Italia, quando si vuole, le cose possono funzionare.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro dell'Economia sulla legge di bilancio sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori. Tenendo conto degli altri fattori che incideranno sulla programmazione.
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Il terzo panel dell’evento de La Verità ha approfondito la frontiera dell’eolico offshore con l’intervista condotta dal direttore Maurizio Belpietro a Riccardo Toto, direttore generale di Renexia. L’azienda, nata nel 2012 e attiva in Italia e all’estero nel settore delle rinnovabili, del fotovoltaico, delle infrastrutture e della mobilità elettrica, ha illustrato le proprie strategie per contribuire alla transizione energetica italiana.
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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2025-09-15
Il Made in Italy alla prova della sostenibilità: agricoltura, industria e finanza unite nella transizione
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Dalla terra di Bonifiche Ferraresi con Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability), ai forni efficienti di Barilla con Nicola Perizzolo (project engineer), fino alla finanza responsabile di Generali con Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration): tre voci, un’unica direzione. Se ne è discusso a uno dei panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano.
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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Boldrini ed eurodeputati si inginocchiarono per George Floyd, un nero pluripregiudicato. Per Kirk, un giovane che ha difeso strenuamente i valori cristiani e occidentali, è stato negato il minuto di silenzio a Strasburgo. Ma il suo sangue darà forza a molti.