2023-11-25
Per tornare protagonista l’Italia deve avere uno sbocco sul Pacifico
Nel suo nuovo libro, Carlo Pelanda traccia una strategia geopolitica improntata al realismo. Molto si può fare, ma tutto passa dalla nostra capacità di proiettarci verso l’oceano.Qualcuno potrebbe chiedere perplesso che senso abbia l’idea di connessione tra Mediterraneo e Pacifico via canali di continuità territoriale: l’Italia può andare benissimo nel Pacifico saltando i sentieri territoriali e usando il mare libero e/o lo spazio aereo. La risposta è che il concetto qui espresso di proiezione dal Mediterraneo al Pacifico non implica, ovviamente, sentieri territoriali di transito, ma relazioni politiche ed economiche con gli Stati rilevanti lungo l’asse geografico/geoeconomico/geostrategico detto che facciano da base per ulteriori proiezioni della politica estera italiana e delle aziende nazionali verso la regione del Pacifico, allo stesso tempo consolidando le relazioni con gli Stati intermedi tra Mediterraneo e Pacifico stesso. Per esempio, per l’Italia è rilevante una relazione strutturata con il Mozambico, che anche lo stabilizzi, per le forniture di gas (liquefatto). Ovviamente è utile una garanzia di passaggio via Canale di Suez. Ma ciò che è importante per l’influenza italiana proiettiva è diventare un interlocutore affidabile per l’area orientale dell’Africa, per esempio aiutare la composizione del conflitto tra Egitto, Sudan ed Etiopia per i rifornimenti idrici dopo la decisione di Addis Abeba di costruire un’enorme diga (per inciso, costruita da un’azienda italiana) per elettrificare l’Etiopia stessa, ma che ha creato un contenzioso pesante e ormai annoso con il Sudan e l’Egitto. L’aiuto italiano per comporre tale contenzioso - che si inserirebbe in una partita di influenza geopolitica tra Cina, Russia e America - se di successo, comporterebbe una presenza di Roma nel caso, e un’eventuale proposta di soluzione tecnica pacificante. [...] Tale azione dovrebbe essere flessibile per evitare conflitti diretti con i gruppi jihadisti che operano nell’area, ma con l’idea che rafforzando i governi convergenti, la loro capacità di controllo del disordine, eventualmente con l’ausilio di istruttori militari e armamenti italiani per i casi più caldi. Questo approccio potrebbe estendersi a Somalia e Kenya e arrivare fino al Mozambico, consolidando la presenza italiana positiva nel Pacifico africano, partendo dall’Egitto fino ad arrivare all’Africa australe. La presenza su questo lato del Pacifico, poi, favorirebbe ulteriori proiezioni nella regione, a Est e Ovest, mettendo Roma nelle condizioni di iniziare relazioni pragmatiche nel meridione africano con il Sudafrica, nazione chiave. Per inciso, a tale azione potrebbe corrispondere una parallela di insediamento positivo in Angola - nazione gasifera e ricca di materie prime - lungo una linea marina atlantica via Gibilterra, ma anche eventualmente dal Mar Rosso. In sintesi si tratta di espandere e consolidare una presenza geoeconomica - predisposta da una presenza pluridecennale delle aziende italiane nelle aree dette e oltre - che non venga percepita come condizionante, ma come un aiuto reciprocamente utile dalle nazioni coinvolte.Ci vorrà un sostegno militare? Certamente, ma non intrusivo, indiretto e organizzato per impieghi cinetici diretti solo per casi d’emergenza entro un consenso locale e una convergenza con gli Stati Uniti. Infatti l’Italia dovrà scegliere un approdo in concessione dove costruire una base navale e un aeroporto capaci di ospitare un potenziale italiano di pronto intervento militare nell’area.Lo stesso concetto di proiezione dal Mediterraneo al Pacifico va applicato attraverso un vettore che passi dal Golfo, ma con varianti dovute alla natura molto evoluta degli Emirati sul piano economico e tecnologico: sarà utile un trattato bilaterale per collaborazioni industriali. L’inclusione - come osservatore o partner in alcuni progetti - negli Accordi di Abramo sarebbe il metodo migliore di posizionamento, abbinato a una relazione più stretta di reciproca utilità con l’Oman che è zona costiera strategica. Questo vettore di proiezione servirà a potenziare quello verso l’Africa orientale e australe, trovando alleanze arabe. [...]La speranza strategica è che la proiezione italiana nel Mediterraneo profondo apra a Roma la possibilità di alleanze più strutturate nel Pacifico. La traiettoria va disegnata partendo dall’accordo di partenariato strategico con il Giappone - che potrebbe rinforzare la presenza italiana nell’area araba meridionale e in Africa sia sul piano del presidio di sicurezza sia quello di progetti industriali - puntando, poi, consensualmente con Tokyo e Washington, a rinforzare la relazione collaborativa con Australia e Nuova Zelanda, nonché Corea del Sud, senza dimenticare Taiwan. [...] Nel caso l’Ue fosse bloccata, l’Italia avrebbe spazio bilaterale per tale strategia con le nazioni citate, sotto ombrello statunitense e con collaborazione del Giappone.La relazione con l’India - che è chiave per la presenza italiana nel Pacifico - sarebbe meglio strutturarla via accordo commerciale dell’Ue, puntando a un bilaterale italo-indiano a livello di forniture militari, come già impostato. Più l’India crescerà - nel 2050 avrà un Pil superiore a quello dell’Ue e nel 2075 più grande di quello statunitense - e più pretenderà relazioni da potenza emergente. Scenario non sottovalutabile perché l’India è vero argine di deterrenza nucleare contro la Cina e luogo dove trasferire gli investimenti industriali occidentali precedentemente delocalizzati nella Cina stessa, tendenza già visibile nel 2023, da vedere però se resterà tale o si spingerà verso altre nazioni a basso costo entro il perimetro di sicurezza dell’alleanza tra democrazie. La politica indiana - una democrazia - è tendenzialmente nazionalista/autonomista e tale postura richiede una relazione dal «forte al forte» che l’Italia ovviamente non può gestire da sola e che deve farlo via l’alleanza con l’Ue, gli Stati Uniti e la convergenza con Giappone e Regno Unito.La proiezione verso il Pacifico non deve far dimenticare quella verso l’America del Sud. Anche su questo versante, vista la complessità dell’azione, va considerata una spinta dell’Italia per attuare l’accordo tra Ue e Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela - ma questo sospeso nel 2016 - con associati Bolivia, Cile, Perù e altri). Il negoziato procede da decenni, ma è rallentato dall’instabilità di alcune nazioni e dal disastro continuo dell’Argentina. Poi la posizione del Brasile - per lo meno fino a che dura la guida di Lula eletto con un minimo margine nel 2023, (apparentemente) troppo filocinese e sostenitore di un Sud globale contro il Nord del mondo è difficile da armonizzare con l’Ue. Andrà per le lunghe. Tuttavia, la prospettiva di lungo termine è che un trattato commerciale si farà. Inoltre gli Stati Uniti inizieranno a migliorare le loro relazioni con il Sudamerica, negli ultimi anni deteriorate sia per i blocchi all’immigrazione sia per la presenza cinese e russa nell’area. Quindi per l’Italia è di vantaggio nazionale rafforzare le relazioni con alcuni membri del Mercosur che appaiono più stabili, contengono una emigrazione italiana rilevante e hanno peso strategico e minerario. Certamente il Cile, dove infatti è andato in visita il presidente della Repubblica italiana nel 2023, dopo un lungo tempo di mancata presenza diretta dell’Italia nell’area.Così come non va dimenticata l’Asia centrale, area ricchissima di risorse le cui nazioni non sono disposte a essere conquistate dalla Cina e soffrono la debolezza della Russia che non potrà difenderle, pur parte di una comunità economica russocentrica (Csi) perché costretta a convergere con la Cina stessa in posizione di secondo, e distante per capacità, partner: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. L’Italia ha avviato partenariati bilaterali nell’area. Nei dintorni, poi, c’è l’Azerbaigian (sul Caspio) da cui proviene parte del rifornimento di gas via tubo all’Italia. È difficile proiettare uno scenario di presenza italiana (con relazioni bilaterali) in questa area delicatissima, ma va citata la necessità di proiezione progressiva nell’area stessa perché zona con alto potenziale di risorse, Kazakistan in particolare, e valore geopolitico perché zona di conquista diretta da parte della Cina con obiettivo strategico di creare una «Greater China» che si espanda nell’Eurasia interna, zona meglio difendibile militarmente dalla potenza talassocratica statunitense. Bisognerà capire come deciderà di muoversi la Turchia, se la Cina riuscirà a domare la ribellione strisciante dello Xinjiang islamico e penetrare più a fondo nell’Afghanistan - potenza mineraria - addomesticando l’eventuale insorgenza dei talebani al potere e sconfiggendo la guerriglia dell’Isis-K (contro Taliban e cinesi con proiezione eventuale verso lo Xinjiang). Poi bisognerà capire la posizione del Pakistan - sulla cui influenza competono Cina e Stati Uniti - che ha pretese di influenza in Afghanistan e dintorni, di fatto in una guerra a bassa intensità, ma con picchi periodici, con l’India.Chi scrive ha la sensazione che gli Stati Uniti, dopo l’esperienza in Afghanistan, preferiscano circondare la sfera di influenza cinese utilizzando il loro potere sui mari (e nello spazio) mentre è più difficile applicarlo in territori lontani dai mari stessi. Ciò crea una possibile rilevanza per gli europei in relazione di contiguità euroasiatica con questi territori critici, tra cui l’Italia. Non c’è scenario perché la variabilità delle situazioni, nonché la continuità o meno della convergenza sino-russa, impedisce inferenze probabilistiche. Ma l’istinto strategico di chi scrive, oltre a sostenere le azioni già in atto di Roma per insinuarsi nello scacchiere centroasiatico, sente che un investimento diplomatico e commerciale più forte dell’Italia nell’area sarebbe molto produttivo, in prospettiva. Inoltre chi scrive ha annotato con segno di interesse, seguito da un punto di domanda, la Mongolia.
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