2019-08-31
Liquirizia, l’arma di conquista di Casanova
Il seduttore la usava come «aiutino» negli incontri erotici. Le legioni di Annibale utilizzavano i rametti per sopportare la fatica. Napoleone curava la gastrite da stress. Furono i domenicani, nel 1400, a esaltarne le doti benefiche sotto forma di tisane e pomate.Nel suo caso si può proprio dire che affonda le radici in profondità, nella storia dell'uomo. La si ritrova già 5.000 anni fa, in un testo di medicina cinese, ma la nascita della liquirizia è stata ricostruita con magica poesia da Marco Menuzzi. Vi era un tempo in cui l'uomo viveva in magica armonia con il creato e a nulla valevano le tentazioni che il diavolo proponeva per distrarlo dalla retta via. Decise così di togliergli una delle sue principali fonti di felicità: il miele. Ordinò ai diavoli di distruggere tutti gli alveari. Così avrebbe sterminato le api e i fiori stessi, non venendo più impollinati, sarebbero sfioriti. Fu a quel punto che l'ape regina più saggia convocò la formica più anziana e fu presto trovato un accordo. Si sarebbe nascosto il miele nei formicai e così, al riparo dalla luce, i demoni mai l'avrebbero scovato. Andò avanti per qualche anno. A ogni nuova stagione le formiche restituivano il piccolo tesoro salvato alle api, fino a che il demonio si arrese. Fu allora che le api decisero di ricompensare la generosità delle cugine formiche e regalarono loro, per sempre, del miele in modo che, tra i cunicoli bui delle loro tane, i generosi insetti potessero sentire un poco di dolcezza. Il miele, a contatto con la nuda terra, divenne scuro e compatto e anche il suo gusto cambiò profondamente. Acquisì la dolcezza delle rocce, il profumo del muschio e la forza delle radici. Le formiche decisero di dare un nome particolare a questo nuovo miele della terra. A noi piace immaginare così la nascita della liquirizia, il cui nome deriva dal greco: gluco, dolce e riza, radice. Ne parlano luminari quali Ippocrate, Galeno, ma soprattutto Teofrasto che descrive come gli Sciti, grazie a questa radice mescolata nel formaggio fatto con il latte di cavalla, fossero in grado di marciare nel deserto anche dieci giorni senza bere. In Italia è presente sulle coste calabre, pugliesi e abruzzesi. Su queste ultime si dice diffusa dalle legioni di Annibale che, attraversando il Piceno, ne utilizzavano i rametti per sopportare la fatica. In realtà i principali missionari della sua valorizzazione furono i domenicani, nel XV secolo, che ne ottimizzarono le svariate proprietà benefiche, sotto forma di tisane, decotti, pomate. I suoi principi attivi, in particolare la glicirrizina, sono utili quale protettivi della mucosa gastrica. Previene la gastrite da stress, tanto è vero che ne faceva uso regolare Napoleone prima di ingaggiare le sue quotidiane battaglie sui vari fronti europei.Utile per la tosse, favorendo l'espulsione del catarro bronchiale, così come per rialzare la pressione, combattere l'alitosi e conciliare il sonno. Già la medicina cinese ne aveva individuato le potenzialità afrodisiache, tanto che lo stesso Giacomo Casanova la usava quale «facilitatore» negli incontri con le sue numerose dolci metà. Tuttavia la sua vita non fu sempre facile. Nelle campagne veniva vista inizialmente come indesiderata presenza infestante, che andava a danneggiare i raccolti. Poi, verso il Settecento, le cose cambiarono. La liquirizia uscì dal ghetto degli alambicchi monacensi. Si svilupparono i primi «conci» cioè i laboratori addetti alla lavorazione della radice, da cui si otteneva una pasta gommosa che iniziava anche a prendere le vie dei mercati esteri. Sia come dolce golosità, ma anche quale supporto per aromatizzare la lavorazione del tabacco o delle birre. I proprietari terrieri non la videro più come un nemico del raccolto, ma come ulteriore opportunità di guadagno. I mezzadri scoprirono che, con la sua vendita, potevano arrotondare, in maniera discreta, i loro guadagni lontano dagli occhi del padrone. Lo Stato pontificio emise una bolla che vietava la raccolta delle radici in prossimità delle cinte murate o delle massicciate su cui si costruivano nuove strade o ferrovie.Il marchio più antico e tuttora in attività è quello di Amarelli, a Rossano Calabro. Il loro «concio» nasce nel 1731. Una storia ben documentata all'interno dello splendido Museo Giorgio Amarelli, fondato nel 2001. Un'attrattiva di così forte richiamo che, nel 2007, è stato il secondo Museo industriale più visitato in Italia, secondo solo al mito della Ferrari, a Maranello. Altre belle storie in Abruzzo, soprattutto nella zona di Atri. Quando i pastori rientravano dalla Puglia, percorrendo i tratturi costieri, ne raccoglievano le radici facendone mazzetti che custodivano nelle loro bisacce per consegnare poi in dono la cippadolce ai loro bambini. Qui sono nati diversi marchi o prodotti che sono tuttora vivi nell'immaginario collettivo. Pensiamo alle Tabù, il cui testimonal era un misterioso Ernesto, labbra e guanti bianchissimi, con papillon rosso su fondo nero. E che dire delle Morositas, che hanno avuto come ambasciatrice Carmen Russo, o, ancora la Saila, azienda nata dentro i locali di un vecchio cinema, anche se l'avvio della produzione in larga scala lo si deve al quel geniaccio di Arturo Gazzoni, il papà dell'Idrolitina, che propose al mondo le pasticche del Re Sole, inizialmente vendute solo in farmacia, quale ricercata caramella contro le tossi delle nebbie padane. Nome esotico dovuto al fatto che l'ispirazione gli era venuta da un antico ricettario in cui si riprendeva una preparazione di frà Giacomo il portoghese, luminare degli alambicchi alla corte del Luigi XIV, il Re Sole, appunto.Nella civiltà rurale del passato, dove non si buttava via niente, i rami più ricchi di foglie venivano appesi sugli usci delle case con funzione di acchiappa mosche. Queste, attirate dal suo profumo, rimanevano incollate alle foglie vischiose. Il ramo, poi, veniva dato in pasto alle galline sull'aia. È usata quale dolcificante e correttivo dall'industria farmaceutica, in quanto migliora la palatabilità delle compresse. Le sue potenzialità le aveva ben colte Jean Jacques Rousseau, il quale scrisse che, succhiarne il bastoncino, rappresentava un utile strumento per contribuire al sereno sviluppo dei bambini. Il sapore dolceamaro delle radici è il frutto di uno straordinario mix di condizioni climatiche e biologiche del terreno. L'utilizzo gastronomico conseguente. Dalle pasticche regali alle varie caramelle, il suo impiego in cucina è fonte di continue sfide e scoperte, come ben sottolineato da Giuseppe Amarelli, discendente dell'omonima famiglia, docente di diritto penale all'Università Federico II di Napoli, con le radici ben salde sulla costa ionica «il lavoro della mia famiglia ha iniziato a dimostrare lentamente che la liquirizia, come tutte le cose, ha anche un'altra anima, un'altra faccia». Intrigante e golosa, come si evince dal suo libro, tra l'amarcord di famiglia e il ricettario personale, dove si trova di tutto, come ad esempio le mandorle tostate al sale di liquirizia, oppure i riccioli (una pasta aromatizzata con la preziosa radice) con limoni di Calabria, ma anche la tartare di tonno con polvere di liquirizia o i gamberi rossi con lardo di Colonnata. E non potevano mancare il tiramisù e la crema catalana liquirizzati a dovere.Alla sfida liquiriziosa non si sono negati i vari mestoli stellati del Bel Paese. Ecco allora il risotto zafferano e liquirizia di Massimiliano Alajmo (innamorato delle dolcezze calabre, anche perché lì è nata sua moglie Mariapia). Ma poi abbiamo Tonino Cannavacciuolo, con anatra, zucca e liquirizia; Carlo Cracco, con il filetto di maiale alla liquirizia, sedano e cipolla di Tropea. Al dessert niente di più estroso, come lo stesso autore, ovvero Fulvio Pierangelini, delle rape rosse caramellate con gelato alla liquirizia. Concludere in bellezza è conseguente, con il caffè calabrese. Prendete un cucchiaino di povere di liquirizia, lo mettete sul fondo della tazzina, ci versate il nettare amaro e… volerete in paradiso.
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