2019-03-11
Nicola Morra: «Crisi di governo? Per me va bene»
Il presidente della Commissione antimafia: «Non ho problemi a tornare all'opposizione pur di non tradire il nostro mandato. Tav? Investire in quel progetto è un approccio arcaico. L'Italia ha bisogno di ben altro». Nicola Morra, senatore e veterano M5s, presiede la Commissione antimafia. Antimafia vuol dire tante meritorie battaglie, ma pure una certa propensione a liturgie, celebrazioni, celebranti. Poi però, quando una persona degna di totale rispetto come Fiammetta Borsellino, figlia del grande magistrato, critica in modo serio e argomentato alcuni magistrati, e riaccende i riflettori sull'archiviazione delle inchieste su mafia e appalti, viene silenziata e censurata... «Ho l'impressione che in questo mondo si debba usare grande cautela: ogni parola può risultare decisiva rispetto a un'inchiesta. Vale per tutti. Se poi ci sono elementi di rilevanza investigativa - perché nuovi - andranno esaminati. A fronte di elementi di novità, si potranno sottoporre a revisione i precedenti giudizi. Ho insegnato storia, e, come spiegò Marc Bloch, quello dello storico è un lavoro di revisione incessante». L'ultimo atto formale di Falcone a Palermo fu consegnare al procuratore quel documento dei Ros su mafia e appalti. E conosciamo l'attenzione di Borsellino, fino alla fine, su quel dossier. Non se ne parla troppo poco? «Sono convinto che si parli troppo poco di tante cose. A via D'Amelio fu prelevata un'agenda rossa mai più ritrovata. Poi fu alimentata una vicenda di depistaggi. Si dovrebbe lavorare tutti per accertare la verità, sapendo bene che purtroppo quanto più tempo passa, tanto peggio è. Non è che uno possa istituire efficacemente oggi una Commissione d'inchiesta sullo scandalo della Banca Romana…». Non le pare che ci sia troppa enfasi su alcuni aspetti (appunto, l'agenda rossa) e troppo poca sulla sostanza, sui soldi, su una mega inchiesta imbarazzante per molti, perché avrebbe coinvolto mafia, colletti bianchi, politica, imprese? «Ricordo che uno dei più efficaci insegnamenti di Falcone era “seguire i soldi". Oggi penso che dovremmo demolire alcuni aspetti della normativa bancaria vigente, permettendo agli investigatori più vaste possibilità di controllo, anche potenziando ulteriormente le misure preventive, la sottrazione di patrimoni a soggetti che non riescano a dimostrare la legittimità della disponibilità di quelle risorse». Ma così s'inverte l'onere della prova. Tocca allo Stato dimostrare che un certo patrimonio non sia legittimo, non il contrario. «In uno Stato che ha permesso che certe emergenze si cronicizzassero, occorre accettare questo controllo. Vale il principio: “male non fare, paura non avere"». Restiamo sugli appalti, oggi. La vostra maggioranza ha alzato la soglia per farli senza gara fino a 150mila euro. Non le sembra un errore? Lei è tra i pochi ad aver espresso dissenso. «Io stesso in passato ho presentato esposti in varie procure rispetto al fenomeno degli appalti-spezzatino, con il frazionamento di cifre importanti. Tra l'altro (lo dico anche ma non solo a forze politiche radicate al Nord) bisogna tenere presente che nel Paese ci sono asimmetrie economiche per cui chi guarda a Nord può reputare quelle cifre irrisorie. Ma in altre parti d'Italia la situazione è ben diversa. Aggiungo che occorrerebbe la rotazione dei soggetti affidatari: ma da alcuni enti locali non è praticata…». C'è un altro tema tabù, di cui una certa antimafia non vuol sentir parlare: il dilagare della mafia nigeriana. Possibile che non crei allarme l'occupazione militare del territorio, dai business poveri su su fino al traffico di droga? «Il fenomeno ha una storia di almeno tre decenni. Ci sono state indagini importanti e giornalisti che hanno scritto reportage puntuali su questa mafia, ma la distrazione di media e società è forte, la memoria assai debole. Non c'è solo quella nigeriana, in Toscana ci sono anche fenomeni di mafia cinese. Ma pensiamo anche alle mafie balcaniche. Il procuratore Nicola Gratteri parla di una sottovalutazione della mafia albanese. C'è bisogno di dare mezzi e uomini alle forze dell'ordine, conoscenza e intelligenza del problema: questo serve, non brutalmente i militari». Ancora mafia nigeriana. Hanno una disponibilità enorme di manovalanza a basso costo, e sono riusciti a modificare il mercato della droga. Sono ricomparse a prezzi stracciati droghe che ritenevamo quasi sparite. Oggi si rimedia una dose di eroina a 5 euro. «La realtà attuale della droga sembra essere questa. Quando abbiamo sentito i magistrati Pignatone e Prestipino, a proposito della situazione di Roma, ci hanno parlato di uno straordinario incremento delle sostanze stupefacenti negli ultimi sette anni. Ma il prezzo della droga lo dettano le mafie nostrane, non quelle straniere. Le mafie italiane uccidono i nostri giovani». Però c'è chi dice che perfino la criminalità italiana sia intimorita. Ci sono aree in cui non regge lo scontro, e cerca l'accordo. «A me sembra si debba ragionare in altri termini. Abbiamo permesso un meticciamento di mercati prima nazionali e non osmotici: ciò ha prodotto concorrenza anche in ambito criminale. E in questo campo, ciò si traduce in maggiore violenza: può imporsi chi è più bestiale e disumano. Ma resta fermo - per me - che la violenza di un singolo caso non sia paragonabile al cinismo di certi colletti bianchi che hanno creato danni enormi a intere popolazioni. Pensi ai rifiuti tossici. Vengo da una Regione, la Calabria, dove c'è l'assenza di un registro dei tumori, dove molti casi oncologici restano da spiegare…». Roma e mafia capitale. Domanda lontana dai cliché tradizionali. Si è molto discusso sulla denominazione («mafia» o no), ma leggendo centinaia di pagine dell'inchiesta a me ha colpito un'altra cosa. Le piccole imprese in crisi (di entrate e di liquidità) finite in mano a strozzini o soci-strozzini che poi se ne appropriano. Questo andrebbe affrontato con la crescita economica (meno tasse, ecc) più che con i soli strumenti penali. «Sono d'accordo. A seguito della crisi del 2007-2008, abbiamo vissuto una formidabile contrazione del credito. Fa rabbia scoprire che alcuni istituti bancari non abbiano stretto i cordoni per soggetti rivelatisi inaffidabili. E poi si è visto che l'80% delle sofferenze è determinata da affidamenti per entità singole superiori al mezzo milione di euro. Mentre il piccolo imprenditore, a fronte di affidamenti per appena 15 o 20 o 40mila euro, si è ritrovato costretto a rivolgersi al mercato del credito illegale. E mi lasci ricordare che quando Di Maio ha fatto i nomi di alcuni clienti di Banca Carige sono venuti fuori personaggi con presenze in salotti politici…». Codice appalti. Non le pare che, pur con la ragione di contrastare l'illegalità, lo Stato abbia costruito un muro procedurale troppo alto? «È sempre lì che si gioca la partita. Non dobbiamo confondere un inutile rallentamento burocratico con essenziali strumenti di trasparenza. Pensi al Durc: è venuto fuori che alcuni enti locali pagavano soggetti che ne erano sprovvisti… Vorrei ricordare che le norme sono strumenti a disposizione degli esseri umani. E l'attenzione andrebbe spostata proprio sulla qualità dei soggetti chiamati a decidere… Le faccio un esempio». Prego. «Sempre in Calabria, procuratori affermano che vi siano stati consorzi di bonifica che hanno pagato quattro volte la stessa fattura. Ecco, se scopro che un fornitore ha incassato quattro volte, non credo di dire un'eresia se affermo che per vent'anni non dovrebbe più avere a che fare con enti pubblici». Politica e collusioni. Sacrosanto bastonare chi abbia cedimenti. Ma non teme che l'attenzione finisca per concentrarsi sul politico-pupo più che sul mafioso-puparo? «Finché sottovaluteremo il fenomeno mafioso, saremo all'inseguimento. Il politico che si consegna è lo strumento, ed è giusto che si intervenga con la repressione. Ma a monte c'è il puparo. E oltre alla parte penale, serve un investimento in cultura, contro il fatalismo di chi ritiene che la realtà meridionale non sia modificabile, e con ciò legittima i poteri di fatto…». Come M5s siete arrivati pronti alla prova del governo? Ha letto la battuta di Grillo a teatro («Forse eravamo impreparati, forse non eravamo all'altezza»)? «Torniamo al verbo “studiare". Penso al testo di Michael Young: dovremmo lavorare per promuovere una cultura del lavoro di squadra: permettere a tutti di mutuare le competenze di alcuni. Come diceva Francis Bacon, “knowledge is power"». Lei è tra quelli che volevano votare per il processo a Salvini, prima che ci fosse il voto online. «Io sono tra quelli che sostenevano che neanche si dovesse votare online. Sottoporre a voto ciò che era paradigmaticamente un nostro fondamento era già una perdita di visione. Ora accetto l'esito del voto. Come diceva Longanesi, più che avere ragione, occorre farsela riconoscere…». Come finisce la partita Tav? «Mi auguro finisca nella coscienza del fatto che l'Italia abbia bisogno di ben altro. In un mondo di informazione e beni immateriali, investire solo nella fisicità rischia di essere un approccio arcaico. Fermo restando che conosco bene l'arretratezza, ad esempio, della rete stradale di parti del Mezzogiorno dove servono 3 ore per fare 120 km». Siete pronti a far cadere il governo? «Io non ho problemi. Ho sempre ribadito che si può far bene anche all'opposizione. Abbiamo il dovere di far bene. Se invece, per mantenere il governo, non ci si mettesse più in condizione di far bene, tradiremmo il nostro mandato. Mai confondere gli strumenti con le finalità».
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