2020-10-19
Luigi Negri: «Chi politicizza la Chiesa la tradisce»
L'arcivescovo emerito: «Se parliamo solo di scandali, banalizziamo la nostra missione sovrannaturale, che è annunciare Cristo. Guai a piegare l'identità nel nome del dialogo: il mondo da noi vuole verità, non banalità».Monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, non ha davvero bisogno di presentazioni per il pubblico della Verità. Lo abbiamo raggiunto in questi giorni in cui la Chiesa è di nuovo scossa da sofferenze e divisioni, incalzata dagli scandali finanziari, fiaccata da un sentimento di sfiducia da parte di molti fedeli, ma anche stimolata dalla pubblicazione dell'ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli Tutti. Un documento cui, in realtà, gli ambienti conservatori non hanno lesinato critiche.Monsignor Negri, nell'enciclica il Papa attribuisce a San Francesco, in visita dal sultano, una «fraterna sottomissione» all'interlocutore musulmano. La storia non andò un po' diversamente?«È inevitabile provare un po' di disagio di fronte a domande che sembrano chiedere di correggere, addirittura, il Santo Padre».Lungi da noi... «Mi limito a fare riferimento a quello che ritengo acquisito e documentato dalla storia». Sarebbe?«La Chiesa non ha mai avuto il problema di piegare eventuali istanze laiche o religiose, nella fattispecie la posizione dell'islam, a proprie visioni, e neppure il contrario, di sottomettersi a esse. È, infatti, legittimo che la Chiesa - quando giudica gli avvenimenti - abbia il dovere, prima ancora che la necessità, di essere fedele alla propria identità». Quindi?«Io non credo che si possa dire storicamente che ci sia stata, con San Francesco, una sottomissione della Chiesa all'islam». Appunto. Lei intravede, nel concetto di «fratellanza umana», che ispira questo documento, una sorta di svuotamento dell'identità cattolica?«Non ho fatto fino ad ora una lettura approfondita dell'enciclica. Quello che mi sento di dire è che la preoccupazione fondamentale della Chiesa non è di passare indenni i giudizi del mondo, bensì di annunziare Cristo come unica possibilità di salvezza».In Fratelli Tutti, questo c'è?«Nell'enciclica mi pare che questa preoccupazione sia fondamentalmente riproposta; se viene mantenuta tale prospettiva, il rischio dello svuotamento non c'è. È chiaro che sulla visione di fondo possono e debbono essere fatte tutte le specificazioni che gli studiosi ritengono utile fare».La «fratellanza umana» si richiama al documento condiviso con il grande imam di Abu Dhabi. Si può dire che almeno in quell'occasione, l'imperativo del dialogo ha rischiato di determinare un annacquamento delle rispettive identità?«Le varie identità devono essere realmente riproposte, in ogni momento storico, per quello che sono. È responsabilità specifica della Chiesa presentarsi secondo la propria identità. Occorre imparare a confrontarsi con il “diverso", nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, con molta obiettività e con molto rispetto, senza però rinunciare a dire chi siamo».Nell'enciclica, il Pontefice biasima le chiusure nazionaliste e le derive che potremmo definire «Volkish» dei populismi. Crede possibile, come auspica Francesco, integrare tutti gli stranieri?«Non posso escluderlo ma sono conscio della grave difficoltà che questo problema pone alla Chiesa e alla società, in momenti come questi».Come sarebbe meglio agire?«Ritengo che si debba perseguire la possibilità di un incontro e di un confronto serio, però senza premure, senza ingenuità, facendo bene attenzione alla situazione sociale ed economica reale nella quale viviamo, con la consapevolezza che su questo punto si gioca molto del futuro della Chiesa e della società».È possibile che il Papa, nella sua lettura dei fenomeni migratori, sia fuorviato dall'esperienza sudamericana? Il continente latino, in effetti, è nato proprio grazie all'immigrazione. Il timore, però, è che il Papa non s'avveda della differenza tra la migrazione dall'Europa cristiana verso le Americhe e quella dall'Africa verso l'Europa…«Sinceramente non so quale sia la prospettiva con la quale il Papa interpreti i fenomeni migratori. Posso rispondere a questa domanda solo in modo ampio, secondo la competenza che ho dei discorsi del Papa, non solo di quello attuale ma anche dei suoi predecessori».La prego.«La Chiesa non può avere la preoccupazione di risolvere tutti i problemi sociali. La Chiesa, nel turbinoso evolvere degli avvenimenti, ha il compito di salvaguardare la proclamazione di Cristo, unico Redentore dell'uomo e del mondo».Dunque?«Essa deve valutare se, di fronte a certe interpellanze della società, abbia la forza di giudizi e suggerimenti chiari che non nascano da visioni ideologiche, ma dalla fede stessa. Questo è il criterio da tenere presente. Io ritengo che si debba tenere il discorso a questo livello profondo, in modo tale da evitare la sensazione sgradevole che qualcuno voglia insegnare al Papa a fare il Papa». Condivide la preoccupazione, spesso manifestata dalla Chiesa africana, che il continente, a causa dell'emigrazione, sia svuotato delle sue energie più giovani, finendo condannato a una spirale di ulteriore impoverimento e involuzione sociale?«Condivido questa preoccupazione. E aggiungerei che una delle responsabilità più grandi della Chiesa oggi è quella di salvare l'originalità di tutti i fattori che entrano a comporre la sua vita».In che senso?«La Chiesa non può dimenticare di essere “africana" con gli africani, “europea" con gli europei; non può dimenticare, cioè, che la varietà costituisce il tessuto portante della sua vita. Questa unità nella varietà è una ricchezza che per noi cattolici è irrinunciabile».La Chiesa è di nuovo ferita dagli scandali. Che idea si è fatto della vicenda che ha coinvolto il cardinale Angelo Becciu? Oltre che di uso distorto dei fondi destinati alla carità, si parla della «dama», Cecilia Marogna, cui monsignor Becciu avrebbe fatto destinare ingenti somme vaticane, poi usate per l'acquisto di accessori di lusso; e, addirittura, del tentativo di Becciu di fabbricare prove false con il cardinale George Pell, che con la Segreteria per l'Economia stava ficcando il naso nelle operazioni discutibili della Segreteria di Stato.«Non ho assolutamente gli elementi per giudicare tali vicende. Aspetto che la magistratura faccia il suo corso». Le pare che a Becciu siano state attribuite colpe anzitempo?«Credo non sia corretto parlarne a partire dalla presupposizione della colpa. Per la Chiesa vale la presunzione di innocenza fino a prova contraria. Fin quando non sarà dimostrato l'operato negativo, in questo caso del cardinale Becciu, preferirei non esprimermi».Ci crede alla narrativa del Francesco riformista ma isolato? Anche Massimo Franco, nel suo ultimo libro, nota che questa giustificazione è anacronistica: dopo oltre sette anni di Pontificato, i collaboratori che lo avrebbero «tradito», a ben vedere, li ha scelti lui…«Non credo che criteri e sollecitazioni di questo tipo debbano essere utilizzati, altrimenti si rischia di parlare della Chiesa in termini politici. Questo è il primo tradimento che gli uomini di Chiesa devono evitare».Ovvero?«Ovvero, ridurre la sua natura soprannaturale e il suo compito di evangelizzare il mondo a qualche cosa di sostanzialmente più banale. Il mondo non ha bisogno che la Chiesa dica cose banali, ma che dica la Verità, tutta intera la Verità, proclamandola con il coraggio dei poveri e degli umili. Sottrarsi a questo compito è il vero tradimento insopportabile».È vero, come sostengono alcuni, che lo stile di governo di Francesco è condizionato da tendenze umorali e da un approccio quasi peronista alla gestione del potere?«Non condivido. Mi sembra che gli elementi, per un giudizio ponderato su la vita della Chiesa, debbano essere più oggettivi, senza queste opinioni un po' sbrigative che personalmente non sono in grado di verificare».I «conservatori» vengono spesso accusati di tramare contro il Papa e di voler trascinare la Chiesa verso lo scisma. Lo considera un rimprovero condivisibile? «Mi paiono tentativi di giudizio sull'unità della Chiesa basati su elementi troppo tenui. Il tempo che verrà, chiarirà e tutti saremo contenti, cominciando da me. Ciò che bisogna verificare sempre è questo: quanto è proposto serve il bene della Chiesa? Io, nella mia ingenuità, non faccio nulla senza interrogarmi su questo».In un recente romanzo distopico, il vaticanista Aldo Maria Valli immagina una Chiesa che, nei decenni, una serie di Papi, tutti dal nome Francesco, svuoteranno fino a trasformare in una specie di grande Ong. Volutamente, un'esagerazione, che però rende l'idea della preoccupazione che legittimamente anima tanti fedeli. Lei cosa vede nel futuro della Chiesa? Da dove arriverà la sua salvezza?«Il futuro della Chiesa dipende dalla fedeltà all'assunzione, vigorosa e coraggiosa, del compito affidatole da Cristo: una proclamazione energica della fede e una volontà di amore agli uomini che non si ritirino di fronte a nessuna obiezione o difficoltà».Come ottemperare a questo compito?«Occorre che gli uomini di Chiesa recuperino il coraggio di annunciare, con animo aperto, di fronte al mondo, quello che gli uomini desiderano veramente, magari senza neanche più esserne consapevoli: la salvezza è già venuta e abita in mezzo a noi».