2022-04-04
Ettore Prandini: «Così l’Europa uccide il nostro cibo»
Il presidente di Coldiretti: «Bruxelles non capisce che siamo in emergenza. Dispensa solo briciole e impone assurdità burocratiche. L’ultima? Il certificato ambientale per i pastori. Risultato? Cina e Usa ci colonizzano».«Quando vedrai sventolar bandiera gialla…» Belli quei tempi! Gianni Boncompagni e Renzo Arbore facevano la hit parade alla radio e l’antico simbolo della quarantena - pensa te - era diventato quello di una nuova libertà. Oggi dove sventola bandiera gialla c’è qualcuno che fatica la terra portando a casa troppo poco. Soprattutto dopo la pandemia. «Noi di Coldiretti siamo quelli della bandiera gialla e lavoriamo perché gli agricoltori abbiano il giusto, perché l’agricoltura sia al centro dello sviluppo. Le bandiere le portiamo a Bruxelles perché non capisce che c’è un’emergenza sociale ed economica gravissima. Abbiamo vissuto due anni di Covid, ora siamo a contare i danni delle sanzioni e l’orrore della guerra. Ci sono milioni di persone che si sono impoverite, settori come il turismo, l’agriturismo, l’agricoltura e l’agroalimentare che sono in enorme difficoltà e l’Europa non può girarsi dall’altra parte.» Ettore Prandini, 50 anni trascorsi per tre quarti tra le stalle lombarde e gli uffici della più importante organizzazione agricola, tre figli, ha un fisico da mezzofondista e le sfide le vede alla lunga. Dalla fine del 2018 è presidente di Coldiretti: 1,6 milioni di agricoltori iscritti in 4.143 sezioni comunali. Sono quasi più delle stazioni dei carabinieri. «Anche noi», scherza Prandini, «siamo tutori della dignità, della qualità e della legalità agricola. Siamo anche un sistema integrato che si compone di Creditagri Italia, la prima “banca” degli agricoltori, di Campagna amica con 7.500 fattorie, più di 1.000 mercati, quasi 2.500 agriturismi e poi botteghe, ristoranti e orti urbani. Sono oltre 8.000 i punti vendita dei nostri prodotti. Con Filiera Italia abbiamo realizzato la prima e più forte integrazione tra produzioni agricole di eccellenza e trasformazione e con Consorzi agrari d’Italia, in partecipazione con Bf (la più grande impresa agricola d’Italia, ndr) abbiamo un braccio operativo. Insomma abbiamo costruito per volontà e con il contributo delle imprese che rappresentiamo - il 70% di quelle agricole - un universo valoriale che candida l’agricoltura a primo motore di sviluppo sostenibile del Paese. E di quanto ci sia bisogno di agricoltura mi pare che in questi giorni drammatici se ne accorgono tutti, ma bisogna che l’Europa ci ascolti». Prandini, che cosa non va in questa Europa?«Non ha una visione né dell’emergenza né di quello che serve: è miope. Hanno stanziato 500 milioni prelevati dal fondo di riserva. Non sono soldi nuovi, il che già denuncia che non si è capita la gravità della crisi; non sono fondi differenziati, il che significa che non si è capaci di valutare né il peso dei diversi sistemi agricoli, né la quantità dei danni. A noi arrivano 48 milioni, ma si può? Concedono una compartecipazione al 200% di ogni Paese agli aiuti. Per l’Italia fanno 220 milioni. A fronte di un aumento di costi del 300%, che ci facciamo con questi spiccioli?».Gli altri che fanno?«Altri grandi Paesi, al contrario, mettono al centro la questione alimentare e la produzione agricola. L’allarme sui cereali, sugli oli vegetali, sui fertilizzanti è suonato per tutti tranne che a Bruxelles. L’Europa non si preoccupa di creare una blockchain (un sistema sinergico e tecnologico integrato, ndr) e di avere una piattaforma agricolo-alimentare; lo stanno facendo gli Usa, lo ha già fatto la Cina, ma noi no. Evidentemente l’agricoltura non è interessante! Ma non hanno capito che una carestia a livello mondiale può scatenare altri conflitti ed è pagata dai più poveri del mondo. Che facciamo? Solidarietà a parole?».L’allarme più forte è ora sui mangimi?«Ah, ma quello a Bruxelles interessa ancora meno perché impatta sulla zootecnia che se potessero liquiderebbero. Hanno in testa le stalle dell’Arabia da 70.000 vacche, quelle cinesi da 100.000 capi che sono effettivamente pericolose. In giro per l’Europa ci sono alcune forme di allevamento iperintensivo, ma nulla a che vedere con la zootecnia italiana. Noi al massimo abbiamo stalle con 300 vacche da latte. E siamo un modello: la nostra è la zootecnia più virtuosa del mondo e che fa bene all’ambiente».Lei fa l’allevatore, è un po’ di parte…«Macché di parte! Mi batto per la verità dei fatti e per smascherare l’incompetenza nascosta sotto il politicamente corretto. Ho scoperto, girando per le stanze di Bruxelles, che sulle imprese zootecniche hanno in mente nuove restrizioni burocratiche. Esiste un sistema di certificazione sulle emissioni che è limitato a chi alleva più 2.000 suini o 40.000 polli. Vogliono introdurlo per tutte le forme di allevamento sopra i 100 capi. Un pastore che ha un piccolo gregge in Aspromonte o sulla Maiella dovrà dotarsi di certificazione ambientale per pascolare le pecore... Senza zootecnia non c’è biogas, né ci sono alternative ai fertilizzanti russi che infatti gli americani hanno tolto dalle sanzioni perché senza non coltivano!».A proposito, non rischiamo una colonizzazione agricola come effetto della guerra?«Quando dico che c’è una miopia europea mi riferisco anche a questo. Totale solidarietà al popolo ucraino e totale condanna dell’aggressione operata da Vladimir Putin, ma non c’è dubbio che Cina e Usa stanno approfittando del conflitto per crearsi nuovi spazi commerciali in Europa. Del resto, noi eravamo già avviati verso un’idea di dismissioni di produzioni agricole a vantaggio di un approvvigionamento esterno. Ciò significa rinunciare alla sicurezza alimentare. Non puoi importare grano con i pesticidi, frutta con sostanze vietate perché pensi che agricoltura e ambiente non possano andare insieme quando gli agricoltori sono i primi tutori della qualità ambientale. In più il blocco dell’export in Russia sull’agricoltura pesa tanto: penso al vino che ci rimette mezzo miliardo, o all’ortofrutta.»Siamo sempre all’Europa che non ama l’agricoltura?«Basta parlare con il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans per rendersene conto. Ci daranno forse qualche spiraglio per la crisi ucraina, ma la rotta dell’Europa è quella. Voglio vedere come fanno a giustificare importazioni dalla Tunisia o dalla Turchia abbassando gli standard di sicurezza se non predicando che serve all’ambiente».Per questo volete la moratoria della politica agricola comunitaria (Pac)? «La Pac va congelata e il Farm to fork va accantonato, così come non possono darci una concessione sulla rimessa a coltura dei terreni bloccati dal set aside per solo un anno. È una follia! Per portare a produzione quei terreni servono cicli lunghi. Ma soprattutto ora che dobbiamo puntare all’autosufficienza non possiamo accettare questa Pac».Lei pensa che possiamo diventare autosufficienti? «Sono convinto che sia possibile in molte filiere. Certo, se ci sbloccano solo 200.000 ettari per una anno non ce la si fa. Ma in qualche anno possiamo recuperare altri 800.000 ettari. Noi siamo passati in dieci anni dalla quasi autosufficienza del mais alla carenza. Al contrario, dove ci hanno dato retta abbiamo abbattuto del 12% l’importazione di grano duro. Ma serve un quadro di tutela. Ad esempio, che si fa contro i cinghiali che in alcune zone si mangiano fino al 70% di raccolto? Ed è possibile per un malinteso ambientalismo non sfruttare la risorsa dei boschi e dipendere per il legname dall’estero mortificando il made in Italy? Il risultato è una doppia rimessa: per le industrie e per l’ambiente con continui smottamenti, incendi, disastri perché i boschi non sono coltivati. Per arrivare vicini all’autosufficienza bisogna valorizzare le filiere e distribuire il valore. Non può guadagnare solo chi trasforma o chi vende. Il sistema Coldiretti è un esempio».Invece insistono con il Nutriscore, cioè l’etichetta a semaforo, e con il togliere valore alle Dop?«Sul Nutriscore non passeranno. Noi rilanciamo con l’etichetta d’origine obbligatoria. Mario Draghi su questo è stato fermissimo in Europa e dà all’agricoltura e all’agroalimentare un’attenzione speciale. Sulle Dop è l’ennesima dimostrazione che non capiscono il valore del territorio».Un’ultima cosa: è preoccupato per la caduta in valore e in quantità dei consumi?«Sì, e sarebbe da sciocchi negare che questa inflazione genera alle imprese problemi enormi. Sono convinto che si debba agire prima di tutto contro i tentativi di speculazione. Sul grano l’Ucraina e anche la Romania hanno provato a speculare. Sono i nostri primi fornitori, ma sono anche Paesi che hanno beneficiato ampiamente dei contributi europei. Eppure Bruxelles è stata inerme. Lo stesso vale sui carburanti. Detto questo bisogna comunicare al consumatore il valore delle produzioni italiane e insieme difenderle. Una manovra sull’Iva sarebbe necessaria. Da agricoltore dico però che se si va avanti così, senza il riconoscimento dei costi aumentati, entro l’estate una stalla su quattro e un’azienda agricola su dieci falliranno. Non si venga poi a sbraitare sul latte versato o sulla frutta che non si trova o che arriva dall’estero, ma non dà garanzie. Ci sono gli strumenti per perseguire le pratiche commerciali sleali, è il momento di usarli. Per difendere produttori e consumatori. In fin dei conti è questa la vera filiera virtuosa».