2019-04-11
L’industria italiana è ancora viva e vegeta
Per l'Istat la produzione a febbraio ha fatto +0,8% su gennaio e +0,9% rispetto allo stesso mese del 2018. È il secondo dato positivo dall'inizio dell'anno. Tirano farmaceutica e beni di consumo, male l'energia. Siamo andati meglio di Francia, Germania e Inghilterra.Conte smorza le tensioni gialloblù e promette: niente aumenti Iva. Nel Def la riforma delle agevolazioni e la solita spending review.Mario Draghi pensa a ridurre l'impatto dei tassi negativi per le banche e rilanciare i prestiti.Lo speciale contiene tre articoli.L'industria italiana batte un colpo, il secondo consecutivo dall'inizio dell'anno. Nella giornata di ieri l'Istat ha diffuso i dati della produzione industriale relativa al mese di febbraio e ci sono buone notizie per l'economia del nostro Paese. L'indice destagionalizzato ha fatto segnare un confortante +0,8% rispetto al mese precedente, mentre quello tendenziale (cioè rispetto allo stesso mese dell'anno scorso) è aumentato dello 0,9%. La variazione del trimestre dicembre-febbraio rimane leggermente negativa (-0,3%) in confronto ai tre mesi precedenti ma, sottolinea l'ente nazionale di statistica, il calo risulta di «entità notevolmente ridotta». Il risultato ha sorpreso gli analisti che si aspettavano un calo dello 0,8% sul mese e dello 0,9% rispetto all'anno precedente. Nessun trionfalismo, ma di sicuro un segnale positivo che fa ben sperare per il futuro. Dando uno sguardo alle serie storiche, infatti, l'ultima «doppietta» consecutiva risale al bimestre maggio-giugno 2018, mentre per trovare un incremento per tre mesi di fila bisogna tornare indietro fino all'ultimo trimestre 2017. Soddisfatto Matteo Salvini, che sui social scrive: «Leggo finalmente buone notizie, l'industria italiana rialza la testa: produzione in crescita, +0,8% a febbraio rispetto a gennaio e +0,9% rispetto al 2018. Molto bene». Entrando nel dettaglio dei raggruppamenti principali di industrie che contribuiscono a formare l'indice, il balzo in avanti più significativo lo fanno i beni di consumo (+3,2%), mentre risulta più moderata la crescita dei beni strumentali (+1,1%) e di quelli durevoli (+0,2%). Negativo invece il comparto dell'energia (-2,4%). Sul fronte dei settori di attività economica, positivi in particolare i prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+11%), le industrie tessili, l'abbigliamento, pelli e accessori (+5,5%) e la fabbricazione di mezzi di trasporto (+2,6%). Rimangono indietro la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-4,8%), l'industria del legno della carta e della stampa (-3%) e il macro settore dell'energia elettrica, gas, vapore e aria (-1,5%).Mettendo a confronto il risultato del nostro Paese con quello delle maggiori economie europee, si scopre che l'Italia è davanti a tutti. La Francia ha fatto segnare +0,4%, un dato migliore rispetto alle attesa (il consensus era fissato a -0,5%) ma in calo rispetto al +1,3% di gennaio. Nel Regno Unito l'indice si è fermato a +0,6%, comunque superiore al risultato atteso che era previsto a +0,1%. Va meno forte dell'Italia anche la Germania (+0,7%), il cui dato tendenziale è invece in calo (-0,4%). Ma forse il dato più preoccupante per Berlino è quello diffuso martedì e riguarda la produzione del settore automobilistico. Secondo le stime preliminari anticipate da Destatis (l'equivalente tedesco dell'Istat), nel corso del secondo semestre del 2018 il relativo indice ha fatto segnare un eloquente -7,1%. La frenata tedesca, d'altronde, è ormai un fatto riconosciuto a livello internazionale. Sempre parlando di produzione industriale, l'ultimo bollettino pubblicato da Eurostat il 13 marzo scorso basato sui dati di gennaio ha certificato che la Germania gira a una velocità molto inferiore a quella del resto dell'eurozona sia se prendiamo in considerazione il dato congiunturale (+1,4% contro -0,9% tedesco e +1,7% italiano) che quello tendenziale (-1,1% area euro contro -3,4% di Berlino). È anche per via dell'importante e ormai per certi versi cronica flessione dell'industria tedesca che il Fmi ha tagliato drasticamente le stime di crescita per la Germania. Secondo il Fmi, infatti, nel 2019 il Pil teutonico crescerà appena dello 0,8% e nel 2020 dell'1,4%. Una sforbiciata importante, che per l'anno in corso è pari allo 0,5% rispetto alle previsioni di gennaio e addirittura dell'1,1% in meno se facciamo riferimento ai dati diffusi a ottobre del 2018. Risultati influenzati dal rallentamento a livello globale dell'economia, ma pur sempre deludenti se si pensa che fino a un paio di anni fa la Germania era considerata a tutti gli effetti la locomotiva d'Europa. Ora invece, come ha riconosciuto anche il segretario generale dell'Ocse Antonio Gurria, a colloquio la settimana scorsa con il premier Giuseppe Conte, la responsabilità della battuta d'arresto europea è da attribuire «soprattutto alla Germania». Come nota il Fmi, lo stop dell'economia tedesca è imputabile ai minori consumi privati, alla diminuzione della domanda estera e, ovviamente, ai risultati sotto le aspettative della produzione industriale. La ricetta consigliata dal Fondo è quella di utilizzare l'ampio spazio fiscale per incrementare gli investimenti pubblici e ridurre il costo del lavoro. Suggerimenti ai quali, anche a fronte del rischio di incappare in una recessione, il ministro delle Finanze Olaf Scholz sembra preferire ancora la disciplina di bilancio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lindustria-italiana-e-ancora-viva-e-vegeta-2634250060.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-chiave-per-la-flat-tax-e-seppellita-nei-76-miliardi-di-sconti-e-bonus-fiscali" data-post-id="2634250060" data-published-at="1758166776" data-use-pagination="False"> La chiave per la flat tax è seppellita nei 76 miliardi di sconti e bonus fiscali Il giorno dopo l'approvazione del primo Def gialloblù, il premier Giuseppe Conte tenta di ricucire gli strappi nel governo con un pranzo di lavoro con i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, mentre Giovanni Tria è volato a Washington per la riunione del Fmi. Troppa la carne al fuoco a partire dai nodi flat tax e disinnesco delle clausole di salvaguardia che saranno affrontati a settembre in vista della manovra d'autunno. Ma anche gli attesi provvedimenti - dallo Sblocca cantieri al dl Crescita e i rimborsi per i risparmiatori truffati dalle banche - i cui testi ufficiali non hanno ancora visto la luce. Il capo dell'esecutivo ha cercato di rassicurare, giustificando le stime di mancata crescita del Documento che segnano una netta inversione di rotta rispetto agli annunci e alle stime di qualche mese fa. «Siamo determinati a evitare l'aumento dell'Iva e non prevediamo una patrimoniale», ha detto Conte smentendo le notizie su scontri e tensioni a Palazzo Chigi. «È stata una riunione tranquillissima, tra noi è normale dialettica, è stata scelta l'impostazione più corretta», ha assicurato. Dal canto suo ci prova anche Salvini che ha dovuto, per il momento ammettere il parziale rinvio sulla flat tax («ci stiamo lavorando»). La crescita è stimata allo 0,2% per quest'anno «perché siamo prudenti, meglio correre dopo ed essere prudenti prima», ha affermato il vicepremier. E pure Salvini ha garantito: «L'Iva non aumenta, non ci sono tasse sulla casa e non ci sono tasse sui risparmi». Anche per Di Maio «aumentare l'Iva per fare la flat tax è una follia, la flat tax si farà ma non aumentando l'Iva», ha detto il vicepremier grillino che invece ha insistito su un altro tema caldo per i 5 stelle, quello dei truffati dalle banche e i continui rinvii sui decreti per i rimborsi. «Se non si concorda con i risparmiatori non si fa nulla», ha affermato Di Maio alludendo al fatto che non tutte le associazioni dei risparmiatori hanno firmato l'intesa di inizio settimana a Palazzo Chigi. Tutti d'accordo nel governo sullo stop all'aumento dell'Iva, senza però fare i conti con i costi dell'operazione. Ben 23 miliardi nel 2020 che, secondo le indicazioni di Conte, dovrebbero essere reperiti attraverso la spending review e le tax expenditures, il cui riordino è atteso da anni. Si aspetta di vedere la pubblicazione dei testi ufficiali del Def per capire come verranno declinate tutte le indicazioni e le intenzioni delle due anime del governo. Oggi il documento dovrà già essere a Bruxelles, di conseguenza i tecnici del Mef sono stati chiamati a lavorare fino a notte fonda. Nelle bozze del Def si fa un chiaro riferimento alla necessità di mettere mano alla montagna di sconti fiscali che si sono accumulati negli anni: si tratta di 610 misure per 76,5 miliardi, secondo un recente studio dell'Ufficio valutazione impatto del Senato, 466 voci invece secondo l'ultimo rapporto del Mef allegato alla nota di aggiornamento di settembre, di cui 120 voci valgono meno di 10 milioni. Le tax expenditures sono più volte entrate nel mirino anche durante la nuova legislatura, in particolare da parte dei 5 stelle, che vorrebbe eliminare gli incentivi dannosi per l'ambiente, ma finora nessuno è mai riuscito davvero a intervenire perché eliminare degli sconti significa, almeno per qualche categoria, aumentare le tasse. Accanto alla promessa revisione delle agevolazioni fiscali i gialloblù rispolverano anche la spending review: nella bozza del Pnr si parla di altri 2 miliardi congelati nel 2020 che salgono «in termini cumulativi a 3,5 miliardi nel 2021 e a 6 miliardi nel 2022». Poco considerando che oltre ai 23 miliardi di Iva, il governo vorrebbe trovare almeno 12 miliardi per tagliare le tasse al ceto medio. Nonostante le posizioni ufficiali che escludono categoricamente qualunque aumento di imposte, l'arma dell'Iva resta la preferita di Tria che nel corso della carriera accademica ha sempre elogiato lo spostamento delle imposte delle persone alle cose. E forse non a caso il sottosegretario Giancarlo Giorgetti si è limitato a osservare che «adesso non si può ancora dire». Il nodo vero, quasi assente dal dibattito, è però quello del debito: il Def non può che certificare un suo aumento abbastanza sostenuto, al 132,6% quest'anno, mentre il piano di privatizzazioni e dismissioni da un punto di Pil, promesso a novembre e confermato nelle bozze del Documento. A questo punto varrebbe veramente la pena, prendere in considerazione uno choc fiscale. Tanto vale di fronte all'aumento del debito soffrire un anno o due e poi veder i frutti del taglio delle tasse alle imprese alle persone e ai redditi da lavoro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lindustria-italiana-e-ancora-viva-e-vegeta-2634250060.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="dalla-cassetta-degli-attrezzi-della-bce-nuovi-aiuti-per-agevolare-il-credito" data-post-id="2634250060" data-published-at="1758166776" data-use-pagination="False"> Dalla cassetta degli attrezzi della Bce nuovi aiuti per agevolare il credito Concluso un Qe, se ne potrebbe fare un altro. Potrebbe essere questo, riassumendo, il messaggio che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha voluto veicolare nel corso della conferenza stampa che ha fatto da seguito al Consiglio direttivo di ieri dell'Eurotower. Un consiglio in cui la Bce ha confermato, come ampiamente previsto, i tassi di interesse a zero nell'area euro e ha mantenuto l'orientamento a non effettuare rialzi almeno fino alla fine dell'anno. «Quello che ha fatto il consiglio direttivo è una valutazione delle prospettive economiche e riasserire la prontezza della Bce a usare ogni strumento possibile per far fronte a qualsiasi contingenza possa verificarsi. Questo direi all'unanimità», ha detto Draghi. Il numero uno della Bce, in pratica, non esclude quindi né un nuovo programma di riacquisto titoli né il ricorso a qualunque strumento che possa limare il più possibile gli effetti negativi di una crescita zero in Europa. «I rischi per le prospettive di crescita nell'area dell'euro restano orientati al ribasso per via delle perduranti incertezze connesse a fattori geopolitici, alla minaccia del protezionismo e alle vulnerabilità nei mercati emergenti», ha detto Draghi. Per questo la Bce si è detta pronta a mitigare quanto più possibile l'impatto dei tassi negativi sulle banche nel caso in cui emergano effetti collaterali. Tanto che l'istituto di Francoforte starebbe considerando la possibilità di introdurre un tasso «graduato» sui depositi che consentirebbe alle banche di avere una parziale esenzione dal pagamento di un tasso d'interesse per depositare le riserve in eccesso alla Bce. In poche parole, l'idea sarebbe quella di rendere meno oneroso il costo dei depositi per le banche in modo sgravarle da ulteriori costi e, allo stesso tempo, agevolare l'erogazione del credito a privati e aziende. Per questo la Bce potrebbe, al momento è solo un'ipotesi, adottare un sistema simile a quello adottato già da Giappone e Svizzera per cui i tassi negativi vengono applicati solo alla parte delle riserve che eccede una certa soglia (20 volte le riserve obbligatorie in Svizzera, mentre in Giappone il calcolo è più complesso), alleviando così gli oneri a carico dei conti economici. Sempre in tema di aiuto agli istituti di credito, Draghi ha anche fatto sapere che le condizioni della nuova serie di operazioni di rifinanziamento agevolate alle banche (Tltro) previste in autunno saranno «comunicati nella prossima riunione» della Bce. Il presidente dell'Eurotower ha fatto sapere ieri che il costo del credito, insomma, dovrà essere compatibile sia con l'orientamento della politica monetaria, sia con il buon funzionamento delle aziende di credito. Draghi ieri ha poi confermato il suo obiettivo di voler riportare l'inflazione del Vecchio continente a livelli ben più alti di quelli attuali, intorno al 2%. «Siamo pienamente impegnati a garantire il ritorno dell'inflazione ai target senza ritardi», ha detto il numero uno della Bce che ha spiegato come il valore obiettivo di Francoforte non sia un tetto invalicabile: «siamo pieni di strumenti» da utilizzare, ha ricordato. Certo, ha ricordato il presidente della Bce, i dati in arrivo «continuano a essere deboli, specialmente nel settore manifatturiero, principalmente per il rallentamento della domanda esterna, che è stato amplificato da fattori specifici di singoli Paesi e settori», ha detto. Un impatto che «si sta rivelando più duraturo delle attese e l'inerzia più lenta della crescita si sta estendendo a quest'anno». Comunque, ha sottolineato il presidente della Bce con un po' di ottimismo, «l'effetto di questi fattori dovrebbe scomparire». Draghi ha anche commentato ieri la situazione italiana e il taglio delle stime sul pil previsto da diversi istituti. «Non sono state una sorpresa. Mi sembra piuttosto chiaro che la priorità nel Paese sia ristabilire crescita e occupazione» e Roma «sa come farlo», ha detto. L'importante, è che tale priorità, ha concluso, «sia perseguita senza innescare una crisi nei tassi di interesse perché il loro aumento ha un effetto negativo, di contrazione sull'economia».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)