
La rivista: «Patto con la Merkel per negoziare le nuove regole». E dagli Usa un pizzino: stare con i cinesi «non vi porterà bene».L'ultimo numero di Limes non parla di Tav. L'edizione in edicola della rivista di geopolitica del Gruppo Gedi (che vanta pure la presenza di Romano Prodi nel consiglio scientifico) reca il titolo «Una strategia per l'Italia», e ospita una serie di interventi che non sfiorano neppure il problema che sta tenendo inchiodati da giorni tutti i nostri organi di informazione, ovvero la tratta italo francese della linea ad alta velocità.Parla, invece, tra le altre cose, di euro, avanzando - con il saggio di Fabrizio Maronta, un'ipotesi paradossale, ma che almeno affronta un nodo reale, ponendo - non certo da posizioni «populiste» - il tema delle condizioni della permanenza dell'Italia nella moneta unica. L'articolo si intitola «Per salvarci dobbiamo minacciare Berlino di restare nell'euro». Sottotitolo: «Per agganciare l'Euronucleo serve applicare un whatever it takes a rovescio: avvertire i tedeschi che staremo nell'Eurozona anche a costo di danneggiarla seriamente. Obiettivo, renderla più affine ai nostri interessi. E volgere il deficit economico in surplus geopolitico».Il pezzo risente di una tara che sembra considerare il nostro Paese come non all'altezza di stare in un club troppo raffinato (quello della moneta unica), ma conserva il grande merito di toccare molti temi che normalmente vengono cancellati dalla polarizzazione demenziale tra «populisti» e «competenti» che sta cancellato la possibilità di un dibattito su un terreno condiviso.«L'integrazione e le sue reificazioni, dall'euro alle istituzioni comunitarie, non sono più percepite dagli italiani come un bene in sé», nota Maronta. Un passo avanti viene poi fatto con il tentativo di analizzare le cause di tale disaffezione: «Anzitutto, la profonda crisi morale, politica e istituzionale di un processo d'integrazione che ha ecceduto, e di molto, le sue capacità di governo della complessità interna e di azione esterna». E poi «i due eventi che più di altri hanno contribuito all'aumento esponenziale dell'entropia comunitaria [...]: l'introduzione dell'euro e l'allargamento a est».Con la moneta unica, prosegue, si è creata «un'area valutaria non ottimale [...] al cui centro siede un Paese (la Germania) che drena valuta invece di distribuirla, in ragione del suo costante surplus commerciale». Malgrado un'altra tara morale tipica, quella sulla «colpa» intrinseca del debito pubblico italiano, il saggio tocca un altro nervo scoperto: «Al sopraggiungere della grande recessione i nodi sono venuti al pettine. Complici la non svalutabilità dell'euro e le politiche pro-cicliche di stampo ordoliberista imposte da Berlino». E perché Berlino insiste? «Per sfiducia e convenienza. [...] Sin dalla riunificazione e dalla gestazione della moneta unica, l'industria tedesca ha avuto ben chiaro che un euro con dentro uno svalutatore cronico come l'Italia cementa il vantaggio competitivo della Germania, imperniato su produttività, economie di scala e coordinamento politica-finanza-industria (il famoso sistema paese), con una giusta dose di moderazione salariale».Sul «giusta» sarebbe interessante il parere dei salariati, ma la parte più interessante dell'articolo (ieri Maronta è intervenuto, con altri, al festival di Limes che ha visto presente anche il premier Giuseppe Conte) ipotizza una strategia italiana per negoziare la permanenza nell'euro rendendola sostenibile (spazio politico, questo, mai rivendicato dai precedenti esecutivi, al netto del giudizio sul presente). Come? «Non minacciando di andarcene [...], bensì prospettando di restare a tutti i costi - sorta di whatever it takes al rovescio - e di arrecare ipso facto seri danni alla moneta unica e all'Unione. In modo dirompente nel caso (non peregrino) di una nuova crisi, altrimenti per logoramento».La controparte di questa «trattativa Stato-Ue» è, nell'ipotesi avanzata, la Germania, con cui stipulare un «patto geopolitico (ri)fondante» che ponga le condizioni per l'appartenenza eventuale dell'Italia a quel nucleo centrale dell'eurozona da cui qualcuno, presto, potrebbe uscire (questo sempre secondo Limes). Paradossalmente, l'accordo con i tedeschi è quello cui sembra aver fatto riferimento il vicepremier Matteo Salvini quando, qualche settimana fa, ha parlato della necessità di un «asse Roma-Berlino», che potrebbe essere già in atto per i futuri equilibri di Bce e prossima Commissione.Forse, ovviamente. Perché l'Italia è al centro di pressioni e scricchiolii micidiali, nei quali scegliere e proteggere alleanze sarà delicatissimo e indispensabile. Da questo punto di vista, se occorrerà scegliere bene gli amici in Europa, non meno importante è quel che accade fuori. Le recenti tensioni con l'America per il 5G e la partecipazione italiana al progetto infrastrutturale cinese Belt and road hanno conosciuto ieri un picco inquietante. Dall'account Twitter del Consiglio per la sicurezza nazionale americano (@WHNSC) è partito uno dei rari messaggi, meglio: un avvertimento dal tono quasi minatorio. Traduzione nostra: «L'Italia è un'importante economia globale, e un prezioso obiettivo per gli investitori. Appoggiare la Bri (Belt and road initiative, ndr) legittima l'approccio predatorio agli investimenti tipico della Cina e non porterà alcun beneficio al popolo italiano». Concetto ribadito a stretto giro da Garrett Marquis, consigliere di Trump, un altro che cinguetta con il contagocce ma ieri si è dedicato a noi. Viviamo tempi frizzanti: dopo aver individuato gli obiettivi, all'Italia serve decisamente una strategia.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.