Le critiche di Donald Trump nei confronti dell’Europa sono ciniche ma nascondono quella verità che ci ostiniamo a non voler vedere: noi non contiamo più nulla ma continuiamo ad atteggiarci come se la forza e la bellezza di un tempo fossero rifiorite per effetto di una strana chirurgia estetica: i Trattati europei, tutti, da Maastricht a Lisbona.
Le dichiarazioni dei leader del Vecchio continente seguono il solito copione di indignazione e di fermo orgoglio, come se davvero ce lo potessimo permettere. Dalla Germania alla Francia è tutto un ribollir di rabbia per lo sfregio; eppure non siamo lontani dall’atteggiamento con cui il presidente americano aveva convocato la presidente della Commissione Ue in Scozia, in un golf club, per la pratica dazi. Una umiliazione messa agli atti e accettata per paura di altre ritorsioni.
Quando le cancellerie si incontrano, si pesano: quanto pesa la Von der Leyen? L’altro giorno sul Corriere della Sera Anne Applebaum - autrice del libro Autocrazie - ha criticato la Casa Bianca per l’atteggiamento di supremazia verso l’Unione europea. «Washington dichiara che non ha alleati, ma solo interessi economici». Come lei la pensano altri commentatori, indignati per la traslazione della politica al business. Beh, forse qualcuno dovrebbe ricordare che l’Unione europea è nata col forcipe della moneta unica e per mano dei mercati: ce lo siamo dimenticati?
Fu proprio per superare lo stallo politico (e per paura della Germania nuovamente unita) che si decise di adottare la moneta unica come acceleratore, ma anche in quel caso l’architettura della Bce non era affatto in linea con le banche centrali degli Stati sovrani. L’Unione europea si illuse di poter vivere in un ecosistema nuovo, dove contava la globalizzazione finanziaria (progressivamente nelle mani cinesi, ma non lo capimmo né noi né gli americani) e non gli Stati, i quali avrebbero progressivamente ceduto il passo a sovrastrutture. Invece la Storia non era affatto arrivata al capolinea, e anzi si stava riappropriando di vecchi lemmi: confini, eserciti, dazi, identità… Tutte parole che a Bruxelles consideravano superate.
Nei trattati di Maastricht, tanto per dire, le persone erano equiparate alle merci sotto la voce libera circolazione: come se bastasse per fare una comunità. Ricordiamolo: l’Europa non ha una Costituzione perché le radici e le identità diventarono un problema così grosso da far impantanare i lavori di quella specie di assemblea costituente che si chiamava Convenzione europea, affidata a Giscard d’Estaing. Tutto andava uniformato nel credo europeista; ecco perché non è un caso che Bruxelles esponga una natività dove alle figure di Maria, di Giuseppe e di Gesù bambino vengono sottratti i tratti somatici: tutto dev’essere senza tratti, senza fisionomia, senza identità. Come la bandiera europea, una bandiera che nessuno durante il Covid ha esposto: sui balconi c’era il tricolore.
Oggi le solite élite riaffermano la forza di quella bandiera che però non ha dietro il popolo, perché il popolo è stato estromesso dalla fase ascendente, di edificazione. Trump ha ragione anche quando parla di declino dell’Europa, un declino che non è solo economico ma dovuto alla più «profonda prospettiva di cancellazione della civiltà». Se non c’è civiltà, se non c’è popolo, se non c’è il rispetto della democrazia (e non c’è!), non si crea alcuna potenza in grado di competere nella ridefinizione dell’ordine globale con Usa, Cina, Russia.
Avevamo inseguito le logiche di mercato anche quando cercavamo i migliori accordi energetici con Putin, il quale con gas e petrolio aveva ingegnato il suo cavallo di Troia. Ma andava bene a tutti, Germania in testa.
Ora lo stesso gioco lo fa l’America, con un peso decisamente diverso perché gli Stati Uniti contano, la Ue no. Non c’è più uno spazio dove l’Europa possa competere hic et nunc.







