2021-06-21
Souad Sbai «L’imam ha detto di sgozzarmi ma lo Stato non mi protegge»
La scrittrice d’origine marocchina: «Contro di me una fatwa, eppure non mi assegnano la scorta. Vogliono colpirmi perché combatto il jihadismo, che ora dilaga nelle carceri» Scrittrice, giornalista, ex parlamentare dell’ormai dimenticato Popolo della Libertà. Con una condanna a morte sulla testa. Souad Sbai, da sempre in prima linea contro l’estremismo religioso, presidente dell’Associazione Acmid-Donna Onlus (Associazione delle donne marocchine in Italia), dal 1997 promotrice del Centro Culturale Averroè di Roma per la diffusione delle culture del Mediterraneo, arrivata in Italia dal Marocco 40 anni fa, è finita nel mirino di un imam radicalizzato detenuto in un carcere piemontese.Cosa è accaduto?«Una mattina, leggendo i quotidiani ho scoperto che ero minacciata, addirittura lui ha detto “sgozzatela” come è stato per Paty. Questa per loro è una fatwa, una pena di morte. Chiunque può farlo e va in paradiso. Stessa tecnica per il professore francese, chi l’ha ucciso è partito dall’Italia e non dalla Francia. La notizia, prima di darla ai giornali, potevano darla a me».Come se lo spiega?«È sempre la propaganda che parte dalla Fratellanza musulmana. Mandano messaggi e iniziano con le minacce. A parte il signore che sta in carcere, per un periodo di due-tre mesi ho ricevuto altre minacce, telefonate a tutte le ore, però non ho cambiato il numero. A un certo punto si sono stancati». Perché non è più in politica?«Posso saltare la risposta? Perché disturbo, disturbo troppo. E non chi sta in Italia, ma qualche paese arabo che ho attaccato fortemente. Così mi hanno isolata».Le piaceva essere seduta in Parlamento?«Certo, ma la politica la continuo a fare, forse ancora di più. Non mi fermo e nessuno mi ferma. Quel mondo lo conosco e fanno di tutto per distruggerti. Quando ci sono di mezzo i miliardari del petrolio, ti distruggono. Continuo lo stesso, ma dove mettevo le mani mi facevano terra bruciata intorno». Una volta saputo della minaccia a chi ha fatto appello per essere tutelata?«Prima di tutto volevo sapere di questo documento, e ho chiesto al mio avvocato di farmelo avere. Vogliono colpirmi per il mio impegno contro il radicalismo e la violenza jihadista. Lo Stato mi dica se sono un bersaglio». FdI s’è mossa subito con una interrogazione urgente al ministro Lamorgese per sapere quali provvedimenti avrebbe messo in atto per tutelarla. Ora ha la scorta? «No, assolutamente no. Non sono comunista o di sinistra. All’interrogazione il sottosegretario ha detto cose che sapevo già. Dopo la risposta sono stata avvertita dai carabinieri che ci sarebbe stato da parte loro un maggiore controllo. Giro mezza Italia e nessuno lo sa».Quanto è esteso il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri italiane?«Purtroppo è molto diffuso. L’estremismo radicale agisce molto in carcere perché nelle moschee c’è più controllo e più distrazioni. Che invece non ci sono in carcere. Da noi gli “imam fai da te” girano nei penitenziari. Fanno proselitismo e sui giovani attecchisce molto. Non dimentichiamoci che Anis Amri (il responsabile dell’attentato di Berlino nel 2019, ndr) è partito da un acrcere italiano ed andato a fare una strage».Quindi?«Bisogna porre molta attenzione sugli istituti penitenziari e su quello che accade tra la popolazione carceraria islamista e filo jihadista. Perché personaggi come questi all’interno delle nostre carceri ce ne sono tanti. Non possiamo lasciare che imam con ideologia jihadista, continuino a fare proselitismo in cella». Diceva di «imam fai da te». Esistono anche «moschee fai da te»?«Sì e sono un gravissimo danno. Come mai in Italia ci sono imam che non sono mai andati a scuola di teologia islamica, che non hanno mai studiato e non sanno nemmeno cosa dice il Corano? Facciamo finta di non vederli per il quieto vivere, ma se non regolarizziamo il fenomeno, ci scoppierà in faccia domani».Il Covid ha chiuso in casa i ragazzi e non sono andati più a scuola, sono stati facili prede?«Questo è un vero dramma. Nel Web, anche se ora ci sono controlli maggiori, gira di tutto. Se entro in qualche sito è certo che stanno facendo propaganda jihadista. Con le serrate nessuno si è occupato di questo fenomeno e non ci sono i numeri. La nostra intelligence è molto attenta, ma non può controllare una comunità, in particolare i giovani, sparsa in tutta Italia. Già prima della pandemia, il Viminale diceva che il 36% delle ragazze non potevano andare a scuola, figurarsi ora. Bisogna controllare la scuola e le carceri». La radicalizzazione è un fenomeno da collegare all’immigrazione incontrollata?«L’abbiamo detto e ci hanno attaccato in tutti i modi. Alcuni arrivati con i barconi sono andati a finire nelle mani della criminalità, altri erano già radicalizzati. Come quello che è andato a uccidere il professore francese Samuel Paty. È un fenomeno da non sottovalutare. Già abbiamo un problema con i nostri radicalizzati e ora ne facciamo entrare altri? È un pensiero molto crudele verso questo giovani ai quali non offriamo qualcosa di meglio. L’obiettivo di tutti loro è andare in Europa, non è rimanere in Italia. Quelli che restano sappiamo bene come finiscono, tra spaccio e radicalizzazione».Ne sta arrivando un vero e proprio esercito. «Se arrivano, sanno che possono farlo. Se ci fosse un governo che li riaccompagna all’aeroporto per riportarli a casa, il tutto filmato e mandato ai tg, nessuno arriverebbe più. E non si dica che non si conoscono le nazionalità perché ci sono esperti che possono riconoscere i paesi d’origine in un minuto e anche i loro dialetti. La verità è che qualcuno di altissimo livello, magari nemmeno italiano, vuole questo. E noi dobbiamo state zitti». Secondo lei arrivano con un progetto?«Questo non lo so, ma so che arrivano tanti uomini e la maggior parte vuole guadagnare subito. Non hanno la pazienza d’imparare un lavoro come, invece, dovrebbe fare un immigrato che vuole integrarsi. Visto che li vogliamo, allora teniamoli bene, non facciamo gli ipocriti. Il fatto di farli venire per poi lasciarli in mezzo alla strada è un’ipocrisia criminale. Perché quei ragazzi hanno anche il diritto di sapere che qui non c’è un futuro. Se c’è, e non lo vedo nemmeno per i ragazzi italiani. Vogliamo tenere gli immigrati? Allora insegniamo loro la lingua, un mestiere e diamo loro una casa». Questa grande ondata di migranti che pare non avere mai fine è un fallimento della politica europea e italiana?«Totalmente. In questi paesi africani non c’è una guerra. E anche se ci fosse una guerra, non è che possiamo trasportare una popolazione da una parte all’altra. Risolviamo i problemi là». Che consiglio darebbe al governo, lei che conosce bene questi popoli?«Direi al governo di prendere la cosa sul serio una volta per tutte. Non si scherza con le vite e nemmeno con un’immigrazione selvaggia, inaccettabile. Quelli che inneggiano all’accoglienza, e io sono per l’accoglienza, per le donne, per i bambini, ma arrivano solo uomini, si preoccupino di mettere un argine a questa quantità. Bisogna mettersi d’accordo con i vari paesi africani. Se arrivano dal Senegal, dalla Nigeria o da chissà dove bisogna avere rapporti con quei paesi».L’Europa non può scaricare tutto sull’Italia. «L’Italia dovrebbe dire no. Quelli che fanno domanda per venire a lavorare possono arrivare con l’aereo, con biglietto pagato, così gli scafisti non guadagnano più, ma non prendiamo in giro la gente». Chi arriva qui con la voglia di lavorare e si porta anche la famiglia, spesso non accetta il nostro modo di vivere. Ce lo conferma quello che è accaduto a Saman Abbas e a tante altre ragazze prima di lei. Una vera integrazione è possibile?«Tutti quelli che decidono di restare in Italia devono avere delle regole. L’integrazione non è un optional, è un obbligo come per me è un obbligo pagare le tasse, comportarmi bene, non fare del male. Se una famiglia italiana non manda i figli a scuola arriva l’assistente sociale e glieli porta via, se lo fa uno straniero non accade nulla, non si possono toccare. E questo non va. Questo lasciar fare è deleterio, lo dico da anni. Serve anche un ministero speciale o un’organizzazione governativa che si occupi dell’integrazione e chi tiene un piede qua e il cervello in Afghanistan è meglio che torni da dove è venuto. Non porti in Italia i figli e la famiglia per poi segregare una moglie o una figlia, non puoi uccidere e metterla nel giardino di casa come è successo a Hina Saleem oppure la mamma di Nosheen Butt lapidata dentro casa. Altre culture sì, ma se non si rispettano le leggi italiane bisogna togliere immediatamente la cittadinanza». L’uccisione di Saman la considera un femminicidio?«Lo vogliono far passare per tale, ma è un omicidio organizzato, premeditato dal clan famigliare che ha deciso e studiato nei minimi dettagli l’uccisione della figlia e poi se ne sono andati. Hanno fatto tutto qui. Perché non l’hanno portata in Pakistan e uccisa là? Perché in Pakistan avrebbero passato guai serissimi, la legge è molto severa, c’è la pena di morte. In Italia davano l’attenuante culturale e religiosa. Dopo meno di quindici anni l’assassino sarebbe uscito di prigione. Ora che ci presentiamo parte civile, solo noi della nostra associazione e ci battiamo in tutti i modi, qualche qualche ergastolo ci scappa». Le femministe italiane non si sono date un gran daffare per Saman.«Esiste il femminismo in Italia? Io non me ne sono accorta. Sono venuta in Italia per studiare, e invece mi sono ritrovata a occuparmi di donne maltrattate o segregate. Quindi, le femministe in Italia di cosa si occupano? Parlano molto tra di loro, io non le capisco. Saman ha fatto l’errore di credere fino all’ultimo alla pietà. E invece non c’è stata. Nemmeno da parte di sua madre. Violenta e crudele come gli uomini».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco