2021-08-01
L’ignorata e bellissima rosa canina è un toccasana per la nostra salute
Questa varietà di pianta si adatta a qualsiasi paesaggio e resiste a ogni intemperia. Poco appariscente, dai fiori a cinque petali, ha proprietà antinfiammatorie, fa bene ai polmoni, all’intestino e alle pelli arrossateLa scorsa domenica ci siamo inoltrati nel Giardino dell’Eden e abbiamo annusato il profumo inebriante della rosa damascena. Ne abbiamo conosciuto, in brevis, storia e caratteristiche. Ma la rosa, le rose, dove nascono? E quando? Ogni anno il mercato vivaistico viene letteralmente inondato di specie diverse, rose di tutte le forme, sfumature, ogni anno diverse nuove cultivar e varietà vengono testate, iscritte a competizioni, attribuite di nomi celebri e importanti, la corsa al nuovo ibrido di successo è ovviamente aperta. Non esiste una rosa fondatrice, pare che le prime siano sbocciate in quel caleidoscopio di eterni tentativi che è Madre Natura intorno ai 35 milioni di anni fa, l’uomo era ancora ben distante dall’essere soltanto il principio di un’idea, di una eventualità. Anna Peyron nel suo Il romanzo della rosa (Add editore) accerta 37 milioni di anni fa, in seguito alle analisi di fossili in Nord America. In Colorado è stato trovato un esemplare fossile risalente addirittura a 55 milioni di anni fa. Studi di epoche non dissimili sono stati effettuati in Cina, ed è proprio da qui che probabilmente vengono le prime decine di varietà che poi si sono diffuse in diverse parti dei grandi imperi commerciali che hanno connotato lo sviluppo dell’umanità nei millenni antecedenti la nascita di Cristo: ovviamente gli imperi cinesi, le civiltà della Mezzaluna fertile, e l’antico Egitto. Come si evince dall’introduzione di un bel libro fotografico, Rose vintage (Logos), a cura di Jane Eastoe - celebre per i suoi libri e il suo giardino di rose nel Kent, ma soprattutto fotografie notevoli di Georgianna Lane - le prime raffigurazioni artistiche le troviamo sui vasi cinesi del 3500 a.C., a inizio dell’età del rame. Una rosa compare in un affresco del Palazzo di Cnosso a Creta, L’uccello blu, realizzato nel 1550 a.C. Erodoto e Teofrasto, botanici ante litteram, studiarono le rose della Grecia distinguendo quelle selvatiche e quelle coltivate nei giardini. Adorate dai romani, venivano usavano sia per ricavarne l’olio sia per la bellezza dei fiori; i documenti attestano nei territori del vasto impero la presenza di 2.000 roseti, quantomeno fino al quinto secolo d.C. Come sappiamo la rosa divenne un fiore religiosissimo, associato alla Vergine Maria, quindi simbolico, si pensi ai Rosacroce e ai tanti movimenti alchemici sorti successivamente. Ma di questo tratteremo in un prossima stazione di Rosa rosae. Nell’antica Roma i luoghi prediletti di coltivazione erano Preneste, Leporia e Paestum. Quando la richiesta ha iniziato a lievitare si è iniziato ad importarne dal Nord Africa, Egitto, Cirene (Libia) e Cartagine. La Persia ne era già una delle patrie elettive, i numerosi giardini di harem e moschee in città quali Teheran, Isfahan e Nishapur, esportatrici, e poi Damasco, in Siria, da cui deriva il nome della profumatissima rosa damascena. Questi fiori appartenevano a quelle rose che chiamiamo botaniche, ovvero quella manciata di specie che crescono allo stato selvatico, come la rosa canina, la rosa sericea, la rosa gallica, la rosa laevigata e la rosa spinossissima; si tratta di arbusti che producono fiori aperti, a petali singoli, non particolarmente profumate e non rifiorenti. Le rose antiche, a differenza di quelle botaniche, hanno fiori più corposi, più grandi, se vogliamo sebbene si tratti di un gusto personale, più belle da guardare; spesso molto profumate, la fioritura è persistente, dettagli di una certa importanza per chi ama adornare un giardino di queste piante. Fra le più note e diffuse vi sono la rosa gallica, varietà officinalis, dalla quale sono state ottenute molte rose dette moderne, la damascena, la rosa alba e la rosa chinensis, matrice di molte altre rose cinesi. Fra queste diverse perle mi chinerei per qualche minuto sulla rosa canina. Spesso nemmeno la guardiamo, sopraffatta com’è nei giardini dalle fioriture sempre più vistose e ricadenti, floribunde, delle tante varietà moderne e contemporanee. E giustizia prima o poi andrà fatta perché nemmeno quando siamo in cammino lungo un sentiero nei campi la badiamo più di tanto, l’attenzione accalappiata magari dai ciliegi in fiore, dai peschi e dagli albicocchi, quindi dal volo di un airone o dai dispetti delle gazze ladre, le traiettorie ardite delle rondini, la corsa di una volpe, il sole che splende sulla campagna circostante, chissà, i frutti che maturano su un albero, un gelso, un amareno, un fico, un melo. C’è sempre qualcos’altro da andare a vedere, ad ammirare, mentre scarpiniamo nel paesaggio. Le rose canine ci sono quasi sempre, crescono ovunque, pazientano, si adattano, vengono aggredite e rase al suolo ma nonostante tutto ricrescono. Sono coriacee, non si danno per vinte, e si debbono accontentare di quel che trovano, perché a chi viene in mente di andare a dare acqua alle rose dei campi quando da giorni il sole ruggisce e la terra si spacca? Un po’ di attenzioni in più le merita per le sue proprietà officinali e medicinali, diciamocelo pure, è questa la sua rivincita: quella rosa poco appariscente, dai fiori a cinque petali, ci infastidisce per le sue spine ma, ci garantisce salute, che si estrae dai frutti, gli acheni, contenuti in quelle bacche tondeggianti che troviamo in autunno quando foglie e fiori sono ovviamente appassiti e caduti. Cinorrodi, falsi frutti che si ottengono da una deformazione, un elefantismo della specie. Le ricette delle nostre nonne li contemplavano poiché si poteva ottenere una gustosa confettura, oppure tisane e decotti, zuppe, liquori, oli, tutti ricchi di preziosa vitamina C. Antinfiammatorio naturale, fa bene ai polmoni, alle vie respiratorie, all’intestino, alle pelli arrossate. Si può ottenere addirittura del miele di rosa canina, sebbene spesso sia una componente di mieli come il millefiori o l’acacia. In Bulgaria si usa raccoglierne i frutti, utilizzati per aromatizzare vino e te. Il nome da cosa deriva? Plinio Il Vecchio tradusse il nome dal greco, si credeva che le radici fossero utili a curare le infezioni di rabbia causate dal morso di un cane. Infine chiudo con una curiosità. Se i grandi e vecchi alberi vengono detti monumentali, gli arbusti plurisecolari e ben robusti sono detti storici; non a caso si parla di camelie storiche, non monumentali. Esiste una Rosa dei mille anni che cresce aggrappata all’abside della cattedrale cattolica di Hildesheim, in Germania, è alta oltre venti metri; le analisi attestano che abbia sette secoli di vita. Nel 1945 la chiesa è stata distrutta da un bombardamento delle forze alleate ma le radici sono sopravvissute ed oggi è ancora lì a far vanto di sé. Viaggetto?
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?