2022-12-04
La grande lezione americana ai nostri custodi del regime
John Glover Roberts Jr. ,presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti (Ansa)
Il paragone tra la Consulta e la Corte suprema di New York su casi simili è impietoso: negli Usa le toghe hanno difeso le libertà, notando l’ovvio: il vaccino non ferma il contagio. Da noi hanno difeso Roberto Speranza.C’è un giudice a New York. Anzi, c’è una Corte suprema. E a differenza di quella italiana, sempre pronta a sentenziare in favore della sinistra, nello Stato americano la magistratura non ha alcun problema nel prendere decisioni che dispiacciano ai liberal e al pensiero dominante. A ottobre, per esempio, le toghe di quella che è considerata la patria della modernità e anche della democrazia, hanno emesso un verdetto che smonta la narrativa vigente sui vaccini. In pratica, la Corte suprema ha stabilito l’illegittimità dei licenziamenti di coloro che non si sono sottoposti all’iniezione anti Covid. I dipendenti pubblici cacciati da Bill De Blasio, ex sindaco della città con un curriculum politico che non lo farebbe sfigurare a fianco di Enrico Letta e compagni, non solo dovranno essere riammessi, ma l’amministrazione di New York dovrà pagare loro anche gli stipendi arretrati. In altre parole, la magistratura indipendente, a differenza di quella dipendente dalla politica che abbiamo in Italia, ha ritenuto che le limitazioni delle libertà individuali, tra le quali rientra l’obbligo vaccinale, siano incompatibili con i principali costituzionali degli Stati Uniti. Cioè, un verdetto che è l’esatto contrario di quello emesso dalla nostra Corte costituzionale, dove però, fra i giudici che hanno ritenuto valido il green pass e la sua applicazione, c’è anche l’ex consigliere giuridico di Mario Draghi, ovvero uno degli ispiratori delle misure contestate. Senza contare che nel governo guidato dall’ex governatore della Bce, il ministro della Giustizia era Marta Cartabia, ovvero il presidente emerito della Consulta. Ci si poteva aspettare che la Corte costituzionale smontasse il decreto che toglieva il lavoro a medici, infermieri e poliziotti che non si erano sottoposti alla vaccinazione? Ovvio che no. E infatti, i giudici della legge hanno fatto esattamente ciò che si pensava, dichiarando perfettamente costituzionale sospendere dal lavoro e dallo stipendio chi non si è immunizzato.Al contrario, la magistratura americana ha smontato le decisioni federali, dichiarandole illegittime. Secondo Fox news, una delle principali reti televisive statunitensi, le toghe dello Stato di New York avrebbero stabilito che «essere vaccinati non impedisce a un individuo di contrarre o trasmettere il Covid», dunque ne consegue che sospendere dal lavoro e dallo stipendio una persona non ha alcuna giustificazione medica, perché non serve a prevenire la diffusione del virus, ma semmai solo a punire coloro che non si adeguano a una direttiva politica. Di fronte a queste frasi, i cosiddetti cacciatori di bufale, che in realtà sono i primi bufalari perché piegano la realtà ai loro convincimenti politici, si sono affrettati a scrivere che le sentenze non costituiscono un parere scientifico. Certo, ma neppure i loro articoli o le dichiarazioni di Roberto Speranza e di tutti gli altri cosiddetti esperti sono evidenze scientifiche. Ma tra tutti i più incredibili commenti alla decisione della Corte suprema c’è il richiamo agli studi della multinazionali farmaceutiche, dove mai si sarebbe sostenuto che il vaccino avrebbe evitato il contagio. E allora perché il governo ha sospeso dal lavoro milioni di non vaccinati e perché li ha multati? Se il vaccino non serviva a evitare la diffusione del virus a che cosa è servito? Attendiamo chiarimenti.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)