2024-11-27
L’ex attivista Femen critica il gender Condannata a morte da antifa e trans
Marguerite Stern (margueritestern.com)
Marguerite Stern minacciata in Francia per il libro sul business delle transizioni: «Da progressisti e femministe solo silenzio».Che di transgenderismo sia assai difficile parlare liberamente è noto, come testimoniano gli attacchi subiti perfino da icone progressiste del calibro di Germaine Greer (scrittrice e tra le maggiori voci femministe del XX secolo), o di Richard Dawkins (il biologo ateo più famoso al mondo), entrambi bannati dai consessi accademici e censurati dai social dopo essere finiti nel mirino dell’integralismo woke per aver sostenuto che il sesso è binario e che un uomo che ha effettuato la transizione di genere non sarà mai una donna.Ma che osare esprimere opinioni critiche alle forzature del gender potesse comportare una condanna a morte, questo, in Occidente, non si era ancora visto. Accade oggi nella laica Francia dei lumi, dove gruppi antifa e transattivisti hanno lanciato una fatwa nei confronti delle due autrici di Transmania (edizioni Magnus), un libro-inchiesta sulle derive dell’ideologia transgender.Contro Marguerite Stern, femminista ed ex militante delle Femen, e la giornalista Dora Moutot è uscito, nei giorni scorsi, un comunicato sul sito del collettivo di estrema sinistra Paris-Luttes.info in cui si esplicita l’intenzione di ucciderle e si esorta a eliminarle «a colpi d’arma bianca», a «far saltare le loro teste» e a «opporsi fisicamente e violentemente alla loro esistenza». Minacce gravissime, che hanno creato un caso (una delle prime ad esprimere loro solidarietà è stata l’eurodeputata Marion Maréchal) e di fronte alle quali le scrittrici hanno avviato un’azione legale e rivolto al ministero dell’Interno la richiesta di scioglimento dei gruppi che le hanno pubblicate.«È l’episodio culmine di una serie di reazioni violente di cui siamo state vittime», racconta a La Verità la Stern che, giusto un mese fa, in un’intervista ad Alessandro Rico, aveva denunciato le derive della sinistra, paragonandole a una forma di terrorismo. Ma gli ultimi eventi oscurano perfino le recenti contestazioni, di cui questo giornale aveva dato conto, e sono state così rabbiose da aver richiesto, alle presentazioni pubbliche del libro, il massiccio intervento delle forze dell’ordine nonché il fermo di una sessantina di persone per detenzione di esplosivi.Eppure, le reazioni della politica e dell’opinione pubblica non sono state univoche, come ci si aspetterebbe quando c’è di mezzo la violenza, per di più contro le donne: «Tutta sfera di destra ci ha dato sostegno. C’è stata una presa di coscienza del fatto che siamo in pericolo e che rischiamo la vita. Ciò nonostante», lamenta Stern, «il mainstream di area progressista e centrista non ne parla: silenzio assoluto. Due donne minacciate di morte non sono evidentemente una notizia per i media di sinistra. Nemmeno le femministe ci supportano. Eppure, non si tratta di un banale messaggio lasciato sui social, ma di un vero e proprio manifesto che teorizza l’uso della violenza come arma politica, il che è tipico della sinistra estrema. È veramente molto inquietante vedere scritto nero su bianco che ci vogliono morte».Di fronte a cotanta furia ci si chiede quali siano i passaggi del libro che l’hanno provocata e si resta sorpresi nel constatare l’assenza di argomenti da parte dei contestatori. «Chi ci attacca non formula critiche ai contenuti, che sono supportati da molte fonti: quindici pagine di note bibliografiche citano lavori scientifici, articoli di stampa su fatti realmente accaduti (come le aggressioni di transattivisti ai loro critici), studi medici sui danni dei trattamenti ormonali. Ma tutto poggia su una generica accusa di transfobia: dicono che vogliamo il genocidio delle persone trans».Il che, secondo l’autrice, spiega perché il tema gender susciti un clima così intollerante e violento. «È una manipolazione, un sofisma», prosegue Stern. «Si sostiene che chiunque osi anche solo mettere in dubbio che la transizione sia un bene, voglia la morte delle persone trans e questa accusa, completamente infondata, giustifica il diritto di uccidere a propria volta».Si tratta, insomma, di vera e propria propaganda culturale che il libro illustra descrivendo come, grazie a cospicui finanziamenti, l’ideologia transgender si sia insinuata in tutte gli ambiti della società, istituzioni incluse e sistema educativo in primis.La conclusione cui giunge Transmania è che transizione e riassegnazione di genere, nei minori, vadano proibite: «Basti pensare che i bloccanti della pubertà, quando vengono usati in caso di pubertà precoce per evitare sia compromessa la crescita, da protocollo non possono essere somministrati per più di due anni, laddove per preparare alla transizione di genere vengono dati per ben sei anni! Il blocco di ormoni sessuali provocato da queste molecole compromette molte funzioni importanti: non solo lo sviluppo dei caratteri sessuali primari e secondari ma anche la formazione ossea e lo sviluppo del cervello. Arrestare questi ormoni significa causare problemi strutturali e cognitivi. Nel libro citiamo il caso di un ragazzo che, a quindici anni, ha già l’osteoporosi e non riesce a stare in piedi per più di mezz’ora. Senza contare che tali medicine trasformeranno questi giovani in adulti sterili, dagli organi sessuali simili a quelli di un bambino. Ma come si può pensare che un dodicenne capisca tutto ciò che comporta, per il resto della sua vita, prendere una simile decisione?».In proposito, Stern smonta il racconto rassicurante che viene propinato all’opinione pubblica e che presenta i bloccanti della pubertà come farmaci che danno ai minori più tempo per «scegliere» se proseguire o meno con la transizione: «I dati, invece, mostrano che la totalità dei ragazzini che li assumono poi effettuano la transizione in età adulta, sottoponendosi a operazioni disastrose che “ricreano” simulacri di organi sessuali che non funzioneranno mai completamente e a trattamenti ormonali che distruggono la salute. Mentre un accompagnamento psicologico adeguato induce chi soffre di disforia di genere a non optare per la transizione e permette di risolvere il problema».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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