2023-05-06
        L’Europa stronca i negoziati di pace. Roma: «Niente armi coi fondi Pnrr»
    
 
Da Firenze, Josep Borrell liquida la mediazione cinese («Un sogno a occhi aperti») e insiste sull’acquisto di mezzi militari: «Sono tempi di guerra». L’Italia però boccia la proposta di usare il Recovery per comprare munizioni.Yevgeny Prigozhin: «Ritiro entro il 10 maggio». I ceceni: «Subentreremo noi». L’ex ministro della Difesa del Paese invasore si unisce ai mercenari. Evacuata l’area di Zaporizhzhia.Lo speciale contiene due articoliL’Italia non ci sta: niente dirottamento dei soldi del Pnrr per acquistare munizioni e armamenti. L’hanno detto ieri all’Ansa fonti di Palazzo Chigi, commentando la trovata del commissario Ue al Mercato interno, Thierry Breton. Nell’illustrare il lancio dell’Act in support of ammunition production (Asap), la norma con cui Bruxelles ha stanziato mezzo miliardo per aumentare la produzione di proiettili da destinare all’Ucraina, il politico francese aveva aggiunto che, allo scopo di rafforzare la Difesa dei Paesi membri, questi avrebbero potuto attingere sia ai fondi di coesione, sia alle risorse del Recovery. Sempre nel nome della resilienza. Il governo italiano, peraltro incalzato dalle proteste dell’opposizione, in particolare del Movimento 5 stelle e di Giuseppe Conte, è stato chiaro: Roma «non intende usare i fondi del Pnrr per produrre armi». Non è in discussione il sostegno «politico e militare» a Kiev, hanno precisato dall’esecutivo, che è pure «favorevole al rafforzamento della capacità dell’industria della Difesa europea, anche nell’ottica di una maggiore autonomia strategica della Ue». Tuttavia, il Recovery «è uno strumento di investimento strategico e non un veicolo per finanziare la produzione di munizioni o armamenti».Palazzo Chigi s’è inoltre voluto togliere un sassolino dalla scarpa. E ha insistito sulla necessità di aggiornare il programma di spesa e di organizzazione delle infrastrutture da realizzare con gli stanziamenti dell’Unione. Il nostro Paese invoca «un uso flessibile dei fondi europei, compresi quelli del Pnrr». La proposta di rinegoziare le linee guida del piano, viste le mutate condizioni del quadro economico e le difficoltà logistiche nell’attuazione degli interventi, è stata già avanzata più volte dal governo. Addirittura, un pezzo di maggioranza - la Lega - aveva suggerito di rinunciare ai soldi in prestito. Dettaglio non da poco: dei 145 miliardi di euro richiesti in totale, sui 225 resi disponibili, ben 127 li aveva prenotati proprio l’Italia. Poiché, di solito, a caval donato non si guarda in bocca, il fatto che quasi nessuno abbia approfittato del plafond indica che, dietro la retorica dell’elargizione solidale, si nasconde la tagliola dell’eurocommissariamento. Le affermazioni riportate dall’Ansa, però, si prestano altresì a un secondo livello d’interpretazione. L’Italia avverte l’esigenza di chiarire che non impiegherà i miliardi del Pnrr per riempire gli arsenali, benché essi, informava ieri il Corriere, patiscano uno «scarso livello di munizionamento» e si trovino in «seria difficoltà». Le dichiarazioni di Palazzo Chigi sono la spia indiretta che qualche altro Stato membro userà davvero così i fondi del Recovery? Ci troveremmo dinanzi a un’alterazione sostanziale della natura del piano: nato per trainare la ripresa post Covid, verrebbe trasformato in un mezzo per star dietro a spese militari che nessuno aveva preventivato, quando è stato varato. Il che solleva un problema politico: Bruxelles dice sì all’acquisto di missili dopo aver bocciato progetti per stadi e asili. Ed è ancora quasi del tutto sorda alle prospettive di modifica degli investimenti. In fondo, dopo la retorica sui settant’anni di pace che sarebbe stata capace di garantire, l’Europa si è rassegnata: il vento, ormai, è cambiato. C’è aria di bombe. L’Ue insegue Washington sulla strada, se non dell’escalation, del conflitto prolungato, non comprendendo che il conto della guerra lo paghiamo noi. Alla faccia dell’autonomia strategica, da perseguire - come ha confermato ieri Josep Borrell - financo al costo di scontentare gli Usa sui rapporti amichevoli con la Cina. A rinsaldare la posa bellicista contribuiscono gli ego strabordanti dei leader continentali. Prendete, appunto, Borell. Ieri, l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione era a Firenze, dove ha proclamato che questo «non è il momento della diplomazia». Ha definito «un sogno a occhi aperti» l’ipotesi di trattativa Russia-Ucraina delineata dai cinesi e s’è detto rassegnato all’idea che Vladimir Putin non accetti le condizioni poste da Kiev. Conclusione: «In Ucraina non è il momento di conversazioni diplomatiche sulla pace. È il momento di sostenere militarmente la guerra».A riprova che indossare l’elmetto stuzzica le vanità, o magari le velleità, Borrell ha inserito una nota personale: «Mi sento un diplomatico, ma anche una specie di ministro della Difesa, perché passo una parte importante del mio tempo a parlare di armi, di munizioni». Sarà per avvalorare l’irrobustimento del suo ruolo, che lo spagnolo ha ribadito che i 500 milioni stanziati per le munizioni agli ucraini non sono «una svolta». E che è indispensabile accrescere il potenziale del complesso militare-industriale europeo, adeguato «per un tempo di pace ma non per la guerra». Liquidati con sprezzo persino i tentativi di mediazione del Papa, a Bruxelles avranno deciso che non si torna più indietro. S’imbraccia il fucile. È l’incorreggibile banalità del male: scambiare una tragedia per un videogioco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leuropa-stronca-i-negoziati-di-pace-roma-niente-armi-coi-fondi-pnrr-2659973212.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-capo-del-gruppo-wagner-striglia-putin-mancano-proiettili-via-da-bakhmut" data-post-id="2659973212" data-published-at="1683361323" data-use-pagination="False"> Il capo del gruppo Wagner striglia Putin: «Mancano proiettili, via da Bakhmut» Mentre il conflitto ucraino prosegue, aumentano le spaccature in seno al fronte russo. Il capo del Wagner Group, Yevgeny Prigozhin, ha pubblicato un video decisamente critico dei vertici militari di Mosca. «Ci manca il 70% delle munizioni necessarie!», ha dichiarato. «Shoigu, Gerasimov, dove cazzo sono le munizioni?», ha proseguito, riferendosi al ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, e al capo delle forze armate di Mosca, Valery Gerasimov. «Il sangue è ancora fresco», ha continuato, mostrando decine di corpi dietro di sé. «Sono venuti qui come volontari e stanno morendo cosicché voi possiate sedervi come gatti grassi nei vostri uffici di lusso», ha detto ancora. Non solo. In un’altra dichiarazione, Prigozhin ha annunciato il ritiro del Wagner Group da Bakhmut. «Dichiaro a nome dei combattenti Wagner, a nome del comando Wagner, che il 10 maggio 2023 siamo obbligati a trasferire le posizioni nell’insediamento di Bakhmut alle unità del ministero della Difesa e ritirare i resti di Wagner nei campi logistici per leccarci le ferite», ha affermato. «Sto ritirando le unità della Wagner perché senza munizioni sono condannate a una morte insensata», ha proseguito, per lanciare poi i propri strali contro «gli invidiosi burocrati». Fino a ieri sera, il Cremlino si era rifiutato di commentare le dure parole di Prigozhin. Dall’altra parte, in questo clima rovente, la Cnn ha riferito che l’ex viceministro della difesa di Mosca, Mikhail Mizintsev, si sarebbe unito al Wagner Group. Insomma, quello che emerge è un vero e proprio scontro interno al fronte russo tra autorità militari e combattenti irregolari. Uno scontro che va intensificandosi, ma che non è certo nuovo. Già nei mesi scorsi erano emerse delle tensioni tra il Wagner Group e i vertici politico-militari di Mosca. Tanto che, lo scorso gennaio, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, era stato costretto a intervenire, cercando di derubricare il tutto a una manipolazione mediatica. E attenzione. Questi attriti non riguardano solo i mercenari del Wagner. A settembre dell’anno scorso, fu infatti il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, a criticare aspramente l’esercito russo. «Se oggi o domani non verranno apportate modifiche a come l’operazione militare speciale viene condotta, sarò costretto ad andare dalla leadership del Paese per spiegare loro la situazione sul terreno», dichiarò. «Non sono uno stratega come quelli del ministero della Difesa. Ma è chiaro che sono stati commessi degli errori», proseguì. Ieri, però, Kadyrov ha detto che le forze cecene sono pronte a prendere il posto della Wagner a Bakhmut. Le tensioni tra i vertici militari e gli irregolari non è quindi una novità in seno al fronte russo. Il punto è che, anziché ridursi, queste divergenze sembra si stiano acuendo. D’altronde, il «no comment» del Cremlino sulle parole di Prigozhin tradisce un certo imbarazzo, anche perché le turbolenze con il Wagner Group rischiano di rivelarsi particolarmente problematiche per Vladimir Putin. E questo sostanzialmente per due ragioni. In primis, il presidente russo sta incontrando sempre più fatica nel trovare un equilibrio in seno alle complicate dinamiche che attraversano l’establishment russo (tra vertici militari, esponenti della Duma e leader degli schieramenti irregolari). È chiaro che queste divisioni interne danno un segnale di debolezza che, oltre a rinfrancare gli ucraini, potrebbero allontanare il sostegno cinese a Mosca (sostegno cinese che, guarda caso, nelle ultime settimane si è fatto più freddo). In secondo luogo, la questione per Putin potrebbe avere delle ripercussioni che vanno ben oltre la sola crisi ucraina. Il Wagner Group rappresenta infatti da anni l’ufficiosa longa manus di Mosca nel continente africano. È presente nella Libia orientale, che usa come trampolino di lancio per estendere l’influenza russa sul Sahel: dal Mali al Burkina Faso, passando per il Sudan. Ecco: le crescenti tensioni tra il ministero della Difesa e i mercenari potrebbero fiaccare la strategia africana del Cremlino. Il conflitto intanto prosegue. L’intelligence di Kiev ha detto di non credere alle parole di Prigozhin sul ritiro da Bakhmut. «Prigozhin non ritirerà i Wagner da Bakhmut. Queste dichiarazioni sono state fatte da Prigozhin in considerazione del fatto che non può mantenere la promessa di catturare Bakhmut prima del 9 maggio. Ecco perché ora sta cercando di dare la colpa a qualcuno», ha spiegato un portavoce dei servizi ucraini, mentre il governo di Kiev ha annunciato di aver distrutto i depositi di munizioni del Wagner Group a Bakhmut. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha detto che verranno intraprese «azioni concrete» in risposta all’attacco subito mercoledì dal Cremlino da parte di un drone. Mosca ritiene che dietro quell’atto vi siano Kiev e Washington. I russi, ieri, hanno evacuato Enedogar, la città della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Nel frattempo, si è registrato un altro attacco di droni contro una raffineria nel Sud della Russia. Ieri sera è scattato a Kherson il coprifuoco a causa dei bombardamenti a cui la città è sottoposta dalle forze di Mosca, mentre Kiev ha reso noto che i corpi di 80 caduti le sono stati restituiti.
        Leonardo Apache La Russa (Ansa)
    
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
        Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)