2022-08-22
Sandro Boscaini: «L’Europa ha fatto una fuga in avanti troppo precipitosa»
Il presidente di Masi Agricola: «Dovremo fare i conti con la contrazione dei consumi, strozzature logistiche e costi crescenti quasi insostenibili. Da rivedere gli aiuti pubblici».Se 250 vendemmie vi sembran poche. La Masi, unica azienda vitivinicola quotata ormai da più di sette anni in Borsa, si prepara a superare un traguardo che in Italia pochi hanno raggiunto. Il 14 ottobre ci sarà festa a Sant’Ambrogio di Valpolicella per celebrare la raccolta al Vaio de Masi che è cominciata nel 1772. Di queste vendemmie Sandro Boscaini ne ha fatte almeno un quarto. Tra qualche settimana - il 24 settembre - compie 84 anni, due terzi spesi a espandere il gruppo su tutti i mercati possibili e a dotarlo di tutto ciò che serve per stare all’avanguardia, compreso il gruppo tecnico Masi che è una sorta di Cnr privato delle fermentazioni, dell’appassimento, del fare vino. Lo chiamano mister Amarone, ma è titolo riduttivo. È il primo vero manager che il vino italiano abbia avuto perché ha innestato nell’agricoltura la tecnologia, l’oculatezza della gestione e la passione della creatività. Ha compreso e celebrato la natura una e trina dell’impresa vitivinicola: terra, produzione, commercio. È a capo del Gruppo Masi da sempre: primus inter pares tra fratelli, figli e nipoti. «È così», sussurra, «che si rendono solide le aziende: competenza, rispetto, passione». E si affrontano momenti difficili. Il futuro com’è?«Se lo guardo dalle vigne della Masi lo vedo meno preoccupante: abbiamo fatto ottimi risultati. Abbiamo aumentato i ricavi del 28,4% arrivando oltre i 66 milioni, un utile netto di 5,4 milioni, abbiamo distribuito un buon dividendo. Il primo semestre di quest’anno è il miglior semestre da quando siamo quotati. All’orizzonte però si vedono nuvole molto nere. Non si è ben compreso che passata l’euforia del ritorno alla normalità dopo gli anni della pandemia dovremo fare i conti con una probabile contrazione dei consumi, con costi crescenti che per molti settori sono al limite della sopportabilità, con strozzature logistiche».I maggiori fattori di rischio?«Sicuramente inflazione, costo dell’energia, instabilità dei mercati dovuta alla situazione internazionale e difficoltà nella logistica sono gli elementi di più rilevante criticità. Poi c’è il grande punto interrogativo dei consumi che riguarda in maniera particolarmente acuta chi opera nell’agroalimentare. C’è una polarizzazione tra commodity e prodotti premium, c’è un’evoluzione del gusto che riguarda tutti i Paesi del mondo e noi dovremmo potere intercettare questi cambiamenti. Ma in Italia siamo in un sistema troppo rigido con i vincoli burocratici, ad esempio dei disciplinari. Questo non ci permette di intercettare la transizione dal vino alimento al vino piacere, che è quello che noi dovremmo interpretare perché i nostri sono prodotti premium e hanno costi relativi che se ci releghiamo nel mercato delle commodity diventano insopportabili».Però tutti applaudono al nostro export agroalimentare. Cosa non va?«Due sono i fattori di criticità peraltro sottovalutati. Il primo è che l’agroalimentare ha tassi di crescita e di redditività mediamente bassi, ma fino al post pandemia pochi se ne sono preoccupati. I cambiamenti climatici, la mancanza di manodopera specializzata e disponibile nei periodi dell’anno in cui serve sono tutti elementi che pesano e che vengono più denunciati che risolti. Anche la fiscalità è un tema non affrontato per il verso giusto. Le tasse sono troppo alte, ma in agricoltura vi sono delle forti agevolazioni che finiscono per diventare fattori di competitività inversi. Non abituano le imprese a stare sul mercato. Dunque vanno eliminati i fattori distorsivi e vanno diminuiti i pesi fiscali. Il secondo elemento è che l’export è cresciuto non per un maggiore apprezzamento dei nostri prodotti. Tra il 2021 e i primi mesi del 2022 l’aumento di domanda estera è dovuto alla ricomposizione dei magazzini e a un cambiamento di organizzazione dei clienti. Si erano abituati durante la pandemia a comprare online modeste quantità. Oggi con i costi di trasporto aumentati comprano stock più considerevoli e questo aumenta i dati, ma solo nel breve periodo. Così come c’è stata la corsa agli acquisti per evitare gli aumenti dei prezzi. Ma non è tutto oro».Si aspetta un contraccolpo?«Se il nostro export è fatto al 30% dal Prosecco vuol dire che gli indici sono un po’ drogati, che abbiamo bisogno di aumentare la massa critica di prodotto esportato e il suo valore. Gli ultimi dati non sono incoraggianti: la Gdo sta facendo meno 18%, l’online è piantato perché è tornato il consumo al ristorante, nell’enoteca. Chi ha una distribuzione multicanale si salva, chi si è buttato sull’onda della moda o della convenienza immediata su un solo canale soffre. Un’altra cosa di cui si parla poco è: cosa succede se c’è la recessione? Vedo, almeno nel nostro settore, una tendenza all’enfasi che mal si concilia con la necessità di stare con i piedi per terra». A proposito di enfasi: si è detto che la siccità ha distrutto la vendemmia. C’è davvero il pericolo desertificazione?«Il riscaldamento globale fa parte secondo me di un ciclo lungo. La vendemmia del 2003 non è stata poi tanto diversa da questa. La siccità e il caldo durarono allora un po’ meno, ma mi pare che le condizioni che abbiamo oggi facciano comunque parte di quel ciclo lungo. Abbiamo vigna in tutto il Nordest e la vendemmia è ottima, in Toscana abbiamo qualche problema di stress idrico, ma controllabile. Certo, gli eventi estremi sono preoccupanti. Per la qualità mi aspetto una grande annata».L’Europa ha dichiarato guerra al vino e spinge tutto sul green: è un fattore d’instabilità?«L’Europa ha fatto una fuga in avanti troppo precipitosa. Tre quarti del mondo continua a produrre usando energia sporca anche perché hanno esigenze primarie più urgenti. Greta può coltivare l’illusione di condizionare queste scelte, ma sono tempi lunghi e mi pare che l’Europa abbia seguito questa illusione. Tutti vorremmo energia pulita, impatto zero, ma si devono trovare strade di compromesso e risposte tecnologiche adeguate. Quanto al vino, i Paesi nordici hanno problemi con l’alcol e non sono capaci di comprendere che per noi il vino è cultura, che il nostro stile di consumo è tutt’altra cosa. Solo che noi a Bruxelles non mandiamo i migliori a difendere le nostre istanze e sovente la tutela delle produzioni mediterranee non è adeguata. Così come non è compresa la centralità dell’agricoltura».Ma anche nei programmi elettorali italiani non se ne parla molto…«Purtroppo l’agricoltura resta la Cenerentola. Eppure ci sono immense opportunità. Ci sarà una grande trasformazione nell’agroalimentare: produzioni a basso prezzo e a bassa qualità e altre ad altissimo valore aggiunto. L’Italia deve percorrere questa seconda strada, ma bisogna che il Paese sia consapevole dell’importanza della scelta. Nel vino, a esempio, abbiamo troppe Doc: c’è bisogno di una razionalizzazione e di una centralizzazione delle strategie, delle politiche; va esaltata invece la territorialità, l’identità, la produzione locale. Dobbiamo entrare in una logica “glocal”. Sennò come si fa a conquistare mercati nel segmento premium che è quello proprio dell’Italia? Serve meno burocrazia, più ricerca, maggiore valore aggiunto».Come sostituire le Doc con i brand aziendali?«Non tutte le Doc: se ne possono fare regionali mantenendo le Docg, si può lavorare sulle Igt, ma non c’è dubbio che i brand aziendali contano molto. E poi, diciamolo: la politica ha usato le Doc per farsi una sua riserva di consenso».Masi è un brand, può essere un esempio? E gli azionisti sono soddisfatti?«Credo di sì, abbiamo dato buoni dividendi, ma soprattutto abbiamo aperto una strada. Mi aspettavo che la seguissero in molti. Non è accaduto: peccato! Noi con il club degli investitori facciamo partecipare i soci alla vita dell’azienda. Tra i nostri soci abbiamo, oltre a Renzo Rosso, l’Ente di previdenza dei dirigenti in agricoltura e credo che i fondi pensione siano i più adatti per l’investimento in agricoltura dove bisogna essere cassettisti. C’è stato un momento in cui piccoli industriali e professionisti si sono fatti la cantina. Bene, ma si sono accollati rischi e fatica. Penso che investire senza intenti speculativi, ma pretendendo un giusto ritorno in un’azienda vitivinicola sarebbe stato per loro molto meglio. E che la Borsa dovrebbe attrezzarsi per favorire questo incontro».I fondi pensione dovrebbero indirizzare il risparmio verso le aziende?«Credo che si dovrebbe tornare a parlare di questo. C’è una massa di risparmio che potrebbe sostenere le aziende. La politica se vuole dare un futuro al Paese dovrebbe occuparsene. È un modo per fare sviluppo. Noi lo abbiamo fatto fin dagli anni Settanta con i conti Serego Alighieri ed è stato un grande onore, lo abbiamo fatto con Bossi Fedrigotti, con Canevel, ci siamo sviluppati aggregando. Si parlava di natura, di gusti che cambiano; abbiamo fatto con i Fresco di Masi vini naturalissimi e di basso grado, facciamo con il prosecco Casa Canevel Diesel spumanti totalmente bio, facciamo con l’Amarone uno dei vini più rappresentativi al mondo, ma sempre declinando ricerca, rispetto, passione, identità e libertà d’impresa. È quanto serve contro la crisi e mi aspetto dalla politica». Ah, sia detto per inciso: i Serego Alighieri sono gli eredi diretti di Dante. E forse anche stavolta aveva ragione lui: «E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola».
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.