2021-08-22
Il letargo di Giovannini, ministro allo scaricabarile
Enrico Giovannini per mesi è riuscito a passare inosservato, al punto che la maggioranza degli italiani si è dimenticata di lui, ignorando che fosse diventato ministro e avesse una qualche responsabilità nei Trasporti. Tuttavia, l'altro ieri l'ex presidente dell'Istat ed ex ministro del Lavoro ai tempi di Enrico Letta (ricoprì l'incarico per meno di un anno e anche all'epoca svolse le sue funzioni in incognito), si è risvegliato dal letargo in cui è precipitato dal giorno della sua nomina e all'improvviso ha deciso di concedere un'intervista al Corriere della Sera.Il colloquio già nel titolo prometteva rivelazioni sconvolgenti. La prima è che, al rientro dalle vacanze, i mezzi di trasporto torneranno a essere riempiti all'ottanta per cento, la seconda è che tutti dovranno indossare le mascherine prime di salire sui convogli e la terza che a bordo dovranno esserci dei controllori. Roba forte: nelle intenzioni del ministro dovrebbe trattarsi del piano per consentire una ripresa delle attività dopo la pausa estiva in totale sicurezza. Si dà il caso che anche lo scorso anno il precedente governo prese più o meno le stesse misure, ma il programma predisposto dall'esecutivo guidato da Giuseppe Conte non riuscì a evitare una risalita della curva dei contagi. All'epoca fu annunciato un riempimento dei convogli simile, ma la verità è che nessuno è mai riuscito a controllare la percentuale di viaggiatori in base ai posti a disposizione, perché su autobus, metropolitane e treni pendolari, i più usati dai lavoratori, non esiste un contapasseggeri. Dunque, i numeri vengono enunciati a caso, ben sapendo che si tratta di una misura priva di senso e soprattutto che nessuno sarà in grado di confermare o smentire. Ma all'annuncio inutile delle percentuali di occupazione dei convogli consentite è seguita la precisazione da parte di Giovannini che in treno e sugli altri mezzi pubblici si viaggerà solo se muniti di mascherina chirurgica, anche se il titolare del dicastero ha voluto precisare che sarebbe preferibile indossare la Ffp2. Non c'è viaggiatore che non sappia che da oltre un anno e mezzo si è tenuti a mettere un dispositivo di protezione. Sui treni a lunga percorrenza viene ricordato ogni quarto d'ora da un annuncio registrato e se non accade la stessa cosa su autobus, metropolitane e convogli pendolari è solo perché non c'è un altoparlante che possa diffondere il messaggio in ogni carrozza. Ma ormai anche i bambini conoscono la regola: non si può salire su un mezzo pubblico senza mascherina. L'abitudine a indossare la protezione è tale che ci sono persone che non la tolgono nemmeno una volta arrivate a destinazione. Dunque, non si capisce proprio in che cosa consistano le novità del ministro dei Trasporti e perché, per distillare il suo pensiero, abbia atteso l'ultima decade di agosto, il weekend prima del rientro della maggior parte dei vacanzieri. Che cosa c'era di così urgente da annunciare? Che il piano per i trasporti era quasi ultimato? Eh già. Perché provvedere a giugno o luglio quando si può aspettare l'ultima settimana del mese prima del ritorno al lavoro degli italiani? Perché interrogarsi sul potenziamento delle corse a un paio di settimane dall'inizio della scuola? Giovannini non poteva svegliarsi prima dal letargo in cui si è addormentato per sei mesi? Domande destinate a rimanere senza risposta perché sovrastate da una straordinaria notizia, ovvero il ritorno dei controllori sui mezzi pubblici. Come abbiamo fatto a non rendercene conto prima? La soluzione a tutti i nostri problemi e a quelli della diffusione del Covid consiste nello schierare del personale a bordo di ogni mezzo, in modo che possano controllare sia il rispetto del corretto uso delle mascherine, sia la giusta percentuale di occupazione dei vagoni. Giovannini ha in pratica scoperto l'uovo di Colombo, la soluzione di tutti i problemi. Peccato che non risulta siano state informate le aziende che gestiscono i trasporti, le quali prima di schierare i controllori dovrebbero di regola assumerli, e non sembra che le varie società del settore abbiano avviato un rafforzamento del personale. Tanto per fare un esempio, l'Atac che nella Capitale riesce a fatica a rispettare il numero delle diverse corse, non ha dipendenti neppure per controllare che i viaggiatori abbiano pagato il biglietto, figurarsi se, tra assenteismo e malattie, trova il tempo anche di un controllo sul corretto uso dei dispositivi di prevenzione e sul numero di passeggeri. Lo stesso dicasi per altre aziende pubbliche operanti nel trasporto urbano, che a malapena riescono a far quadrare i conti. Ma la trovata più geniale del ministro riguarda i «mobility manager», che nelle imprese e nei Comuni con più di cento addetti e 50.000 abitanti, si occuperanno dei trasporti. Dovrebbero essere loro a organizzare il piano della mobilità provincia per provincia e sempre loro a sedersi ai tavoli prefettizi, in modo che si «modulino» al meglio le esigenze delle singole città. Dall'intervista di Giovannini, si capisce una cosa e cioè che le responsabilità saranno delegate. E la sensazione è che l'ex presidente dell'Istat, più che il ministro dei Trasporti, sia il ministro allo scaricabarile. E che alla vigilia del rientro, quando la scuola precipiterà nel caos (lo annunciano i presidi), potrà tornare al letargo a cui si è dedicato negli ultimi sei mesi.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)