Siamo al terzo posto, dopo Messico e Iran. Prima di inglesi e Usa. Perché la nostra è una nazione di anziani. Ma non solo.Quasi quattro morti per Covid ogni cento casi scoperti. Nella graduatoria dell'indice di letalità l'Italia occupa il terzo posto dopo Messico (9,8 decessi) e Iran (5,4). Mancava questo triste primato, per capirci ancora meno di questo virus. Con tutte le zone rosse, i tamponi eseguiti, le mascherine pure in cucina o in camera da letto, siamo in cima al podio e in così spiacevole compagnia? Per carità, nulla contro i messicani o il popolo iraniano ma speravamo di essere almeno accostati ad altri Paesi europei, invece svettiamo con nazioni dove la sanità è senz'altro peggio che dalle nostre parti. A elaborare i dati è stata la Johns Hopkins University di Baltimora, che ogni giorno diffonde il numero di contagi e deceduti in ogni angolo del mondo. Quel 3,8 attribuito al nostro Paese sarebbe dunque il rapporto in percentuale tra morti e casi Covid osservati. Nel Regno Unito l'indice è 3,7, in Spagna 2,8, negli Stati Uniti 2,2, in Germania 1,6 ovvero la metà di quanto capita in Italia. Anche per quanto riguarda l'indice di mortalità siamo messi male, al nono posto con più di 75 casi di morte ogni 100.000 abitanti. Ma perché mai il coronavirus fa più vittime tra gli italiani? «Una spiegazione potrebbe essere che siamo la nazione con la maggior percentuale di popolazione anziana in Europa, il 22,8 per cento, e al secondo posto a livello mondiale dopo il Giappone», afferma Antonio Clavenna, responsabile dell'unità di farmacoepidemiologia dell'Istituto Mario Negri. «La media anagrafica dei morti per coronavirus in Italia è di 82 anni. Persone di età avanzata e con più patologie». Secondo un report dell'Imperial college di Londra, il tasso di letalità varia in base alla composizione per età della popolazione, inferiore nei Paesi a basso reddito (in media lo 0,23%) e più alto in quelli ricchi (1,15) dove «la letalità risulta parecchio superiore a quella dell'influenza stagionale, che si attesta allo 0,1». Su Epicentro, il sito di epidemiologia dell'Istituto superiore di sanità, i dati aggiornati all'11 novembre rivelano i risultati di 5.234 cartelle cliniche, le uniche «che è stato possibile analizzare» a fronte di 41.737 decessi per coronavirus in Italia a quella data. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione con età media 82 anni è di 3,5. Complessivamente, 3.390 pazienti (64.8%) presentavano tre o più patologie; 988 (18,9%) ne presentavano due; 682 (13,0%) una sola patologia, mentre 174 pazienti (3,3% del campione) non avevano malattie preesistenti all'infezione da Covid. «Un altro dato da considerare è che in Italia spesso gli anziani vivono insieme o hanno forti relazioni con i figli, si occupano dei nipoti e questo può aver avuto un impatto sul fatto che l'infezione ha coinvolto questa fascia di età più frequentemente che in altre nazioni», aggiunge Clavenna, che però avverte sull'incertezza dei dati elaborati dagli scienziati di Baltimora. «Occorre valutarli con cautela», precisa il ricercatore, «perché da noi c'è una sottostima delle persone che hanno contratto l'infezione. Consideriamo per esempio la Lombardia, dove tra marzo-aprile ma anche in queste settimane, non potendo fare tamponi a tutti, si è scelto di testare persone che hanno prevalentemente sintomi avanzati di Covid, o pazienti già ricoverati. Se le persone positive sono anche più anziane e con altre patologie, quindi più a rischio, apparentemente la letalità è più alta in Italia». Non sembra ci sia relazione certa tra numero di tamponi eseguiti e letalità, perlomeno guardando al Regno Unito dove a dispetto di 37 milioni di test (il doppio dei nostri), l'indice è 3,7 mentre Francia e Spagna che ne hanno fatto un numero simile ai nostri sono rispettivamente al 2,2 e al 2,8. Per Clavenna, maggiore chiarezza si avrà solo quando saranno resi noti «i dati sulla mortalità in eccesso per tutte le cause, e il numero delle persone positive agli anticorpi», durante la prima e la seconda ondata. Già in agosto, la ricerca epidemiologica che era stata avviata dal ministero della Salute e dall'Istat aveva rilevato che a fine maggio erano 1 milione e 482.000 le persone risultate IgG positive, con anticorpi specifici che si sono sviluppati contro il Covid e sono rimasti per un certo periodo all'interno dell'organismo. Asintomatico era un italiano su tre con anticorpi. Un numero, quello risultato dall'indagine, sei volte più alto rispetto alle 250.000 infezioni rilevate con il tampone e registrate nelle stime ufficiali Istat. «Lo studio di sieroprevalenza ci permette di definire in modo più preciso il tasso di letalità. Tenendo conto dei 35.000 morti», dei positivi «e anche di quanti italiani hanno avuto contatti con il virus, il tasso di letalità in Italia scende a circa il 2,5%», dichiarò il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) Franco Locatelli, componente del Cts, commentando lo studio sulla sieroprevalenza illustrato al ministero della Salute. Clavenna è certo che quando «nel conteggio Covid entreranno gli asintomatici e quelli che avevano sintomi leggeri, l'indice di letalità sarà verosimilmente intorno all'1% anche nel nostro Paese».
Iryna Zarutska
Sulla giovane ucraina assassinata negli Usa da un afroamericano è calato il silenzio. Eppure, quando a venire ucciso è un nero, il fatto (giustamente) diviene di dominio globale. Un doppio standard insopportabile, frutto di un «antirazzismo» schizofrenico.
Vincenzo De Luca (Ansa)
Regionali, campo largo nel caos. Il sindaco di Riace, condannato a 18 mesi, non potrà correre. Lui: «Regia politica». Lo Sceriffo fa a pezzi il grillino mentre loda la Meloni. E Vendola già sente le sirene romane.
Ursula von der Leyen (Ansa)
Ieri l’incontro tra il ministro Urso e Filosa per definire una linea comune in vista del vertice di venerdì a Bruxelles. Parigi e Berlino spingono per le loro tecnologie, l’Italia rischia lo smacco sui biocarburanti