2018-08-17
L’esproprio proletario è legalizzato: dai giudici un favore ai centri sociali
Una sentenza della Cassazione trasforma l'usurpazione di proprietà in usucapione. E dice no alla richiesta di sgombero di un ex macello comunale occupato. La decisione potrebbe avere ricadute su altri procedimenti.Da oggi l'occupazione abusiva di un immobile è un po' meno reato. Anzi, si potrebbe dire che diventa un esercizio praticamente legale, almeno se riesce a durare oltre un certo numero di anni. Insomma, nell'Italia culla del diritto un reato di usurpazione di proprietà può trasformarsi in diritto di usucapione. Assurdo? Per nulla: quello che negli anni Settanta la contestazione di sinistra amava definire «l'esproprio proletario a fini sociali» di un edificio, è stato appena legalizzato dalla Corte di cassazione, con tanto di sentenza (per la cronaca, la numero 38.483 del 10 agosto) e timbro ufficiale della Repubblica. Si tratta di una decisione storica, assunta dalla seconda sezione penale della suprema corte, che ha dato ragione al centro sociale «Tempo Rosso» di Pignataro Maggiore, un centro di circa 6.000 anime in provincia di Caserta, i cui attivisti da una ventina d'anni si dicono impegnati nella lotta all'inquinamento della cosiddetta «Terra dei fuochi». Il sito internet del centro sociale, sulla cui testata campeggia un aggressivo murale con la scritta «Tempo Rosso non si tocca», racconta con enfasi la lunga storia dell'organizzazione, che tra una battaglia ecologista e un raduno musicale ha avuto un suo snodo cruciale proprio nell'occupazione dell'ex macello comunale, realizzata il 24 maggio 1999. Da allora, e per oltre 19 anni, i compagni di «Tempo Rosso» hanno fatto di quel grosso edificio la loro base operativa. Come spesso capita, di fronte alla vivace protervia degli occupanti, il piccolo Comune prima ha cercato di ottenere una risposta alle sue legittime richieste di recupero del bene. Poi si sa come vanno queste cose: le giunte cambiano, la politica si fa concava e convessa, gli spigoli si smussano e cisi adatta a un'involontaria convivenza. Nello scorso febbraio, però, qualcosa è cambiato. La Procura di Santa Maria Capua Vetere aveva avviato la procedura per lo sgombero della struttura. Da quella procedura era subito partita una piccola battaglia, a suo modo politica. «Tempo Rosso» aveva lanciato un appello «a quanti in questi venti anni hanno attraversato lo spazio ad abbracciare la nostra battaglia di indisponibilità alla resa e di autodifesa». Dall'altra parte della barricata legale, il pubblico ministero di Santa Maria Capua Vetere aveva aperto anche uno specifico procedimento penale contro dieci attivisti del centro sociale, otto uomini e due donne, imputando tutti per occupazione abusiva, per imbrattamento dei locali (coperti in gran parte di scritte e di murales) e anche di «omissione di lavori di consolidamento su un edificio pericolante». La risposta di «Tempo Rosso» non si era fatta attendere. Nuovo proclama: «Non ci tireremo indietro» avevano gridato dalle mura dell'ex macello «rispetto a quella che a nostro avviso è la più grande battaglia di libertà nella guerra contro il dominio che combattiamo da anni. Faremo di queste strade di provincia, di queste mura di cemento armato e delle colline che ci circondano, la nostra Stalingrado».Lo scorso 5 marzo, contro tutte le aspettative del Comune e della Procura, la nuova Stalingrado ha vinto contro l'assedio della legalità. Perché il Tribunale di primo grado ha respinto la richiesta. I giudici hanno stabilito infatti che i dieci indagati fossero appena dei bambini quando, venti anni prima, altre persone avevano dato vita all'occupazione dell'ex macello. Ma la parte di sentenza più impegnativa riguarda un'altra parte di motivazione: quella in base alla quale il Tribunale ha stabilito che la quiescenza del proprietario dell'immobile occupato si trasforma di fatto in avallo dell'esproprio. Quanto ai murales, sempre per il tribunale, sarebbero opere che non rientrano «nel concetto di imbrattamento» e dopotutto non si sa nemmeno chi li abbia dipinti. Infine, non c'era nemmeno alcuna prova che l'ex macello fosse pericolante, e «in ogni caso», aveva deciso il Tribunale, «non sarebbe spettato agli indagati porvi rimedio ma, semmai, al Comune proprietario dell'immobile». E la Cassazione? Una settimana fa i supremi giudici hanno clamorosamente confermato tutte le decisioni del Tribunale. Hanno risposto quindi con un No alla richiesta di sgombero del vecchio macello, confermando l'ipotesi che «l'acquiescenza» del proprietario dell'immobile abbia «ingenerato negli occupanti il convincimento della legittimità dell'occupazione», anche «attraverso atti positivi come il pagamento dell'utenza relativa al consumo di energia elettrica». La Cassazione ha confermato anche l'archiviazione delle accuse per i dieci attivisti. Le ricadute della storica sentenza rischiano di essere importanti, e forse di travolgere qualche altro procedimento penale in corso. La politica, impegnata sul ponte Morandi, pare non essersene accorta, con l'esclusione del sempre vigile Paolo Cento, esponente di Liberi e uguali: «La decisione richiede ora uno stop immediato al piano di sgomberi annunciato dal ministro Matteo Salvini nelle grandi città a partire da Roma», ha subito annunciato. Insomma, un vero macello.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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