2018-10-02
L’eredità lasciata da Gentiloni è una «cambiale» da 16 miliardi
Quando era a Palazzo Chigi con Pier Carlo Padoan, per evitare di sballare i conti bloccò gli investimenti degli enti locali. La Consulta ha bocciato il provvedimento: ora Comuni e Regioni possono spendere e portare il deficit al 3,4%. Paolo Gentiloni, abbandonando la propria poltrona di premier, ha anche lasciato un buco da 16 miliardi, occultandolo sapientemente sotto il tappeto. Le colpe dei padri ricadono sui figli e le clausole sottoscritte a Palazzo Chigi ricadono sui governi successivi. Il discorso vale per il maxi impegno preso dal governo Berlusconi nel 2011, che ancora oggi pesa sulla manovra attuale 12,5 miliardi di euro. Vale per la clausole di salvaguardia sulle accise della benzina poste in essere dal governo Letta e semplicemente posposte da quello di Renzi. Si tratterà di ulteriori 350 milioni di euro che chi governerà a fine del prossimo anno dovrà far saltare fuori dal cilindro. E vale per i calcoli sbagliati. Come l'altro ieri ha dichiarato il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, il deficit reale era già al 2,2%. Una percentuale frutto delle clausole sull'Iva (datate 2011) e degli errori di previsione sulla crescita messi nero su bianco dalla coppia Pier Carlo Padoan e Paolo Gentiloni. Ciò che Tria ha omesso di denunciare (forse per opportunità, o magari perché l'attuale governo non se ne è ancora accorto) è che il precedente esecutivo ha lasciato in eredità qualcosa di più grosso di una clausola di salvaguardia. Si tratta di una bomba da 16,2 miliardi di euro. Per l'esattezza si tratta di quasi un punto di deficit in più occultato tra le pieghe della manovra 2017. Più o meno un anno fa, infatti, per ottemperare all'ormai famoso articolo 81 della Costituzione, Gentiloni ha pensato bene di bloccare gli investimenti delle amministrazioni periferiche (comma 466 della legge di bilancio 2017) in modo da evitare che il deficit dello Stato schizzasse in avanti. In questo modo durante il 2018 gli enti locali si sono trovati impossibilitati a spendere quell'avanzo di bilancio che avevano accumulato negli anni precedenti. Insomma, un trucco contabile: ovviamente a spese degli enti locali. Il calcolo della cifra (16,2 miliardi) l'ha fatto l'Upb, l'ufficio parlamentare di bilancio, suddividendo le voci per Regioni (10,8 miliardi), Comuni (3,7 miliardi) e a tutti gli altri enti locali la rimanenza di circa 5,3 miliardi di euro. Peccato che lo scorso maggio se ne è accorta la Corte costituzionale e con la sentenza 101 ha smontato il giochetto contabile, aprendo un grande problema per i gialloblù. Come ha riportato il blog di Luigi Oliveri, i magistrati hanno disposto «che l'obbligo per Regioni ed enti locali di rispettare ogni anno il pareggio di bilancio non può bloccare i risparmi accumulati negli esercizi precedenti che servono a finanziare investimenti». L'articolo 81 definisce, dunque, il principio dell'equilibrio tra entrate e spese del bilancio dello Stato, come vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni: in altri termini, anche gli enti territoriali concorrono al pareggio del bilancio pubblico. Il che non significa che debbano essere penalizzati rispetto allo Stato o dallo Stato stesso. Risultato? Le risorse possono da subito essere liberate e spese. Se, però, l'intera cifra venisse messa a bilancio l'anno prossimo il deficit reale passerebbe dal 2,4% (immaginando che la prossima manovra si attesti a tale soglia) al 3,4%. Un'enormità che causerebbe a quel punto veri e propri buchi di bilancio. Perché il governo l'anno prossimo scoprirebbe di non poter utilizzare risorse aggiuntive per gli investimenti pubblici delle amministrazioni centrali, ciò che sta promettendo agli elettori. Quei soldi, infatti, è come se fossero già stati «spesi». A questo punto, esiste solo una via di uscita: la trattativa con i Comuni e le Regioni. Cioè convincere gli enti locali che l'avanzo non sia da spendere tutto in un colpo ma a piccole dosi da scaglionare in almeno un quinquennio. Alcuni accetteranno sicuramente, dal momento che molti non hanno denaro in cassa. Altri potrebbero impuntarsi. E se solo 8 miliardi venissero spesi, il deficit salirebbe al 2,9%. Innescando un grande paradosso: l'attuale governo ha promesso investimenti in infrastrutture oltre al taglio delle tasse e il reddito di cittadinanza, se scatterà però la mina Gentiloni si troverà senza soldi da spendere. Con l'implicita fregatura politica. Cioè che chi sta a Palazzo Chigi non potrà avviare alcun piano infrastrutture. Esattamente l'opposto di ciò che ha fatto Matteo Renzi con gli 80 euro e Gentiloni con il suo un sapiente maquillage. La stessa autrice dell'articolo pubblicato sul blog di Oliveri fa presente che la mancanza di fondi da destinare agli enti locali ha portato all'articolo 13 del Milleproroghe approvato dal Senato dieci giorni fa. Giuseppe Conte ha sfilato 1 miliardo di euro destinato alle periferie e l'ha differito al 2020 inserendolo peraltro nel fondo dove già ci sono gli avanzi di bilancio degli anni precedenti. In pratica, Conte ha fatto l'inverso di quanto prevede lo storytelling renziano. Poteva semplicemente dire che quei soldi finivano ai Comuni (solo quelli virtuosi) in una voce diversa. Ma soprattutto poteva denunciare l'enorme buco lasciato in eredità da Gentiloni e attribuire ai predecessori la fregatura. Adesso partirà la rumba sulla manovra e vedremo come balleranno i partiti e quanto gli enti locali alzeranno la voce.