2024-05-27
        «Macron supponente, Stoltenberg straparla. Negoziare è doveroso»
    
 
        Leonardo Tricarico (Imagoeconomica)
    
Il generale Leonardo Tricarico: «Non c’è soluzione militare alla guerra in Ucraina. La difesa comune? L’Italia non faccia la portatrice d’acqua».Si parla con disinvoltura di economia di guerra, di pericolo atomico. Dall’invasione dell’Ucraina sono trascorsi ormai 27 mesi, si sono aggiunte la strage del 7 ottobre dei terroristi di Hamas contro inermi cittadini israeliani, la crisi del Mar Rosso con gli assalti dei terroristi Huthi. E ora cresce la tensione per la successione in Iran e per le manovre militari della Cina attorno a Taiwan. È il momento di fare il punto per capire se stiamo pericolosamente scivolando da una guerra a pezzi a un conflitto globale. Lo facciamo con il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, ora presidente della Fondazione Icsa, uno dei massimi strateghi ed esperti militari italiani. Partiamo dalla situazione sul terreno in Ucraina: è possibile che i russi sfondino? «Siamo indubbiamente in una fase favorevole alla Russia, uno sbilanciamento ammesso anche da Zelensky. Se poi ci sia da prevedere un cedimento di schianto è tutt’altra cosa, una valutazione non semplice senza gli elementi di situazione atti ad una stima più precisa». La guerra in Ucraina sta durando ormai da quasi 30 mesi e una soluzione militare appare difficile. Cosa si dovrebbe fare?«Il capo di Stato maggiore delle forze armate statunitensi a pochi mesi dall’invasione dichiarò che una soluzione militare del conflitto non era cosa verosimile. Siamo ancora lì e purtroppo nessuno ne ha voluto trarre le conseguenze con l’unica via d’uscita possibile, un negoziato». Jens Stoltenberg – il segretario generale della Nato in perenne prorogatio – continua a sostenere che la Nato è più forte che mai e che è in grado d’impedire che l’azione russa si estenda.«Stoltenberg, sulla scena di questa lunga tragedia, continua ad essere uno dei personaggi più deleteri. “Nomen omen” verrebbe da dire. Ha straparlato e continua a farlo senza che nessuno gliene dia facoltà o che gli faccia capire che tutto ciò non rientra nei suoi poteri. L’ineffabile Stoltenberg non si è invece mai speso per promuovere una composizione pacifica del conflitto, obbligo in capo a lui come a tutti i Paesi membri, stando al primo principio fondante della Nato». Si teme che l’eventuale elezione di Donald Trump a presidente degli Usa possa depotenziare la Nato. Ma oltre i proclami l’Europa non va. Niente esercito comune, niente diplomazia comune. Come legge la situazione e soprattutto che cosa si dovrebbe fare?«L’eventuale vittoria di Trump comporterà la necessità di riconsiderare più di un dossier, segnatamente quelli riguardanti la sicurezza e la difesa collettive. L’auspicio è che il ritorno di Trump sulla scena sia stimolo sufficientemente robusto per farci prendere finalmente nelle nostre mani il nostro destino, affrancandoci da quella che è divenuta una vera e propria dipendenza statunitense. Tutt’altro che disinteressata». Il presidente francese Emmanuel Macron più volte ha posto il tema di un ingresso diretto nel conflitto russo-ucraino. Lo fa per ragioni interne (sotto elezioni, per sterilizzare Marine Le Pen, un richiamo alla grandeur fa comodo), perché vuole la leadership dell’eventuale esercito europeo (del resto è il solo ad avere l’atomica), o perché pensa alla ricostruzione dell’Ucraina?«Le motivazioni alla base delle sempre più frequenti sortite di Macron non sono spesso di semplice lettura. Ma un ingrediente è sempre presente: la sottolineatura, per chi ne smarrisca la memoria, della grandeur francese. Nel merito poi le affermazioni del presidente francese sono spesso strampalate e bizzarre dal punto di vista tecnico oltre che supponenti e irriguardose da quello politico». Ha senso che la Germania investa 100 miliardi per il suo riarmo e che l’Italia pensi ad andare sopra al 2% del Pil per la difesa?«Credo che il nostro bilancio resterà sotto il 2% per tempi non brevi e francamente non si può non condividere tale eventuale linea del nostro governo. In quanto ai tedeschi, prima che i 100 miliardi si tramutino in capacità militari dovrà passare non poco tempo di duro e costante impegno; solo in tal modo l’esercito della Repubblica federale di Germania potrà tornare a standard prestazionali accettabili». L’Italia che dal punto di vista militare ha avuto grandi successi – anche con la sua industria – dovrebbe aumentare il suo protagonismo? E se sì come, visto che la nostra Costituzione pone vincoli assai precisi all’azione militare?«L’Italia dovrebbe condividere con gli altri Paesi membri della comunità europea le eccellenze messe a punto negli ultimi trenta anni in non pochi settori, rivendicando al contempo, a buona ed ovvia ragione, un ruolo guida nella edificazione di uno strumento militare comune. Se non si vuole che si ripeta il solito copione in cui ci ridurremo a fare i portatori di acqua a favore di qualcuno meno attrezzato ma più solerte nello sgomitare per accaparrarsi i posti in prima fila». Se ne parla poco ma il fronte mediorientale non è preoccupante? Penso agli Huthi, alla situazione iraniana con un possibile nuovo conflitto con l’Iraq. L’Italia non dovrebbe puntare ad avere un’egemonia mediterranea?«La situazione mediorientale potrebbe in prospettiva risultare più rischiosa di quella russo ucraina se venissero meno alcuni presupposti che sembrano ancora tenere. Come la paziente attesa dei Paesi sunniti e la bassa intensità con cui gli iraniani sembrano voler continuare ad interpretare il conflitto. Il nostro Paese nello specifico non può fare più di tanto, anche in considerazione del poderoso ed instancabile ma finora infruttuoso sforzo diplomatico messo in campo dai Paesi dell’aerea e soprattutto dagli Usa». Che pensa del fatto che la Corte dell’Aja mette sullo stesso piano Hamas e Netanyahu?«La giustizia sembra anche essa in preda ad uno smarrimento e ad una perdita di credibilità che ne fanno venir meno il ruolo di riferimento principale e di ultima spiaggia. Non si tratta di equiparare due realtà, non è questo il compito del Tribunale penale internazionale. Esso deve invece giudicare singoli comportamenti sulla base di evidenze, prove, testimonianze, non certo di fonte mediatica come sembrano essere quelle mediorientali».Lei parla di giustizia e viene subito in primo piano l’ennesimo procedimento contro il generale Mario Mori. Che ne pensa? «Purtroppo abbiamo dovuto constatare che anche nelle mura domestiche la giustizia si sta muovendo lungo un piano inclinato cui non si vede possibile riparo. Mi riferisco anche e soprattutto all’ultima perla, quella della riconvocazione in veste di imputato del generale Mario Mori. Un provvedimento insensato che ha scandalizzato prima di tutti i molti magistrati onesti. E la cui portata purtroppo non è pienamente percepita da chi non è familiare con la lettura di certi segnali. Mai l’Arma dei carabinieri si era espressa in solidarietà di un proprio uomo, mentre aveva sempre riconosciuto quando qualcuno di loro aveva sbagliato. È il segnale che la misura è colma; con il cruccio di questa consapevolezza la magistratura, nelle sue diverse articolazioni istituzionali e rappresentative, dovrebbe avviare finalmente una riflessione profonda per trarne poi le giuste conseguenze ed operare i giusti interventi di riforma». La Nato e l’Europa così pronti a difendere la democrazia in Ucraina non dovrebbero fare la stessa cosa con Israele? E secondo lei un successo militare di Israele è possibile? «Gli scenari sono completamente diversi nelle motivazioni che li hanno determinati. Se proprio si vuole trovare un denominatore comune, esso non può che essere lo stravolgimento del diritto ormai operato su larga scala senza ritegno o pudore alcuno: del diritto a vivere in pace di Israele, ed in qualche misura del popolo di Cisgiordania, così come del diritto di disporre senza condizionamenti della propria sovranità territoriale da parte dell’Ucraina. Ma ad oggi chi deve garantire il rispetto dei diritti, le Nazioni Unite, ha perduto ogni potere e credibilità né dispone di un braccio armato per imporre con la forza quello che le risoluzioni impongono. La Nato ha altri compiti mentre l’Europa come noto non esiste».In ultimo, il quadrante indo-pacifico potrebbe essere, con la Cina che punta su Taiwan, il teatro di scontro decisivo tra Occidente e resto del mondo? «L’Indo-Pacifico è sicuramente in prospettiva lo scenario più preoccupante, quello in cui si dovrebbero misurare i pesi massimi ed i loro sparring partner. Per ora Cina e Stati Uniti paiono aver messo in stand by tale eventualità e tuttavia non vi è dubbio che le dinamiche conflittuali in corso vengano seguite con un occhio sempre rivolto lì, come sono di tutta evidenza le iniziative per farsi trovare pronti all’appuntamento quando la situazione dovesse precipitare».
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